A tu per tu con l’artista siciliana, disponibile negli store con il suo nuovo progetto “Anima mediterranea”
A sei mesi di distanza dalla sua fortunata partecipazione a Ora o mai più (qui la nostra precedente intervista), Francesca Alotta torna e rompe il suo silenzio discografico pubblicando “Anima mediterranea”, un album di canzoni antiche che hanno fatto letteralmente il giro del mondo, portando alla ribalta la nostra amata musica italiana.
Ciao Francesca, bentrovata su RecensiamoMusica. Partiamo da “Anima mediterranea”, album in cui rivisiti a modo tuo alcuni brani antichi della tradizione popolare siciliana e napoletana. Com’è nato questo progetto?
«Mio padre era un grande tenore, sin da bambina sentivo le sue arie bellissime, canzoni melodiche meravigliose che mi sono entrate dentro e mi hanno accompagnato per tutta la mia vita. Quando ho cominciato a cantare avevamo più volte espresso il desiderio di realizzare un disco insieme, purtroppo mio papà è venuto a mancare molto giovane, ma ho voluto mantenere questa promessa che ci eravamo fatti, un modo per sentirlo ancora vicino, come se fosse ancora qui con me».
Hai reinterpretato anche il brano con il quale tuo papà si è aggiudicato la vittoria al Festival della canzone siciliana nel 1981. Cosa ha significato per te?
«Sì, era la seconda edizione della manifestazione, condotta all’epoca da Pippo Baudo, la canzone si intitola “Sona chitarra mia” e ha avuto davvero molto successo, cantarla è stato indescrivibile, mi sono davvero molto emozionata. Poi, in scaletta c’è anche un pezzo scritto di getto da me in siciliano, intitolato “Amori miu”, dedicato proprio a lui».
Chi ha collaborato con te a questo progetto?
«Musicisti veramente straordinari, dall’arrangiatore e pianista Cristiano Viti al contrabbassista Massimo Moriconi, passando per l’armonicista Giuseppe Milici famoso in tutto il mondo, il chitarrista Luca Tufano, il percussionista Simone Talone e ben trenta coristi. Insomma, talenti incredibili che mi hanno accompagnata in questo viaggio nei suoni e nelle emozioni del mediterraneo. Infine, non poteva mancare anche Aleandro Baldi, insieme abbiamo realizzato una versione acustica e davvero bella della nostra “Non amarmi”».
Da “O sole mio” ad “Era de maggio”, passando per “Reginella”, “Vitti na crozza”, “Ciuri ciuri”, “Maruzzella”, “O sarracino”, “O surdato ‘nnammurato”, “Tammurriata nera”, tutti brani che hanno varcato i confini internazionali e si sono imposti nel mondo. Secondo te, qual è il segreto e la formula di un così trasversale e longevo successo?
«Ti posso rispondere per quello che riguarda la mia esperienza, il segreto è la melodia, un qualcosa che ti entra dentro l’anima e incondizionatamente ti fa cominciare a cantare, come una sorta di imprinting che ci segna sin da quando siamo nati. Per questo motivo ho deciso di tradurre i testi delle canzoni presenti anche in inglese, raccontando le varie storie di tutti i brani, perché desidero promuovere il più possibile la nostra musica anche all’estero, è già molto amata ma vorrei che non venisse dimenticata e che non fosse legata solo al passato, che si tornasse a considerarla un valore aggiunto del nostro Paese».
Valorizzare un repertorio del genere potrebbe sembrare una mossa discograficamente démodé. Quanto è importante, invece, conoscere il nostro passato per poter interpretare al meglio l’attuale canzone italiana?
«In effetti non è un disco nato per le radio, i brani sono molto lunghi e non seguono nessun tipo di canone discografico. Recentemente ho visto il film “Bohemian Rhapsody” e ho scoperto la storia di questo discografico che non voleva far uscire questo capolavoro dei Queen perché durava sei minuti, questo purtroppo è ciò che accade oggi, sminuendo completamente l’arte. Questa realtà mi rattrista molto, perché la considero una grande mancanza di rispetto nei confronti della musica.
In questo mio disco ci sono tre secoli di storia, alcuni pezzi addirittura nascono dalla tradizione popolare e sono stati tramandati di padre in figlio, parliamo delle nostre radici che non possiamo dimenticare, approfondire il passato è sempre un momento di crescita, ci aiuta a comprendere la nostra evoluzione e ci permette di non compiere nuovamente determinati errori. Onestamente devo ammettere di essermi un po’ ricreduta, perchè non pensavo che questo album venisse accolto così bene anche in Italia, lo avevo pensato più come un progetto internazionale, ne sono rimasta piacevolmente molto stupita».
Nel disco sei riuscita a far tue le canzoni, scoprendo in qualche modo una tua anima nascosta, che quella più teatrale. Come sei arrivata a questa nuova consapevolezza?
«Ho vissuto degli anni molto bui, per una serie di motivi soprattutto personali, ma non ho mai smesso di cantare né di studiare, perché credo sia fondamentale cercare di dare sempre di più, non adagiarsi e accontentarsi di nulla. Ho approfondito l’interpretazione e l’espressività, ho capito che potevano essere due punti focali per migliorarmi e superare me stessa. In questa mia ricerca ho trovato la mia anima più teatrale, ho imparato a vivere quello che canto, a sentirlo come se fosse parte di me».
