venerdì 22 Novembre 2024

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Mike Sponza: “I miei anni ’60 tra divertimento e ribellione” – INTERVISTA

A partire dal 22 giugno disponibile il nuovo album del chitarrista, intitolato “Made in the Sixties”.

Mike SponzaAnticipato dal singolo Blues for the Sixties, arriva l’inedito progetto disco di Mike Sponza, un tributo agli anni ’60, un decennio che ha rappresentato l’evoluzione dell’arte e della cultura per il mondo intero, non soltanto dal punto di vista musicale. Dieci canzoni, una per ogni anno, che l’artista ha composto ispirato dai ricordi e dai diversi stili che, proprio in quel periodo, trovarono il massimo splendore, dal rock al soul, passando per il pop e le atmosfere più acustiche.

Ciao Mike, partiamo da “Made in the Sixties”, da quale intuizione sei partito per la realizzazione di questo disco?

«Stavo cercando un’idea per il nuovo disco e guardandomi intorno mi sono visto circondato da tanti richiami a quel periodo, ho pensato che potevo “usare” questa mia ossessione per farci delle canzoni. Ho iniziato a scrivere i brani, dividendo tutte le informazioni anno per anno, ed in effetti la cronologia è diventata proprio l’ossatura dell’album. L’incontro con il grandissimo Pete Brown ha dato poi la forma definitiva alle 10 canzoni che compongono il disco».

Cosa ti affascina così profondamente degli anni ‘60?

«Penso che sia stato un periodo in cui il senso di innovazione e di progresso avanzava con radici solide, la voglia di divertirsi era affiancata a quella di ribellarsi; tutta la cultura ha fatto un passo enorme in avanti e ha creato dei classici in ogni campo».

Credi che la musica di oggi necessiti di riscoprire un po’ di purezza e innovazione tipiche di quel decennio?

«Credo che andrebbero recuperate l’energia e l’organicità, bisognerebbe eliminare un bel po’ di digitale e tutte le scorciatoie ad esso collegate».

Come valuti l’attuale situazione discografica del nostro Paese e il livello generale delle proposte che il mercato ci offre?

«Il chitarrista blues 48enne che c’è in me ti darebbe una risposta molto breve e netta, ma siccome ascolto molto le cose nuove (grazie anche ai miei figli…) devo dire che c’è molta buona qualità e progettualità. Prendo le distanze da un certo pop mainstream, da una certa scena indie che indie più non è, dal trash di certo rap… Vorrei sentire più chitarre incazzate e meno tastierine da videogiochi, più batterie vere e meno rumorini ritmici inutili, più rock e meno trap».

Tra le dieci tracce presenti, cosa ti ha spinto a scegliere come primo estratto il singolo “Blues for the Sixties”?

«È un pezzo con una bella energia, diretto, un testo semplice, che spiega il perché del disco. È l’ultimo brano dell’album e si riallaccia al primo chiudendo così il cerchio. È dedicato al mio anno di nascita: il 1969».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come è nata la tua passione per la musica?

«Ho sempre avuto dischi in giro per casa, fin da piccolo, ovviamente tutta roba sixties, quindi l’imprinting nasce da lì. Poi verso i 13 anni ho scoperto la chitarra, che allora era ancora uno strumento di moda, una cosa da fighi. Un percorso abbastanza tipico per uno della mia generazione…».

Quali ascolti hanno accompagnato la tua crescita?

«Anche qui il percorso è molto tradizionale!!! Beatles, Elvis, Chuck Berry, The Shadows, John Mayall, Clapton, Hendrix, ma anche molti artisti della mia adolescenza – degli anni ’80: penso a Paul Young, R.E.M., Springsteen.  Poi negli anni mi sono tuffato profondamente nel blues e nel jazz».

Sempre a proposito di anni ‘60, nell’eterna “lotta” tra i Beatles e i Rolling Stones con chi ti schieri?

«Ammiro gli Stones, ho tutti i loro dischi, ma al primo posto metto i Beatles. Non solo come musica ma anche come fenomeno culturale. Non mi identifico in certi atteggiamenti alla Stones, preferisco Harrison a Richards, Ringo a Watts. Dal punto di vista autorale, non si discute nemmeno».

C’è un momento o un incontro che reputi fondamentale per il tuo percorso artistico?

«Se penso ad un mentore, penso a Bosko Petrovic, figura storica del jazz europeo, con cui ho collaborato per diversi anni: mi ha veramente mostrato la via del professionismo, ed allo stesso tempo aperto orizzonti artistici importanti per me ancora oggi.  La mia esperienza giovanile al fianco del bluesman italiano Guido Toffoletti ha sicuramente lasciato un segno indelebile nel mio approccio alla musica. Infine, le collaborazioni con musicisti inglesi ed americani di grande esperienza (penso a Dana Gillespie, Bob Margolin, Georgie Fame), sono tutte cose che mi hanno formato tantissimo».

Mike SponzaQual è l’insegnamento più importante che hai appreso dalla musica?

«La musica è come la vita in piccola scala. Ti muovi nell’ambiente musicale e vedi di tutto: le dinamiche tra i membri in una band; l’ego; il duro lavoro; il divertimento; il successo e le frustrazioni. Sicuramente ho appreso che bisogna farsi il mazzo, sempre».

Hai suonato in mezza Europa, quanto conta per te la dimensione live?

«Ho sempre suonato tanto dal vivo: il palco è una dimensione in cui sto benissimo. Penso che un musicista debba prima di tutto portare la sua musica in giro e diffonderla attraverso i concerti, piuttosto che crearla a tavolino in studio. Il vero lato “social” della musica è quello dal vivo».

Un aspetto positivo e uno negativo del fare musica oggi?

«Positivo: il privilegio di vivere di creatività in un mondo di fogli excel.
Negativo: forse è diventato troppo banale accedere alla musica e vedo molte tendenze a creare del disvalore intorno al musica piuttosto che a valorizzarla».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblicoattraverso la tua musica?

«Non c’è nessun messaggio, non mi considero un filosofo o un guru… Io voglio solo fare quello che ho sempre desiderato da quando avevo 13 anni: suonare la chitarra».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.