venerdì 22 Novembre 2024

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Massimo Di Cataldo: “Vivo la musica senza subire influenze esterne” – INTERVISTA

A tu per tu con il popolare cantautore romano, attualmente in radio con la cover “Con il nastro rosa”

“Lo scopriremo solo vivendo”, con questo spirito Massimo Di Cataldo torna ad esprimersi musicalmente, dopo le positive partecipazioni televisive di “Ora o mai più” e “Tale e quale show”. Con il nastro rosa è il singolo disponibile in rotazione radiofonica da venerdì 18 gennaio, rivisitazione del celebre brano portato al successo da Lucio Battisti nel febbraio del 1980, scritto a quattro mani con Mogol.

Ciao Massimo, partiamo dal tuo nuovo singolo “Con il nastro rosa”, com’è nata l’idea di realizzare questa cover?

«E’ nata da un sogno che ho fatto da bambino, quando ho ascoltato per la prima volta questa canzone, avevo dodici anni, da lì ho cominciato ad immaginarmi cantante e musicista, di poter scrivere anche io delle canzoni, mi piaceva questa forma di sfruttare le metafore e di esprimere un concetto attraverso le immagini. E’ una cover che negli anni ho suonato spesso durante i miei concerti, fino a realizzare questa versione in studio, figlia dell’esperienza vissuta nei live».

Non è la prima volta che ti metti alla prova con Battisti, infatti nel 2005 hai inserito “Il nostro caro angelo” all’interno del disco “Sulla mia strada”. Quando hai a disposizione un repertorio sconfinato come quello di Lucio, come si fa a scegliere alcuni brani, non ti viene voglia di cantarli tutti? Quali sono stati i criteri di scelta?

«Beh (ride, ndr), effettivamente non è una scelta facile e sarebbe bello rifare i suoi album per intero. Un criterio può essere stato quello di selezionare qualcosa di rappresentativo non solo del repertorio di Battisti, ma di tutta la musica italiana. Più che una scelta da parte mia, è stata la canzone ad avermi in qualche modo svegliato, non posso immaginare la mia vita senza aver ascoltato questo pezzo, uno di quei brani che mi hanno stimolato a fare musica, a tirar fuori le mie emozioni e metterle su un foglio. “Il nostro caro angelo” è stato un esperimento, voluto per lo più dalla mia casa discografica dell’epoca, in cui mi sono divertito ma ho cercato di essere piuttosto calibrato nell’interpretazione, mentre “Con il nastro rosa” l’ho cantata con passione, lasciandomi andare completamente, ma senza snaturare la forma e l’emozione del brano».

Un’emozione sicuramente arricchita dalla location in cui avete girato il video e da un incontro molto speciale…

«Assolutamente sì, sono onorato di aver conosciuto Mogol, di aver potuto conversare con lui a proposito di questa canzone e del significato profondo delle parole. E’ stato un incontro per me intenso e per certi versi informale, sono stato ospite nella sua dimora e ho visitato il suo laboratorio musicale, un posto magico dove si incontrano tanti giovani per studiare, suonare e cantare insieme. Alcune scene del video le abbiamo girate in una sala dedicata a Lucio Battisti, con delle immagini bellissime che, in qualche modo, ti fanno respirare lo spirito di quegli anni così prolifici dal punto di vista artistico». 

Da cantautore, quali sfumature e quali caratteristiche ti colpiscono particolarmente della poetica di Mogol?

«La capacità di sintetizzare in una frase delle emozioni e dei concetti che, a volte, sono difficili da esprimere, il tutto in forma di poesia, una capacità evocativa che sfocia nel sublime». 

Portare avanti la qualità della grande musica del passato è un nobile intento che, oggi come oggi, un po’ manca nel panorama musicale. Secondo te, che fine ha fatto la canzone d’autore?

«In qualche modo c’è un po’ un riflesso che sfugge come una scheggia impazzita attraverso le produzioni di nuova generazione, parecchie canzoni di oggi hanno dei testi veramente brutti, che in qualche modo sono rappresentativi di questi tempi. Mi rincuorano alcuni focolai, riesco ad intravedere una luce, perché sono convito che si tratti di un momento che, come tutte le mode, passerà presto e si tornerà a prestare attenzione alla canzone d’autore che in realtà esiste ancora, ma non viene valorizzata come si dovrebbe. Penso ad artisti come Brunori Sas, i primissimi Thegiornalisti, Ermal Meta, sono tanti i nomi che potrei farti, mi vengono in mente più le singole canzoni, anche una semplice “Marlena torna a casa” ha un bel testo, che significa qualcosa o per lo meno si differenzia da tutto il resto. A mio parere però, l’influenza del rap ha congelato la melodia e tutto ciò che si può disegnare attraverso le note».

Sei reduce da due esperienze televisive importanti, “Ora o mai più” e “Tale e quale show”. Cosa ti hanno lasciato?

«E’ stato un bel periodo, molto impegnativo, emozionate per quanto riguarda “Ora o mai più” e parecchio divertente per “Tale e quale”. Ti devo dire la verità, mi sono buttato in entrambe queste due avventure con uno spirito da ragazzino (sorride, ndr), soprattutto calandomi nei vari personaggi e nelle cosiddette imitazioni». 

