A tu per tu con la cantautrice siciliana, in uscita con il suo nuovo singolo intitolato “Chagall“
L’arte dispensatrice di bellezza, questo il significato profondo di “Chagall“, il nuovo inedito di Silvia Salemi (qui la nostra precedente intervista), disponibile in radio e sulle piattaforme streaming a partire dallo scorso 25 settembre. Composto a sei mani inseme a Marco Rettani e Giacomo Eva, il brano racconta l’incontro di due anime che guardano il cielo e ne riconoscono l’immensità.
Ciao Silvia, bentrovata. Partiamo da “Chagall“, approfittando del titolo così ispirato e artistico, ti chiedo: cosa hai voluto dipingere attraverso i versi e le note di questa opera musicale?
«Ho voluto dipingere un momento storico non bello, tramutandolo in bello. Nella mia testa c’era il bisogno di raccontare, assieme agli altri due adorati autori, un momento storico brutto che, agganciandosi all’arte e alla bellezza, può assumere un parvenza diversa, sospesa. Il tutto ammorbidito da sonorità soft-rock, dalla dolcezza di queste note».
Quali pensi possano essere i punti di contatto tra la pittura e la musica?
«Ce ne sono tantissimi. La musica è una figlia minore della pittura, celebrata dai più grandi. Anche la musica smuove parecchio, negli scorsi decenni è stata portatrice di ideali significativi, per poi diventare un prodotto emotivo e commerciale. Oggi è una musica di generazione, di sfogo se vogliamo. Il rap e la trap sono generi di pancia, dotati di testi con dei significati precisi che vanno letti e non soltanto giudicati, oltre che inseriti in una logica di fase storica. Questi nostri giovani si orientano e vengono orientati dalla musica, come è giusto che sia».
Per fare un parallelismo con la tua carriera, arrivati a questo preciso momento del tuo percorso, come lo definiresti questo tuo attuale periodo artistico? Impressionista, realista, futurista, cubista…
«Non c’è un termine che si può adattare a questo mio periodo, se non: in evoluzione… perchè l’arte stessa è in evoluzione. Mi baso sulla ricerca continua, ho ampliato i miei percorsi su diversi versanti, sono entrata in tanti vasi emozionali dell’intrattenimento, dello spettacolo, dell’esposizione mediatica. Tutto questo perchè avevo bisogno di comunicare con la gente, trasmettere la forza di un’esistenza alle persone. Dalla radio al teatro, passando per la televisione… tutto è figlio della mia stessa esigenza di comunicare».
Venendo all’attualità, a livello sociale, cosa speri che questa inedita e delicata situazione ci stia insegnando?
«Guarda, onestamente noto più attenzione nei confronti dell’ecologia, il nostro pianeta sta soffocando. Questo Coronavirus ci sta insegnando ad essere più rispettosi degli altri, di conseguenza anche delle nostre risorse. Personalmente credo che sia aumentata l’educazione, si è più carini verso gli anziani, si rispettano le file, sto notando piccoli ma importanti segnali sociali. Stiamo passando indubbiamente un brutto momento, ma l’unione fa davvero la forza. Il popolo italiano è pieno di risorse, ce ne tireremo fuori».
Per concludere, secondo te, quale può essere il ruolo della musica in questa complicata situazione e quale il ruolo delle istituzioni nei confronti della musica?
«Sono un po’ critica nei confronti delle istituzioni, perchè è stato fatto davvero poco per l’intero settore. D’altro canto non mi sento di lanciare sentenze, vista la complicata situazione. Però bisogna ammettere che già prima del Covid i lavoratori dello spettacolo non godevano di particolari attenzioni, non siamo mai stati considerati una vera e propria categoria, anche a causa probabilmente di una nostra incapacità a fare gruppo. Se non siamo i primi noi ad essere uniti come possiamo risultare credibili nel porre delle istanze? Vero è che sono tanti i settori in crisi, su questo non c’è dubbio, ma dietro le facce conosciute della musica, della televisione e del cinema, ci sono migliaia di persone che stanno vivendo un momento di difficoltà. Il mio appello alle istituzioni è quello di pensare a queste famiglie che, probabilmente, per altri ulteriori mesi soffriranno per questa profonda crisi. Senza concerti e senza spettacoli non si svilupperanno volumi, attenzione a non banalizzare il problema. Quando eravamo chiusi in casa, a tenerci compagnia erano le canzoni, i film e le serie tv, quindi pensiamo a tutte le persone che mandano avanti questa enorme macchina dello spettacolo».
Nico Donvito
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