A tu per tu con il cantautore di “Era lei”, protagonista della seconda edizione dello show di Rai Uno
Cantante e musicista d’altri tempi ma con un occhio rivolto al presente e al futuro, questa potrebbe essere la giusta definizione per descrivere Michele Pecora, artista marchigiano che ritroviamo nel sabato sera di Rai Uno tra i protagonisti di “Ora o mai più“, spettacolo musicale giunto alla sua seconda edizione. In queste settimane lo abbiamo visto esibirsi sulle note del suo cavallo di battaglia “Era lei” e in numerosi duetti con i due coach Angela Brambati e Angelo Sotgiu, al secolo i Ricchi e Poveri, oltre a numerose performance in compagnia di ospiti d’eccezione del calibro di Marco Ferradini, Marco Masini e Patty Pravo. Scopriamo insieme a lui quelle che sono le sensazioni alla vigilia delle due ultime puntate della trasmissione.
Ciao Michele, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo naturalmente da “Ora o mai più”, cosa ti ha spinto ad accettare di partecipare a questo programma?
«Le motivazioni sono molteplici, il senso nobile della trasmissione è che va a restituire valore e dignità ad artisti che hanno dedicato la propria vita alla musica, ottenendo grande successo e continuano a lavorare anche dietro le telecamere. “Ora o mai più” è un programma che mancava alla televisione e che valorizza il grande patrimonio artistico che ci appartiene.».
Come ti trovi con i tuoi compagni di avventura?
«Mi sto trovando bene, ci conosciamo un po’ tutti, con alcuni di più come con Paolo Vallesi e Barbara Cola, per lei scrissi la canzone con cui partecipò a Castrocaro all’inizio della sua carriera, intitolata “Tutto il bene del mondo”. L’ambiente è molto disteso e sereno, tra noi avvertiamo davvero poco la competizione, lo dico sinceramente, non ho mai percepito alcun segno di scorrettezza».
Con quale spirito affrontanti questa esperienza?
«Con uno spirito credo giusto, mettendomi a completo servizio dell’orchestra, della trasmissione e della musica. Una sera Fausto Leali ha detto una frase che mi ha molto colpito, riferita a una discussione tra i maestri riguardo ad un giudizio da dare nei nostri confronti,“stiamo attenti ragazzi perché l’anno prossimo potremmo trovarci noi dall’altra parte”. Ovviamente si è trattato di una battuta, ma al suo interno è racchiuso il senso dell’intera esistenza di un artista».
Arriviamo ai Ricchi e Poveri, come ti trovi a lavorare con loro?
«Ci siamo trovati da subito molto bene, oltre due grandi artisti sono persone molto cordiali e umili. Veniamo da due mondi diversi, per me il loro è un territorio un po’ inesplorato, provengo da una formazione più cantautorale, mentre loro sono due interpreti, oltre che essere un gruppo vocale e questo aspetto, secondo me, qualche piccola criticità l’ha innescata. Strada facendo, con l’aiuto di tutti, abbiamo cercato di risolvere le difficoltà tecniche. I Ricchi e Poveri rappresentano la storia della musica italiana, hanno un repertorio variegato fatto di grandi canzoni, personalmente sono molto legato a “La prima cosa bella”, il primo brano che abbiamo cantato insieme, un pezzo bellissimo che mi ha riportato a quando ero ragazzino e a quel Festival di Sanremo del 1970».
A proposito di Sanremo, sei uno dei pochissimi artisti che non ha mai preso parte alla gara, un caso o una scelta?
«Assolutamente una casualità. Quando nel ’77 ho vinto Castrocaro non era ancora previsto dal regolamento la possibilità di accedere di diritto a Sanremo, anche perché l’organizzazione delle due kermesse era diversa, da una parte c’era Gianni Ravera dall’altra Vittorio Salvetti. In più c’è anche un Festival mancato nel 1984, mi ero proposto con il brano “Me ne andrò” e la mia candidatura saltò all’ultimo momento. E’ vero, a Sanremo non ho mai partecipato come artista, ma è stata solo una pura coincidenza. Tra l’altro nel 1995 ho avuto la grande opportunità di prendere parte in qualità di autore e direttore d’orchestra del brano “Rivoglio la mia vita” di Lighea».
