Riflessioni sconclusionate (e nostalgiche) in una giornata di tardo autunno
Sarà capitato anche a voi, in questa fine d’autunno, di vivere una giornata di nostalgia o “di profondissima quiete” che solo una bella canzone strappalacrime potrebbe riempire. Sono certo che, a coloro i quali sarà capitato, l’istinto di prendere le cuffiette e ricercare qualche brano adatto al momento non potrà essere sfuggito. Ebbene l’ho fatto anch’io l’altro ieri quando, una mattina, mi sono alzato e una fitta nebbia aleggiava nell’aria. La prima nebbia di stagione, per me che abito nella profonda campagna veneta, significa soltanto una cosa: è giunto il momento in cui l’autunno inizia a far sul serio, in cui le foglie cadono tutto d’un tratto, le temperature iniziano a scendere, le stufe si accendono e dall’armadio riaffiorano i vecchi cari plaid. Come non essere nostalgici in giornate come queste? E’ una nostalgia positiva, sia chiaro: un sentore di familiarità, di calma, di distensione generale.
Ecco, tra la stufa, il plaid e la prima cioccolata calda (ovviamente con la panna, altrimenti non vale) l’istinto di guardare alla mia collezione di dischi e vinili per prenderne uno e completare l’atmosfera non poteva certo essere rinnegato. Così mi sono alzato e tutto avvolto dalla mia coperta ho cercato tra gli ultimi arrivati qualcosa che facesse al caso mio. Peccato che non abbia trovato niente: non un pezzo triste, lento, d’atmosfera. Niente di niente. E’ da qui che nasce la mia riflessione di oggi.
Possibile che nella musica italiana attuale oltre alle mode che segnano l’autore del momento, il produttore del momento, l’artista del momento, il suono del momento, il modo di scrivere del momento ci sia anche la moda che detta il mood sonoro del momento? Possibile che se Tommaso Paradiso e i suoi Thegiornalisiti confezionano in qualche mese così tante hit che parlano di sole, spiaggia, mare (e Berlino) allora tutti gli altri parlano della stessa medesima cosa? Possibile che se Tiziano Ferro registra un album contenente dei pezzi che godono di un arrangiamento electropop allora tutti gli altri facciano la stessa cosa? E lo stesso dicasi per la corsa alla produzione di Michele Canova piuttosto che l’adozione dei cosiddetti “nuovi” suoni urban o del proverbiale accorciamento dei brani a favore di annullamento quasi totale delle strofe e degli assoli strumentali.
Ebbene voglio dire grazie a tutti voi che avete dettato queste mode e grazie, ancor di più, a quei codardi che pur di non dire la loro in modo autentico hanno scelto la convenienza di copiare qualcosa che, già di per sé, funziona ampiamente. Peccato, però, che quello che tutti stanno copiando non è quello che cerco io ora.
Morale della favola, però, che ascolto in questa mia giornata di malinconia? L’unica possibilità che mi è venuta in mente è quella di tornare indietro nel tempo e così son andato a rifugiarmi nella mie care dee della canzone italiana che nulla hanno da invidiare alle nuove insipide e inconsistenti giovinette del karaoke. Mi son rifugiato per l’ennesima volta nella profondità piena di dolore di Mia Martini, nel pathos malinconico di Mina, nella classe d’altri tempi di Patty Pravo e nella sperimentazione votata alla bellezza di Anna Oxa. D’altronde il presente non mi offriva nulla di altrettanto malinconico, autunnale e triste: Noemi è votata al tipico “sotto il sole” della firma di Tommaso Paradiso, Annalisa ha adottato il beat sintetico delle tastiere della produzione di Michele Canova e Francesca Michielin canta della lava vulcanica che non si sposa esattamente con le temperature odierne.
Possibile che non esista più un’artista che si senta triste, malinconico o angosciato dal dolore? Persino Tiziano Ferro è guarito dalla sua profondissima inquietudine e non mi dona più alcuna magica colonna sonora per i miei inverni padani. Che qualcuno spieghi a questi “artisti” che l’inverno dura, nell’arco di un anno, esattamente quanto l’estate. C’è bisogno di musica per entrambe le stagioni!
Ilario Luisetto
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