L’ultimo Festival ha visto trionfare in sinergia novità e tradizione, ma in passato Sanremo è stato teatro di feroci scontri generazionali
Prima parte (dalle origini agli anni ’70)
Quella appena trascorsa è stata un’edizione del Festival di Sanremo da record non solo per gli ascolti. Grazie all’affermazione di ‘Brividi‘, Blanco è diventato a 19 anni il più giovane vincitore maschile della storia del Festival (imbattibile il record assoluto di Gigliola Cinquetti, fermo dal 1964), con Mahmood che questa volta rappresenta il gradino dei più giovani dopo essere stato addirittura il più anziano del trio finalista nel 2019 (la sua ‘Soldi‘ sfidava in quell’occasione Ultimo e Il Volo). A 77 anni Gianni Morandi è diventato il più anziano artista ad essere salito sul podio della manifestazione, superando il precedente record – 68 anni – detenuto da Roberto Vecchioni e Al Bano, che occupavano i due terzi del podio dell’edizione 2011, presentata proprio da Morandi, e da Gino Paoli, terzo nel 2002. Il sigillo sull’equilibrio generazionale sembra ulteriormente garantito dal secondo posto di Elisa, perfetta rappresentante dell’età di mezzo della canzone.
Se Sanremo 2022 ha concesso visibilità e successo – radiofonico, commerciale o mediatico – tanto agli artisti che hanno vissuto l’età d’oro della discografia quanto ai beniamini della generazione dello streaming, la lunghissima ed altamente conflittuale storia della più antica competizione canora al mondo è ricca di scontri generazionali e sfide interne tra vecchie glorie e debuttanti, esponenti della canzone classica e aspri contestatori della stessa.
Le prime edizioni |
Le prime edizioni del Festival, trasmesse esclusivamente in radio, furono guidate dalla conduzione del cinquantenne Nunzio Filogamo e dalle trionfanti incursioni canore della prima regina della canzone, la trentenne Nilla Pizzi. Sanremo, ai suoi esordi, non era ancora un palco adatto ai ragazzini. Fino al 1954 la forbice anagrafica dei concorrenti andava dai 27 anni ai 42 dell’esordiente Natalino Otto, pioniere dello swing italiano negli anni ’40.
Un primo tentativo di ringiovanimento del corpus festivaliero avviene l’anno successivo con la grande svolta della trasmissione televisiva. Gli spettatori scoprono per la prima volta le fisionomie dei propri beniamini e sembrare giovani non conta più per restare competitivi nella grande giostra della canzone: bisogna esserlo. Filogamo viene sostituito dal giornalista trentenne Armando Pizzo e dall’annunciatrice ventitreenne Maria Teresa Ruta, mentre tra gli artisti in gara si mettono in mostra le coetanee Jula De Palma e Nuccia Bongiovanni e il venticinquenne Tullio Pane, che trionfa con Claudio Villa.
Ma a Sanremo la spinta innovatrice non è affatto conclusa. Nel 1956 l’organizzazione del Festival opta per una svolta radicale: escludere le star delle edizioni precedenti e istituire un concorso per voci nuove aperto a cantanti non professionisti. I vincitori Clara Vincenzi, Franca Raimondi, Gianni Marzocchi, Luciana Gonzales, Tonina Torrielli e Ugo Molinari, che hanno avuto la meglio sulle oltre seimila candidature pervenute, hanno tutti tra i 21 e i 27 anni. Al momento, tuttavia, la voglia di novità riguarda solo una questione anagrafica e televisiva, col tentativo, che si rivelerà fallimentare, di moltiplicare il numero di cantanti attivi sul panorama italiano. Sul fronte musicale la differenza tra un cantante esperto e una nuova leva è appena percepibile: gli autori dei brani interpretati sono prevalentemente gli stessi e di fatto gli unici generi ammessi al Festival sono la canzone drammatica e il motivetto allegro, in voga già da decenni. Per ovviare allo scarso successo dell’edizione, di fatto un Sanremo giovani ante litteram, fu aggiunta alle tre serate di concorso una quarta giornata dedicata ai successi e ai protagonisti delle edizioni precedenti.
La passerella conclusiva di divi che si voleva rinnovare diventa in questo modo l’ulteriore affermazione televisiva di pochi volti noti della canzone a discapito dei debuttanti. Nilla Pizzi, Claudio Villa, Achille Togliani e gli altri pionieri della prima gara canora al mondo s’impongono definitivamente come i beniamini del pubblico e Sanremo torna sui suoi passi: è la prima restaurazione nella storia del Festival, accentuata dal ritorno alla conduzione di Filogamo, al debutto in TV.
Il ciclone Modugno |
Per avere una nuova scossa bisogna aspettare il 1958. La veterana Nilla Pizzi torna a gareggiare dopo alcuni anni di pausa ed è per tutti la vincitrice annunciata. ‘L’edera’, interpretata in abbinamento a Tonina Torrielli, è per composizione e arrangiamento un brano classico con qualche accenno di sassofono che apre timidamente a nuovi mondi musicali. A scardinare lo status quo della canzone italiana ci pensa però Domenico Modugno, che affiancato dal giovane ma più classico Johnny Dorelli, ribalta i pronostici della vigilia impressionando le platee per la forte innovatività della sua ‘Nel blu dipinto di blu‘, scritta assieme al giovane autore Franco Migliacci.