Analizzandola a distanza di sei mesi, cosa ti ha lasciato l’esperienza di “Ora o mai più”?
«Tantissimo. Il mio unico rammarico è stato quello di essere entrata alla seconda puntata, in sostituzione della mia collega Donatella Milani, mi sarebbe piaciuto iniziare questa avventura sin dal primo istante e non entrare in corsa, anche se è andata benissimo lo stesso nonostante il poco tempo a disposizione per le prove. Ho avvertito un grande calore da parte del pubblico, sono stata felice di scoprire che molte persone mi amano ancora. Poi, lavorare con Fausto Leali è stato meraviglioso.
E’ stata un’esperienza bellissima anche perché ho avuto l’opportunità di cantare il mio inedito “Ti dirò”, una canzone a cui tengo e che mi rappresenta moltissimo, perché parla di una donna che si ribella con tutta la sua forze ad una violenza familiare. Purtroppo ho vissuto dieci anni molto bui della mia vita, dalla scomparsa di mio padre alla perdita di un bambino, tante altre cose poco belle tra cui una violenza psicologica subita da parte di un ex compagno, che mi ha molto segnata. Insomma, è stato un periodo molto negativo dal quale, fortunatamente, sono riuscita ad uscire grazie alla musica, questo brano mi ha aiutato a liberarmi di un peso e di un malessere non facile da superare».
A tal proposito, mi ha molto stupito il tipo di accoglienza che è stata data al pezzo da parte dei maestri, che non è che facciano musica trap o tremendamente così moderna. Mi sono dispiaciuto per determinate critiche gratuite e credo che un pezzo del genere non debba essere giudicato con troppa leggerezza…
«Purtroppo questo è l’atteggiamento di molti discografici e addetti ai lavori, considerano la musica di questo tipo anni ’90, quindi per loro datata e “vecchia”. Se una canzone ti fa emozionare e contemporaneamente cerca di darti un qualche contenuto non va bene, ma sono sicura che si tratta di un momento transitorio, com’è successo in passato per molti artisti legati agli anni ’60 e ’70 che sono stati bistrattati per diverso tempo, sono certa che si tornerà a considerare questo tipo di musica per il proprio spessore umano ed emotivo, non bisogna seguire troppo le mode perché, prima o poi, finiscono in questo mondo così effimero, legato all’immagine e alle cose futili, purtroppo, onestamente non mi ci ritrovo».
Secondo te, nella società in cui viviamo, siamo ancora liberi di fare quello che sentiamo, musica compresa, oppure siamo un po’ tutti troppo soggetti e condizionati dai giudizi e, talvolta, dai pregiudizi altrui?
«Molte persone purtroppo si fanno condizionare da quello che pensano gli altri, a me spiace dirlo ma nella musica, se ci fai caso, ci sono tantissimi cantanti che sembrano le copie l’uno dell’altro, cantano allo stesso modo e a volte tendi pure a confonderli. C’è la tendenza un po’ a spersonalizzarsi, piuttosto che cercare di coltivare un tuo mondo, bello o brutto che sia. Personalmente ho smesso di seguire il parere degli altri, li ascolto ma faccio quello che mi suggerisce la mia anima, per me conta questo. Mio padre mi diceva sempre di rispettare me stessa e la musica, così facendo sarei stata ripagata di tutti i miei sacrifici».
Nella nostra precedente chiacchierata hai definito la musica di oggi come una bella donna tutta rifatta, metafora piuttosto azzeccata, mi dici un aspetto positivo del fare musica oggi? Ce ne sarà almeno uno…
«Per carità, ci sono tante belle cose, fatico a trovare uno spirito positivo e genuino che ha contraddistinto i miei esordi, ad esempio. Sicuramente oggi ci sono più opportunità, con l’avvento dei talent show è più facile farsi conoscere, ma è anche vero che il mondo della televisione ti sfrutta per fini lontani anni luce dall’arte, per certi versi mi spiace per questi ragazzi che ricevono una grande popolarità nell’immediato, un successo che non riescono nemmeno a godersi appieno perché appena te ne accorgi è già finito, molto spesso ne escono fuori con le ossa rotte e questo è brutto».
Detto questo, in che direzione andrà la tua musica?
«La mia musica penso che andrà in direzione acustica, perché sto dando più spazio alle emozioni della mia voce, svuotando sempre di più cercando di dare importanza ad ogni singolo fiato, un lavoro che sto facendo con cura. Il mio prossimo disco sarà sicuramente di brani inediti, sto lavorando in questo senso».
Hai fatto riferimento ad alcune difficoltà, a momenti duri che hanno sicuramente influenzato la tua vita e l’andamento della tua carriera, dal quale ne sei uscita dimostrando di essere una donna forte e un bell’esempio per tutti noi. Alla luce di tutto, facendo una sorta di bilancio: se ti guardi allo specchio, oggi, quale immagine vedi?
«Quella di una donna forte, sicura di sé, che non accetta più nessun compromesso e che ha voglia di scoprire sempre il bello che si nasconde all’interno di ogni singola emozione. Mi sento un po’ come se fossi nata ora, sento di avere più energia adesso rispetto a dieci o quindici anni fa, la determinazione mi ha portato a raggiungere una piena consapevolezza di me, delle cose che sono in grado di fare, ma anche dei miei limiti. Ho trovato finalmente la mia dimensione».
Nico Donvito
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