A tu per tu con il giovane italo-americano, fuori con l’album che segna il suo debutto discografico
Reduce dal doppio successo del singolo “Guarda come flexo”, sia della parte 1 che della parte 2, per Mambolosco è tempo di lanciare il suo album d’esordio, intitolato “Arte”, disponibile per Virgin Records a partire da venerdì 13 settembre. Tante le collaborazioni che impreziosiscono le sedici tracce presenti in scaletta, da Enzo Dong a Nashley (altro membro della Sugo Gang), passando per Tony Effe e Pyrex della Dark Polo Gang, Boro Boro e Shiva. Le produzioni vanno nella stessa direzione e, a parte due brani firmati da Sick Luke e uno da AVA & Mojobeatz, sono tutte di Nardi che in tre brani è affiancato rispettivamente da Boston George, Peppe Amore e Adam11. In occasione di questo debutto, abbiamo incontrato per voi il giovane italo-americano.
Ciao William, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo dal tuo album d’esordio, romperei il ghiaccio chiedendoti quale significato attribuisci alla parola “Arte” e cosa rappresenta per te questo disco?
«Essendo il mio disco di debutto rappresenta per me un po’ la prova del nove, se va bene vuol dire che si può fare molto, al contrario bisognerebbe tornare a lavorare su determinate cose. Definisco quello che faccio “arte” perché la musica è sostanzialmente questo, vorrei poter riuscire a dare importanza e più significato alla trap, perché tanta gente parla male del genere che faccio, quando dovrebbero soffermarsi ad ascoltarla per capirla. In questo lavoro ho messo tutto me stesso, ci lavoro da un annetto, ho curato tutto nei minimi dettagli, per me vale tantissimo».
A livello di tematiche, cosa hai voluto raccontare e, per quanto riguarda l’aspetto musicale, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«Ho raccontato un po’ più me stesso, affrontando tematiche che non avevo toccato prima. Non ho voluto realizzare un album tutto uguale, con sonorità trap dall’inizio alla fine, bensì contaminando parecchie canzoni con l’hip hop o l’R’n’B, ho variato un po’, proprio per far capire che posso fare di tutto».
Come sono nati i feautiring e come hai selezionato gli ospiti presenti?
«Ho pensato di coinvolgere nel progetto gli artisti italiani che rispetto, a partire dalla Dark Polo Gang, ho fatto un feat con Tony Effe e uno con Pyrex, mi spiace molto non esserci riuscito con Wayne Santana, ma ci rifaremo presto. Sono contentissimo di aver lavorato con Shiva perché spacca, ma anche Enzo Dong che per me è stato un pioniere della trap in Italia. Comunque sì, ho collaborato con parecchie persone, ospiti che sono venuti a trovarmi a casa mia, a Vicenza, la mia città che ho definito la nuova Atlanta perché siamo in tanti, sforniamo tanta roba e lavoriamo bene».
Dopo il successo ottenuto con “Guarda come flexo”, l’hype intorno a questo progetto è abbastanza alto. Quali sono le tue personali aspettative?
«Mi aspetto solo che faccia bene, sarà la gente a decretare se è andata o meno, io non posso far altro che augurarmelo. Non vedo l’ora di incontrare il pubblico nei vari in store, con loro interagisco tanto sui social, cercando di essere il più possibile me stesso, mostrandomi per come sono, probabilmente i miei fan lo apprezzano perché mi apro davvero molto e mostro dei lati che magari altri artisti tengono per loro».
In un momento storico in cui tutto và veloce e si fatica per attirare l’attenzione dell’ascoltatore, quali devono essere secondo te le caratteristiche per fare in modo che una canzone non venga “skippata”?
«Intanto il beat quando inizia deve spaccare, non è facile e a volte non viene compreso subito, forse la vera chiave è il ritornello, che ti deve rimanere bene in testa. E’ brutto da dire ma, tante volte, le canzoni più stupide vanno di più perché ti entrano in loop. Poi bisogna giocare su ciò che và al momento, l’attualità funziona parecchio».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Boh (sorride, ndr), non desidero arrivare a nessuno in particolare, mi piacerebbe essere apprezzato da chi ha piacere ad ascoltarmi. Di sicuro mi piacerebbe poter in futuro lavorare anche negli Stati Uniti, fare robe anche lì, visto che mio papà è americano e parlo benissimo l’inglese, sono perfettamente bilingue, mi piacerebbe poter spaccare anche Oltreoceano».
Nico Donvito
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