Modugno, fino ad allora attore, autore musicale e conduttore di programmi radiofonici assieme alla moglie Franca Gandolfi, è il primo cantautore della storia del Festival, mescolando dunque le carte non solo dal punto di vista artistico ma portando con la sua affermazione alla crisi della netta distinzione tra autori e interpreti, fino ad allora data per scontata. L’esibizione dell’artista pugliese è innovativa, qualcuno la accosta alla novità segnata dalla black music in America, ma Volare è gridata, cantata, recitata in modo assolutamente inedito, e appena plana sugli Stati Uniti anche il vecchio continente si accorge della sua unicità. Modugno otterrà tre candidature ai Grammy Awards, portando a casa il titolo di miglior canzone dell’anno e quello di miglior registrazione. Ebbe la meglio su artisti del calibro di Frank Sinatra, Perry Como, Peggy Lee. Nilla Pizzi, seconda classificata, si rifarà dalla delusione imponendo la stessa ‘L’Edera’ in vetta al concorso parallelo Canzonissima.
Il compromesso tra innovazione e tradizione |
L’affermazione di Modugno aveva ormai lasciato uno squarcio che non si poteva ricucire. Le edizioni seguenti del Festival furono segnate dal forte scontro non solo tra artisti, ma anche tra pubblici opposti, un aspro confronto che spesso aveva connotazione generazionale. Da un lato c’erano i giovani come Tony Dallara, Mina e Celentano, che s’inserivano nel solco del successo di Modugno e pochi anni dopo del rock’n’roll (abbiamo parlato qui della storia del rock a Sanremo), dall’altra i cosiddetti vecchi, spesso anagraficamente coetanei dei loro rivali ma legati indissolubilmente ad un idea atemporale di canzone che il mondo della discografia iniziava a mettere in dubbio. Per trasformare lo scontro in guadagno, le etichette discografiche iniziano ad affiancare artisti classici e voci moderne, sfruttando il regolamento di allora che prevedeva la doppia interpretazione dello stesso brano.
Qualche esempio: l’esuberante e “singhiozzata” ‘Romantica’ di Tony Dallara abbinata alla versione strappalacrime del quasi cinquantenne Renato Rascel, autore del brano e a lungo il più anziano vincitore della manifestazione, la versione tenorile di ‘Al di là‘ cantata da Luciano Tajoli contrapposta all’interpretazione più moderna della venticinquenne Betty Curtis, ma soprattutto il capolavoro discografico che porta nel 1962 alla vittoria congiunta con ‘Addio…addio‘ di Domenico Modugno e Claudio Villa, simboli del mondo che era cambiato e di quello che non voleva cambiare, riuniti in un momentaneo armistizio che tra l’altro portò entrambi a tre vittorie complessive.
La tregua generazionale, raggiunta dopo il decrescente successo del rock’n’roll e del movimento degli “urlatori”, sembra tornare in discussione nel 1964. La vittoria dell’appena sedicenne Gigliola Cinquetti con ‘Non ho l’età‘, successo bissato pochi mesi dopo all’Eurovision Song Contest, fa dormire sonni poco tranquilli ai vecchi leoni della canzone, e lo stesso Modugno questa volta passa dall’altra parte della barricata, definendo la vittoria dell’inesperta concorrente “una buffonata pazzesca”. È ancora una vittoria pacificatoria a placare gli animi: due anni dopo la Cinquetti e Modugno sbaraglieranno la concorrenza con due intense versioni di ‘Dio, come ti amo‘.
Protesta e rivoluzione con il fenomeno dei “capelloni” |
Il maggio francese è vicinissimo, e ben presto si allargano a macchia d’olio in tutto il mondo i moti di protesta giovanile contro sistemi politici e sociali che sembrano ignorare le loro rivendicazioni. La musica non può non risentirne, e la nascente canzone di protesta, unita al crescente fenomeno delle band musicali d’ispirazione londinese, è violentemente criticata dai sostenitori della canzone tradizionale. Questa volta non sono solo i suoni e le voci a dividere gli appassionati ascoltatori del Festival, ma anche il modo di vestire e di porsi dei più giovani, ritenuto poco rispettoso della morale comune. In particolar modo ad agitare la polemica sono in particolare modo i “capelloni”, amatissimi dagli adolescenti e visti dalla parte conservatrice della società come l’esempio negativo per eccellenza, come testimoniò tra gli altri Luigi Tenco in una delle sue poche apparizioni televisive.
Proprio uno dei giurati che bocciò la sua ‘Ciao amore, ciao‘, Sandro Delli Ponti, inviato del Resto del Carlino, si espresse con toni severissimi a margine di un dibattito sul tema: “Noi non ascoltiamo altro che accozzaglia di note… poi questi signori che si fanno crescere i capelli, che hanno un sentore di pidocchi fra le altre cose, si presentano alla ribalta strepitando a più non posso e non facendoci mai sentire una vera canzone!”.
Il rock esplose in tutto il mondo e avere i capelli lunghi per un musicista non fu più un problema. Qualche problema invece lo ebbe Sanremo. Il ristretto palco del Teatro del Casinò e l’ingessata platea di spettatori non erano evidentemente elementi a favore della proliferazione dei nuovi impulsi musicali.
Fine prima parte
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