Tornando alla trasmissione, cosa pensi della giuria dei maestri?
«La prima cosa che ho notato e che mi ha fatto grande piacere è il rispetto che i coach hanno nei nostri riguardi, tutti quanti. Questo è molto bello, perché sono consapevoli della responsabilità del ruolo che occupano e, al tempo stesso, ci considerano come colleghi. La vita di ogni artista è fatta di alti e bassi, nessuno escluso».
Ogni artista ha il proprio cavallo di battaglia, il tuo è senza ombra di dubbio “Era lei”. Secondo te, cosa ha colpito così tanto il pubblico al punto da trasformarlo in un vero e proprio evergreen?
«Le canzoni funzionano quando le persone ci si riconoscono e ci si ritrovano. Il segreto di un brano di successo è tutto lì, nel riuscire a raccontare una storia che possa essere quella di tanti. Non necessariamente le canzoni devono essere autobiografiche o nascere in un momento di sofferenza, quando stai veramente male per qualcuno o per qualcosa l’ultimo pensiero che ti viene in mente è quello di metterti a scrivere. La parte bella di ogni autore è l’intuizione, l’aspetto che fa la differenza e che ti consente di raccontare cose che magari non hai vissuto, ma che avresti potuto vivere. “Era lei” è un brano attuale, nonostante i suoi quarant’anni d’età, probabilmente è rimasto nella memoria del pubblico perché è stato un successo radiofonico e non televisivo, forse per questo è sopravvissuto alle mode e ai decenni».
C’è una canzone meno nota del tuo repertorio che reputi altrettanto importante ma che non ha avuto la stessa fortuna o visibilità?
«Sicuramente ce ne sono diverse, una canzone che avrebbe meritato di più è “Ritrovarti”, pubblicata nel 1981, almeno a mio avviso. Potrei dirti anche “Vestita di bianco”, anche se negli anni mi ha regalato tante belle soddisfazioni, un pezzo che Warner volle farmi incidere a tutti i costi, ancora oggi è uno dei miei brani più apprezzati e richiesti».
Oltre ad essere una bella vetrina mediatica, “Ora o mai più” è sicuramente un bel percorso introspettivo che ti spinge a fare dei bilanci. Se avessi la possibilità di tornare indietro, c’è qualcosa che faresti diversamente o buona la prima?
«Con il senno di poi e con l’esperienza acquisita, forse sì. Il fatto che abbia avuto successo da giovanissimo, all’età di vent’anni, mi porta oggi a pensare che, se avessi la possibilità di tornare indietro, probabilmente agirei diversamente, ma è una questione di esperienza e di maturità che riesci ad acquisire solo con il tempo».
Uno degli aspetti positivi di questo programma è l’attenzione che viene data alla musica del passato ma anche a quella del futuro, permettendovi di portare in finale un brano inedito. Cosa dobbiamo aspettarci dal pezzo o, più in generale, dalle tue prossime produzioni?
«Il brano che ho scelto racconta una parte di me e, musicalmente parlando, andrà in direzione e nel rispetto della mia natura, che è quella di sempre, non ho alcuna intenzione di snaturarmi. Cercherò di strizzare l’occhio alla modernità, ho sempre cercato di essere attuale e in completa sintonia con i tempi, seguo molto il presente e sono attratto dall’idea del futuro».
Per concludere, al di là del contratto discografico in palio, cosa rappresenterebbe per te la vittoria più grande, il premio e la gratificazione più importante, una volta spente le luci dello show?
«La possibilità di far proseguire la mia carriera con una visibilità diversa rispetto agli ultimi anni e riuscire a propormi nuovamente dal punto di vista discografico. Se dovessi fare un bilancio della mia vita, mi reputo davvero fortunato perché ho potuto fare il mestiere che volevo con le dovute occasioni e opportunità che mi sono capitate. Il premio più importante sarà quello di continuare a svolgere il mio lavoro, ancora con più passione e determinazione».
Nico Donvito
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