Tra tutte le interpretazioni che ti hanno visto protagonista a “Tale e quale”, quali ti hanno rispettivamente: divertito, gasato ed emozionato?

«Mi sono divertito molto con Jim Morrison, è stato figo e pazzesco, anche se per esigenze di scena sono arrivato a pesare 69 kg, al di sotto del mio peso forma (ride, ndr). Mi sono gasato sicuramente con Rovazzi ed emozionato… beh, un po’ con tutti, se devo farti un nome ti direi Franco Califano, perché l’ho conosciuto e vissuto da vicino a Music Farm, durante l’esibizione mi sono lasciato andare ai ricordi e alla commozione, aspetto che sotto la maschera di gomma magari non traspare». 

In primavera uscirà il tuo nuovo album, che arriva a dieci anni dal tuo ultimo progetto di inediti “Macchissenefrega”, cosa puoi anticiparci a riguardo?

«Sarà un disco un po’ diverso, in “Macchissenefrega” ho tirato fuori tutto quello che mi era stato negato e censurato durante gli anni di collaborazione con le major, considero quelle canzoni come dei piccoli sassolini che sono riuscito a togliere dalla scarpa, infatti c’era un po’ rabbia. Il nuovo album che uscirà in primavera riprenderà il concetto dei long playing, vale a dire gli LP degli anni ’60-’70 che raccoglievano i vari 45 giri. Nel mio progetto, infatti, troveranno spazio i quattro singoli già pubblicati: “Prendimi l’anima”, “Domani chissà”, “Ci credi ancora all’amore” e “Con il nastro rosa” che sarà, molto probabilmente, l’unica cover presente. All’interno ci saranno, come sempre, le esperienze di vita che ho cercato di tramutare in musica».

Cantando da diversi anni, hai tanti sostenitori che ti seguono e apprezzano la tua musica. In discografia, capita sempre più spesso che alcuni artisti, per “acchiappare” un bacino di utenza sempre più giovane, tradiscano in qualche modo il proprio stile e il proprio pubblico di riferimento. Per quanto ti riguarda, in che direzione andrà la tua musica? 

«Guarda, credo di essere sempre andato abbastanza per la mia strada, senza lasciarmi troppo influenzare da ciò che c’era intorno, e non è detto che quello che faccio si discosti dal resto, dipende dal periodo e dalla moda del momento. Da sempre nelle mie canzoni ci sono varie influenze, onestamente non credo di poter “deludere” il mio pubblico perché tradirei me stesso, non potrei fare altrimenti, finirei per scimmiottare un qualcosa che non mi appartiene e che non sono in grado di fare, di conseguenza non risulterei credibile».

Quindi, a differenza di alcuni tuoi illustri colleghi come Laura Pausini ed Eros Ramazzotti, non hai intenzione di inserire un brano reggaeton nel tuo prossimo album?

«Direi proprio di no (sorride, ndr), anche se in realtà se ci fai caso in “Un’emozione fantastica” ci sono degli elementi e delle influenze che possono ricordare il reggaeton, in tempi non sospetti perché l’ho pubblicata nel 2015, per intenderci prima dell’uragano “Despacito, ma il risultato è molto più mediterraneo e vicino ad uno stile che ci appartiene. Noi italiani siamo famosi nel mondo per la produzione del vino, se ci mettiamo a fare il rum non so quanto possa andarci bene (ride, ndr) ma, a volte, per seguire una tendenza si fanno delle scelte a mio avviso discutibili.

Essendomi un po’ distaccato dal concetto di mainstream, non avendo alcuna guida da parte di una major, sono libero di non scendere a nessun tipo di compromesso, sicuramente con delle difficoltà maggiori perchè, come in tutte le cose, ci sono i pro e i contro. Non vivo nella gabbia dorata, mi metto in continua discussione, affronto il mercato con coraggio e, forse, con un pizzico di incoscienza. Permane una grande ammirazione nei confronti degli artisti che hai citato, in particolare Eros è stato un punto di riferimento quando ho cominciato a fare questo mestiere, da suo ammiratore mi aspetto sempre qualcosa in più da lui».

Per concludere, quale messaggio ti piacerebbe trasmettere al pubblico, oggi, attraverso le tue canzoni?

«E’ difficile dare un messaggio universale, perché ogni canzone ha il suo. Ciò che mi piacerebbe trasmettere è il concetto che ho appena espresso, ossia la libertà di vivere senza influenze esterne, nella musica ma non solo, di non seguire la moda o il gregge e di tirare fuori noi stessi, sempre e comunque, senza avere paura delle discriminazioni e del giudizio altrui. Mi piacerebbe vivere in una società più variopinta, dove vige maggiore rispetto reciproco. Credo ci voglia ancora un po’ di tempo prima che questo possa accadere, in tal senso l’arte ha un ruolo fondamentale perché può aiutare a veicolare e nobilitare questo semplice concetto».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.