Chi affossa i big della canzone italiana: la tradizione o l’innovazione?
Viviamo in un periodo storico che per la musica non è di certo dei più floridi: i dischi non li vende più nessuno, si sa. Il disco d’oro, prima vera certificazione ufficiale, fu consegnato in Italia per la prima volta poco più di 70 anni fa (era 1952) e aveva un valore di 1 milione di copie; oggi vale “nemmeno” 25.000 copie (dico nemmeno perché sappiamo bene che non tutte le copie calcolate sono reali, visto che includono anche semplici ascolti digitali che non corrispondono ad una vendita effettiva). In totale, ad oggi, la certificazione minima di vendita ha perso il 97,5% del suo valore originale. Direi che non si sta parlando di bricioline.
Ma non abbiate timori, ognuno di noi (e con “noi” intendo quelli della mia generazione, gli under 30) è cresciuto con il mito dei “super-big” che vantano, oltre al titolo enigmatico di cardinale della musica italiana, anche fantomatiche vendite e decine e decine di concerti sold-out nei palazzetti, o meglio ancora negli stadi, più grandi d’Italia. Ma chi sono, in realtà, costoro?
Se proponessimo un sondaggio il risultato darebbe, probabilmente, come risposta un range di nomi sufficientemente ristretto e delimitato. Nomi che, vista la base del campione indicato poc’anzi, andrebbero da Laura Pausini a Tiziano Ferro, da Vasco Rossi a Ligabue fino alle più giovani donzelle di Giorgia ed Elisa. E poi, ovviamente, ci sono Jovanotti, Gianna Nannini, Eros Ramazzotti, Zucchero, Biagio Antonacci e, forse in percentuale minore, i Negramaro e i Modà. Ebbene, oggi siamo qui a dimostrare che non solo in ambito politico i sondaggi si sbagliano. Siamo davvero sicuri che questi nomi siano davvero degni di essere ancora definiti “super-big” delle vendite italiane? Hanno davvero ancora questo primato? La risposta logicamente è no. Non saremmo qui altrimenti.
L’ultimo album di Gianna Nannini, quell’Amore gigante (qui la nostra recensione) dai mille colori, è stato pubblicato da 8 settimane e non ha ancora raccolto nemmeno il disco d’oro (25.000 copie) così come il singolo radiofonico che ha fatto da apripista al progetto, la martellante Fenomenale, che malgrado sia stata risuonata a non finire dalle radio non ha ancora ottenuto la certificazione minima alla distanza di ben 14 settimane. Non esattamente un successo per l’unica rock-star italiana che, dopo Loredana Bertè, ha venduto qualche milione di copie nella sua carriera.
Poco diverso è il discorso per Biagio Antonacci, altro storico big della nostra canzone che questo autunno è tornato sulle scene con il suo Dediche e manie ma che, finora, ha raccolto ben poco: un disco d’oro conquistato in 5 settimane per il disco (l’album d’inediti precedente eguagliò il medesimo risultato in 3 settimane in periodo dell’anno decisamente meno favorevole per le vendite) e nemmeno 15.000 copie per il singolo apripista, In mezzo al mondo.
La ristampa natalizia di Laura Pausini si è rivelata essere un grandissimo flop: mai entrata nemmeno in top20 settimanale nella classifica FIMI, la regina del pop italiano non sta collezionando risultati all’altezza del suo nome già da qualche stagione ed il ritorno con il prossimo album d’inediti si rivelerà cruciale.
Tiziano Ferro, Zucchero, Vasco Rossi, Eros Ramazzotti, Giorgia ed Elisa sono caduti tutti vittime di inutili e vuote riedizioni dei propri lavori o in ennesime raccolte ufficiali di brani che hanno fatto la storia della musica almeno 10 anni fa. Il cantautore di Latina ha ristampato Il mestiere della vita con il quale ha ottenuto finora 5 dischi di platino per l’album e 5 dischi di platino e 2 dischi d’oro per i singoli (con il precedente album ottenne 8 dischi di platino per l’album e 5 per i singoli senza bisogno di alcuna riedizione). Il blues man emiliano ha stampato l’ennesima raccolta (Wanted) con cui è ancora a secco di certificazioni dopo 7 settimane, esattamente come la cantautrice friulana che con la raccolta del ventennale (anche se non ufficialmente promossa) non ha ancora incassato alcun riconoscimento dopo 16 settimane. Vasco è, forse, l’unico a continuare a portare a casa risultati degni di nota grazie all’ultimo cofanetto del Vasco Modena Park.
Il ritorno discografico dell’anno doveva essere quello di Jovanotti che, però, a quanto pare sembra aver mancato l’obietto di clamorosi risultati: che differenza c’è tra il suo disco d’oro in appena una settimana ed il medesimo risultato ottenuto dai Negramaro o da Cesare Cremonini? Due nomi certamente importanti nella nostra discografia ma, forse, non di certo all’altezza dell’artista più venduto di tutto l’ultimo decennio in Italia. A questo si aggiunge lo scarsissimo riscontro raccolto dal singolo Oh, vita! appena disco d’oro in 5 settimane.
Che sia, forse, il caso di riconsiderare il concetto di big o i nomi a cui tale aggettivo va accostato? Il che non significa che occorri per forza mettere il tutto sul piano delle vendite. Anche perchè il vero problema di questi artisti è quello di mantenere alto l’interesse per sè e la propria musica dopo anni e anni di carriera: insomma, nessuno di loro è più un novizio nel settore discografico e, forse, il pubblico ha semplicemente imparato a non potersi più aspettare da loro qualcosa di nuovo e rivoluzionario dopo tanti album e singoli sfornati uno uguale all’altro. O, viceversa, a furia di sforzarsi per adattarsi al presente questi nomi sono andati incontro all’inevitabile destino di perdere la propria identità entrando a far parte di quella massa indecifrabile e indistinguibile della musica d’oggi. Colpa della tradizione o dell’innovazione, insomma? A voi la scelta. Fatto sta che, forse, dovremmo imparare a convivere con l’idea che i big sul piano delle vendite non esistono più o sono altri.
Ilario Luisetto
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