Diventare maturi attraverso una canzone
Una canzone nata come una preghiera, un’invocazione verso quel Dio che non sempre è facile sentire al nostro fianco, e divenuta, poi, un’analisi interiore, quasi una maturazione di quella consapevolezza che capisce l’importanza di guardare se stessi prima di puntare il dito verso gli altri. Tutto questo è Ed io, il nuovo attesissimo singolo radiofonico di Valerio Scanu che anticipa e promuove la pubblicazione del suo prossimo album d’inediti a due anni di distanza da Finalmente piove.
Ho scritto parecchio in queste ultime settimane di questa canzone, l’ho fatto per dovere di cronaca perché credo che il mio lavoro si basi essenzialmente su questo: far conoscere la musica con sincerità, onestà e libertà senza accordi, preferenze o diktat. Cerco, nel mio piccolo, di parlare di tutti negli stessi termini, di riservare a ciascuno il proprio spazio prima ancora di lanciarmi in quell’irrefrenabile tendenza ad ascoltare e giudicare che, in qualche modo, costituisce l’altro importante ed imprescindibile tassello di quella che da anni immagino come la mia libera passione, non il mio lavoro: e badate, c’è una differenza abissale tra le due cose soprattutto nell’ambiente dell’informazione musicale (web incluso).
Oggi, però, sono qui perché dopo aver annunciato in stile “signorina buonasera” la pubblicazione del brano, averlo calorosamente accolto e giudicato dall’alto del sogno che cullo fin da bambino, e cioè quello di dare voti a destra e a manca, penso sia giusto dedicare a questa canzone in particolare un pensiero più completo, articolato e personale. Senza stare troppo a badare a date, numeri e comunicati stampa. Oggi voglio parlare di Ed io per come l’ho ascoltata, capita e vissuta io.
Ed io, lo dicevo in apertura, è, a mio modo di vedere, una canzone sulla maturità. Non quella del caro Antonello Venditti, s’intenda, ma quella di un giovane ragazzo che si trova a diventare un uomo maturo e consapevole sotto diversi aspetti: quello musicale, certo, ma probabilmente anche quello umano, interiore e spirituale.
Valerio canta di sè, lo fa in modo limpido, lineare, chiaro ma lo fa perché ora ha finalmente compreso ciò che stava cercando di cogliere. “Quante volte ho pensato di parlarti in tutti questi miei silenzi” racconta fin dall’inizio l’intima strofa che permette fin da subito l’apertura di una finestra di decifrazione parallela in cui il tutto risuona come una confessione ad un misterioso destinatario che poi, nel corso delle battute, si rivelerà essere proprio quell’ “io che mi nascondo dentro il mio universo come una stella appena nata che si sente persa“. L’intreccio della narrazione lega, poi, tra l’io, l’essere parmenideo, e l’essenza eterna, l’ultimo motore immobile di Platone, formando un complicato ed astratto meccanismo che conduce a quella maturità che questo brano rappresenta.
“E lo so che non hai il tempo di ascoltarmi se sono l’ultimo tra i tuoi impegni” canta con intensità il giovane Scanu che pare aver capito quanto sia importante e fondamentale la comprensione di sé, dei propri tempi e del proprio essere. Quell’essere che fa si che si sia ma anche che ci si senta essere. Ed è questa la chiave di volta di questo artificioso edificio conoscitivo-filosofico: Valerio Scanu pare aver finalmente capito di sentirsi essere dopo aver sempre saputo, forse, di essere. Le parole e la musica di una matura ed intensa ballata, scritta e composta dai mai banali, e contemporaneamente mai troppo lontani dall’oggi, Simonetta Spiri e Tony Maiello, riescono in tutto ciò. Non a caso l’apertura del primo inciso recita “sono tante quelle cose che non ti ho mai detto e che mi porto dentro, troppe da poterne sopportare ancora il peso mentre tocco il fondo“.
Ed io è la liberazione di una voce, ma ancor prima di un’essere, che si è scoperto finalmente maturo, nuovo e tradizionale allo stesso tempo. Si canta di vita, di fede, di amore verso di sè, verso l’altro e verso Dio. Quel Dio che è forse difficile da vedere oggi più che mai ma che, allo stesso tempo, sa fornire sempre un importante e certa luce nella notte per trovare il punto di fuga o, per meglio dire, di maturazione.
“Canta Valerio Scanu” avrebbero detto sul palco dell’Ariston ma, lasciatemi dire, poco importa in questo caso perché il brano, oggettivamente, è una delle cose più belle che si possano ascoltare attualmente: una di quelle canzoni capaci di raccontare qualcosa di vero con gusto, classe e concretezza a prescindere dall’artista. Valerio, poi, ci mette la sua bella voce, perfetta per questa ballata e questa produzione così lontana da quei giochetti insensibili dell’oggi radiofonico che quasi pare non poter essere vero. Non piace? Pazienza. D’altronde non tutti siamo maturi: alcuni lo diventeranno, altri, ahimè, non lo diventeranno mai ed è, forse, un bene. Non disperate ci sarà sempre un “Despacito” per voi pronto a farvi ballare liberi senza correre il rischio di smentire i pregiudizi che vi siete costruiti nel tempo e che non potreste sopportare di vedere smentiti. Almeno sulla carta.
Dal canto mio, perchè alla fine sono io che scrivo qui, felice di essermi ricreduto. O meglio, felice di esser diventato maturo e aver compreso quanto la libertà in musica sia importante e fondamentale per il proprio essere.
Ilario Luisetto
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