Dal 17 novembre disponibile il nuovo doppio album del cantautore lombardo, una raccolta volta a festeggiare i suoi primi venticinque anni di carriera
Ciao Max, partiamo dal tuo nuovo album, una raccolta che include tutti i tuoi maggiori successi. Con quale filosofia affronti questo momento?
«Aver realizzato così tante canzoni che sono entrate nel vissuto collettivo è la cosa più gratificante che possa esistere, lo scopo di chi fa il mio mestiere è quello di intercettare i gusti del pubblico e arrivare a più persone possibili. Questo mi porta anche un forte senso di responsabilità, il cercare di non deludere le aspettative di chi mi segue, mantenendo sempre una certa onestà, guardo al futuro tenendo presente il mio passato e tutto quello che ho realizzato finora».
“Le canzoni alla radio” è più un bilancio della tua carriera o lo spoiler di quello che verrà?
«Credo entrambe le cose contemporaneamente. Nel disco sono presenti sette inediti, più una nuova versione completamente stravolta di ‘Tutto ciò che ho’, oltre alle canzoni che mi hanno portato a festeggiare quest’anno i miei primi venticinque anni di carriera. Ho voluto celebrare questo traguardo importante, arricchendolo con musica nuova».
In “Duri da battere” duetti con due tuoi amici Nek e Francesco Renga, com’è nata questa idea?
«Era una canzone che avevo nel cassetto da un po’ di tempo, ma non mi convinceva fino in fondo. Poi ho capito che da quella stessa canzone, con l’aggiunta di tre estensioni timbriche diverse, sarebbe potuto venire fuori qualcosa di diverso. Ho contattato Filippo e Francesco che hanno accettato la sfida, più che un’avventura professionale la descriverei una vera e propria esperienza di vita».
Dal 20 gennaio sarete impegnati insieme in tournée, come descriveresti lo spettacolo che andrete a proporre in giro per il Paese?
«Ognuno di noi ha una carriera piuttosto lunga alle spalle, un repertorio abbastanza variegato e, soprattutto, abbiamo tutti e tre la voglia di fare qualcosa di nuovo per non ripeterci, cercare una chiave di lettura diversa da proporre ai nostri rispettivi fans. Quello che realizzeremo dal vivo sarà sicuramente una novità, un valore aggiunto ad ogni singolo pezzo che verrà ascoltato per la prima volta da punti di vista diversi. Tutto ciò è molto stimolante per me e credo di poter parlare anche per i miei due colleghi, un’opportunità irripetibile e pazzesca».
Il vostro tour s’interrompe nella settimana sanremese, un caso o una scelta voluta?
«Una scelta voluta, abbiamo deciso di fermare il tour perché sarebbe stato un suicidio fare delle date proprio in quella settimana. Di sicuro non saremo in gara, perché lo sapremmo… nel senso che avremmo presentato una canzone alla commissione, cosa che non mi risulta assolutamente. Indubbiamente, se ci dovessero invitare a fare promozione per la tournée, certo, non ci tireremmo sicuramente indietro, ma finora non c’è niente».
Che effetto ti fa cantare oggi le canzoni dei tuoi esordi e che, forse, non ti rappresentano più come un tempo?
«Guarda, io mi diverto ancora molto perché cantandole ricordo il momento in cui sono state concepite e rivivo le emozioni che le hanno generate. Canto la memoria di quelle canzoni, quello che hanno rappresentato per me, non mi sento né fuori luogo né fuori tempo nell’eseguire un qualcosa che in passato mi ha rappresentato. La malinconia per il tempo che passa è una caratteristica che non mi porta pessimismo, anzi mi trasmette energia positiva e voglia di andare avanti, senza mai dimenticarmi da dove sono partito e la strada che ho percorso per arrivare fin qui».
Hai iniziato il primo tempo della tua carriera con gli 883, poi sei sceso in campo da solista con il tuo secondo tempo, come hai cantato a Sanremo. Possiamo definire questo tuo momento un po’ come l’inizio del tuo terzo tempo? Che poi per gli amanti del rugby è anche il momento più bello e divertente.
«Penso proprio di si, la vedo anch’io in questo modo, perché credo ci siano delle fasi della vita e non mi riferisco solo a un discorso lavorativo. All’inizio c’è sempre un po’ di sano entusiasmo incosciente, in cui vorresti spaccare il mondo, come ho cercato di rievocare in uno dei nuovi brani intitolato ‘Volume a 11’. Poi subentra la fase della consolidazione, in cui cerchi sempre di migliorarti professionalmente, fino al momento in cui realizzi di non sentire più il peso e l’ansia da prestazione, cominci a voler fare solo quello che ti piace e cominci a godertela davvero».
A proposito di Festival, in questa raccolta hai inserito “Finalmente tu” eseguito nel ’95 da Fiorello e non “Senza averti qui” proposta da te lo stesso anno. Per citare un’altra hit di ottoottotreiana memoria: come mai?
«Eh si, una sorta di ammissione di consapevolezza all’alba dei miei cinquant’anni. ‘Finalmente tu’ era il pezzo forte di quell’anno, che avevamo volutamente e sapientemente deciso di affidare a Rosario perché era il personaggio del momento, mentre ‘Senza averti qui’ è finita a fare un po’ il lato b”, ha fatto quello che poteva fare, cioè poco (ride, ndr) ma ha dato davvero il massimo».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi per il futuro? Come ti vedi artisticamente tra qualche anno?
Nico Donvito
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