In un’intervista, Renato Zero racconta il suo rapporto con il Festival di Sanremo e spiega i motivi per i quali, secondo lui, è cambiato nel tempo
Tra i protagonisti dell’ultima puntata del podcast “The BSMT” di Gianluca Gazzoli, c’è Renato Zero, indiscusso protagonista del cantautorato italiano, che si è lasciato andare ad una lunga intervista in cui ha parlato anche di una delle figure più importanti della sua carriera, Mia Martini, a pochi mesi di distanza dal trentennale della sua prematura scomparsa.
«Mimì aveva questo suo universo così delicato, così fragile – racconta Renato – quando le accollarono questa cosa della iella, fu una roba veramente pesante. Quando nel 1989 si era presentata a Sanremo, io ho tentato la carta di andare direttamente alla fonte per spingere la sua candidatura, qualcuno mi disse: bella canzone, peccato che è Mia Martini. Qualcuno mi ha pure detto: “se firmi questa carta e ti impegni a venire tutte le sere al Festival insieme a lei, va bene”, aggiungendo che se fosse crollato il teatro, almeno ci sarei stato pure io. Ho firmato la carta che purtroppo non ho mantenuto con me, ma non ce n’è bisogno, perché lo so io quello che è successo. Infatti, se ricordate, c’è stata un’intervista di Vincenzo Mollica con Mimì presente. Vincenzo mi ha chiesto se ero venuto a proteggere la mia sorellina e io risposi di sì. Questo fa capire tutto».
L’assist perfetto per parlare poi del Festival di Sanremo, al quale il cantautore romano ha preso parte in gara solo due volte, nel 1991 arrivando secondo con “Spalle al muro” e nel 1993 arrivando quinto con “Ave Maria”. Di seguito il suo pensiero a proposito della rassegna.
«Più che a San Remo, sono sempre stato devoto a San Renato – ironizza Zero – quando ci sono stato è stato bello, in particolare con “Spalle al muro” credo sia stato superato il record di applausi. Ma anche di parolacce, devo dire, perché molti mi volevano primo. Negli ultimi anni ho seguito poco il Festival, dico la verità, perché non ci credo più. Ci credevo ai tempi di Nilla Pizzi, di Mimmo Modugno, di Iva Zannicchi, perché era una vetrina, o almeno così la mostravano. Non c’era tutta questa aggressività, questo fatto che se sei primo vali e gli altri non valgono niente. La competizione non sana, diciamo. In passato vinceva realmente chi vendeva più dischi, alla fine era quello il discorso. Oggi i dischi non si vendono più e ci si aggrappa ad altro. Prendiamo “Nel blu dipinto di blu”, è diventata un successo mondiale, così altri brani che hanno fatto il giro del mondo. Quindi, figuriamoci un po’ se non posso avere rispetto per quella epoca di Sanremo. Ultimamente, però, sono subentrati aspetti che non dovrebbero appartenere a questo genere di rassegne. Ci dovrebbe essere, secondo me, una giuria che, con molta serietà, prepari i ragazzi anche un anno prima, in modo da formarli, per arrivare a quel palcoscenico con un repertorio che sia valido e anche con una consapevolezza diversa. Invece arrivano lì e vengono travolti da questa ondata. Mi ricordo che una volta i giovani quando arrivavano su quel palco erano visibilmente e tecnicamente pronti, adesso tutto è lasciato andare un po’ così, perché la musica si ritrova in un momento di cambiamento. L’auspicio è che si ritorni alle belle melodie, alle belle armonizzazioni, agli arrangiamenti impeccabili, ai grandi interpreti. Oggi sembra tutto un copia e incolla, e questo non giova a nessuno. Spero che si ritorni ad una competizione dignitosa, onesta, perbene».
Nico Donvito
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