Recensione del primo concerto allo stadio meneghino del gruppo
“Non so a che stadio siamo dell’evoluzione però forse in questa stessa frase trovo la risposta” è la citazione tratta dal singolo Dentista Croazia che mi ha fatto capire tutto, che ha spoilerato in modo più o meno velato, quello che sarebbe successo in queste due sere. Due sere in cui le Luci di San Siro si sono accese per sei ragazzi di Bergamo che solo qualche anno fa per spostarsi usavano lo stesso furgone che durante la settimana portava gli anziani a Zagabria per denti perfetti e un sorriso low cost.
Il sogno dei Pinguini Tattini Nucleari si corona così, in due caldi notti di luglio, in uno stadio, quello stadio considerato la Scala del calcio e la Scala della musica. Riccardo, Lorenzo, Elio, Simone, Nicola, Matteo si divertono e fanno divertire, si commuovono e fanno commuovere, davanti a 60.000 persone che diventano 120.000 che cantano all’unisono dalla prima all’ultima canzone.
Si parte (qui la scaletta) con alcuni pezzi estratti dall’ultimo album, Fake News, album che è ispirazione per l’introduzione e per gli abiti dei ragazzi, ritagli di articoli di giornali che vedono i Pinguini sciogliersi, i Pinguini litigare, Riccardo perdere la voce. Invece no, i Pinguini ci sono, eccome.
Si parte con “Zen” e il pubblico si scalda subito, un po’ per il caldo e un po’ per le fiamme sul palco, si prosegue con la hit dell’estate scorsa, “Giovani Wannabe”, per poi fare un tuffo nel passato con “Tetris”. Arriva “Hold On”, a mio avviso uno dei pezzi migliori, quelli da farti tatuare e così accade nel backstage. E’ una carrellata di emozioni con “La storia infinita” e le due ballad “Hikikomori” e “Bergamo” che ci riportano con la mente al periodo in cui il Covid segnava le nostre giornate e alimentava le nostre distanze.
Su “Coca zero” ballano proprio tutti, anche la nonna di Riccardo dalla tribuna, così come su “NoNoNo”, una canzone che davvero ho urlato dalla prima all’ultima nota, perché mi ricorda sempre che la felicità sta dentro alle piccole cose. Lacrima facile su “Ricordi”, che ci ha accompagnato quest’inverno come una coperta calda e c’era, davvero, nei giorni neri, quelli che piove troppo forte per stare in piedi.
Sul palco, poi, appare un tavolo, di quelli con la tovaglia a quadri che trovi nelle trattorie che sanno di casa. I ragazzi si siedono ed inizia il momento più intimo, con “Scatole”, “Giulia” e “Cena di classe”. Tutto quello che mi chiedo, però, è quale sia il livello di emozione con la quale i sei cantano, alternati, “Dentista Croazia”, il pezzo che davvero ha previsto tutto questo, il pezzo che racconta la loro gavetta, la loro carriera e la loro normalità. Che poi quello che si racconta è la bellezza di essere normali, non di supereroi, di ragazzi che avevano un sogno e ci hanno creduto, fino ad arrivare su quel palco e ricevere l’abbraccio di un pubblico che non molla e canta dall’inizio alla fine.
C’è anche spazio per un medley durante il quale San Siro si trasforma in una discoteca, si balla sulle note di “Scooby Doo”, “Verdura” e “Fede” e la stanchezza non si sente più, è andata via. Per fortuna, perché la carrellata finale non ci lascia un attimo di pace. Si prosegue con “Ridere” che non fa per niente ridere, interpretata anche nella lingua dei segni, e questo è terapeutico per tutti i cuori spezzati di San Siro, per poi passare al singolo del momento, “Rubami la notte”.
Riccardo, è inutile che annunci questa canzone come se fosse l’ultima, mancano tre pezzi importanti all’appello, non ci crediamo. Il bis è un vortice di emozioni: “Ringo Starr” che dal palco di Sanremo arriva a San Siro, “Scrivile scemo” con tanto di proposta di matrimonio e palloncini colorati che rimbalzano sul pubblico del prato e “Pastello bianco” perché sì, si doveva concludere esattamente in quel modo. Che nessuno l’ha capita ancora quale sia la differenza tra ciliegie ed amarene, ma poco importa, perché Pastello Bianco è perfetta così.
Chissà quante persone hanno urlato il proprio dolore, hanno pianto, hanno gioito, saltato, hanno sognato e hanno forse finalmente scritto a quella persona lì. E per due notti, tutte quelle persone che, come me, si sono sentite un po’ Antartide e un po’ Ringo Starr, tutte quelle persone che se ne stanno lontane dall’Hype, sono finite dentro ad una magia, una magia resa possibile da un furgone sgangherato e da sei ragazzi normali che con i loro sogni sono entrati nelle orecchie, nella vita, nel cuore, di migliaia di persone.
Ci vediamo a Campovolo.
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