Claudio Baglioni ha scelto per quest’anno un cast pieno di rap: scelta giusta o tentativo inutile di avvicinare due mondi distanti?
Sanremo e Rap, Rap e Sanremo: due universi diversi e distanti, due poli opposti che nella storia si sono toccati, incontrati, sfiorati ma probabilmente mai compresi del tutto.
Eppure se si va a pescare nella lunga e gloriosa storia della kermesse gli episodi d’incontro non sono stati pochi: si pensi ad esempio al lontano 2001 dove tra i superospiti figurò un certo Eminem, censurato e contestato e tutt’altro che a proprio agio davanti al pubblico di “mamma Rai”.
Poi c’è chi il rap l’ha portato in gara: come dimenticare i Sottotono che proprio nello stesso anno in cui Enimen figura tra gli ospiti, arrivano sul palco con il pezzo romantico Mezze verità (classificato alla fine al 14esimo posto su 16), brano che suscitò sentimenti e pareri contrastanti tra pubblico e addetti ai lavori, con l’annessa accusa di plagio partita da Striscia la Notizia e sfociata poi in una accesa polemica tra i componenti del collettivo e il programma di Mediaset.
Ma la strade del rap italiano e del Festival si sono incrociate ancora parecchie volte, dal palco dell’Ariston sono passati ad esempio Piotta e Frankie Hi-nrg (quest’ultimo ritornato poi nel 2014), ancor prima, anche se in pochi se lo ricordano, su quel palco passò anche un certo Mikimix, ovvero un giovane cantautore che da lì a poco avrebbe cambiato nome, stile ed identità diventando Caparezza e sfondando alla grande senza però incrociare di nuovo la strada del Festival.
Poi di colpo passano gli anni e il rap italiano sembra intraprendere un percorso di crescita totalmente differente e distante dai canoni sanremesi, artisti quali Fabri Fibra, Salmo, Club Dogo, Marracash entrano prepotentemente nel mercato mainstream italiano creandosi da soli a loro volta un mercato che porta pian piano all’esplosione del genere a 360°, fino ad oggi, dove il rap domina senza alcun dubbio classifiche di vendita e classifiche virali. Nel mezzo da non dimenticare comunque piccole parentesi con artisti come Rocco Hunt, vittorioso nel 2014 tra le nuove proposte e in gara tra i big nel 2016, e Clementino, presente addirittura per due anni consecutivi (2016 e 2017) tra i big del Festival, con la prima partecipazione nettamente più redditizia ed apprezzata dal pubblico rispetto alla seconda. Se guardiamo l’ultimo Festival poi, di fatto di rap non troviamo la minima traccia se escludiamo il brano Il mago, proposto da Mudimbi tra i giovani.
Eppure quest’anno qualcosa pare essere cambiato visto che il “dittatore artistico” Claudio Baglioni ha scelto nel cast un numero importante di artisti che navigano all’interno o molto vicino al mondo del rap italiano: vedi Achille Lauro, Shade, Livio Cori e Ghemon, senza dimenticare le influenze hip hop nei testi di Briga, Ultimo e Irama, che rapper non sono ma che vicino a quel mondo hanno comunque gravitato (ve li abbiamo raccontati, comunque, qui nel dettaglio).
Di colpo la prospettiva sembra mutata radicalmente, il Festival chiama il rap e il rap sembra rispondere “presente”, ma sarà una scelta vincente?
Se da una parte è chiara la volontà di “svecchiare” la kermesse puntando su un cast più giovane e vario, non è nemmeno così scontato che basti puntare su qualche nome vicino al mondo dell’hip hop italiano per rinnovare ed accrescere l’interesse per la manifestazione da parte del nuovo pubblico giovane della musica italiana.
D’altro canto anche dal punto di vista del rapper la partecipazione alla più importante manifestazione canora del paese può essere una grossa arma a doppio taglio: se la visibilità è chiara, è altrettanto vero che il pubblico più radical di questo genere fatica da sempre ad accettare i “compromessi” del mainstream, restando restio verso canali come tv, radio, talent ecc. La parola chiave a questo punto sembra essere diventata “credibilità” ed è proprio da lì che si dovrebbe partire per analizzare la scelta del rap a Sanremo.
Al di là delle questioni di genere e di generazioni differenti, la vera vittoria per tutti sarebbe quella di riuscire a portare sul palco prodotti di qualità senza dover snaturare per forza un genere che fa della spontaneità il suo punto di forza. Se si vuole puntare su un genere è giusto farlo senza dover imporre canoni prestabiliti dal contesto o dal tipo di pubblico, in questo senso si può dire che Sanremo oggi sembra aver molto più bisogno del rap rispetto a quanto il rap possa avere effettivamente bisogno di Sanremo.
Chiaro che molti nomi del cast (Achille Lauro per primo) appaiono come dei veri propri azzardi ma potrebbero in qualche modo fungere da spinta per una futura totale coesione tra rap e mondo mainstream, ad esempio proseguendo sulla strada di ciò che è accaduto durante l’ultima edizione di X-Factor, con la schiacciante vittoria di Anastasio.
Difficile prevedere il futuro e ancora più difficile capire se le scelte di Baglioni pagheranno sotto questo punto di vista oppure si riveleranno buchi nell’acqua. Tenendo conto, però, che oggi il rap viene definito il nuovo pop, con artisti che riempiono palazzetti, fanno incetta di certificazioni e si mangiano le classifiche proprio a discapito della pop music odierna, forse è giusto pensare che il momento per tentare questa unione sia proprio questo. Ma sarà davvero così? Oppure il Festival continuerà ad essere un posto troppo distante dal mondo dell’hip hop nostrano? Tra qualche settimana avremo la risposta…
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