venerdì 22 Novembre 2024

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Aida Cooper: “Cantare Mia Martini è sempre una grossa responsabilità” – INTERVISTA

A tu per tu con la vocalist emiliana, in uscita con il disco-omaggio “Kintsugi – Amica Mia

E’ disponibile negli store digitali e tradizionali a partire dal 20 settembre Kintsugi – Amica Mia, il disco volto a celebrare la memoria di Mia Martini, interpretato da Aida Cooper, per anni al fianco di Mimì sia sul palco che nella vita. A comporre la scaletta, canzoni importanti del repertorio dell’indimenticata ugola calabrese, da “Quante volte” a “Spaccami il cuore”, passando per la celeberrima “Almeno tu nell’universo”, “Per amarti”, “E non finisce mica il cielo”, “Danza”, “Sono tornata, “Donna”, l’inedito “Un figlio mio” (firmato da Maurizio Piccoli) e “Guarirò guarirò” in duetto con Loredana Bertè, che ha supervisionato l’intera opera approvandone il risultato finale.

«Questa è la prima volta in ventiquattro anni che approvo un progetto dedicato a mia sorella, perché Aida è un’artista fantastica, immensa. Ha lavorato per vent’anni con Mimì ed altri venti con me, nessuno più di lei merita di omaggiare Mia Martini, perchè lo fa col cuore e non per speculazione. Per questo motivo ho deciso di visionare l’intero progetto e di affidare la direzione artistica al mio batterista Ivano Zanotti, che ha arrangiato i pezzi in chiave moderna, quasi minimale, senza però snaturarli. Nel disco è presente un mio duetto sulle note di “Guarirò guarirò”, un brano di Mimmo Cavallo che avevo provinato per prima, poi l’ha sentito Mimì e l’ha voluto fare suo. E’ un lavoro a cui tengo moltissimo, sono felice di aver trovato in Aida una voce unica che è riuscita a reinterpretare queste canzoni in maniera eccelsa», racconta la rocker per poi lasciare la scena e la parola alla protagonista di questo progetto.

Ciao Aida, partiamo da “Kintsugi – Amica mia”, il tuo personale tributo a Mia Martini, una bella responsabilità?

«Assolutamente sì, cantare Mimì non è semplice, è sempre una grossa responsabilità, alla base c’è un affetto profondo per lei, sia come cantante che come donna. Ho convissuto con lei, ho avuto modo di conoscerla a fondo, per cui mi sento umanamente molto legata alla sua figura e al suo ricordo».

A cosa si deve la scelta del titolo?

«Kintsugi è un’arte giapponese che consiste nel rimettere insieme qualcosa che si rompe, come un piatto o un vaso, riunendo e suggellando i cocci con l’oro, in modo tale che l’oggetto acquisti ancora più valore. Mi è piaciuta l’idea di utilizzare questa metafora per paragonare una pratica così antica con le difficoltà della vita di ognuno di noi, non solo quella di Mimì, anche la mia. Rimettere insieme ciò che si rompe, inteso un po’ come un raggiungimento più elevato, qualcosa di strettamente legato alla nostra anima».

Riguardo la selezione delle canzoni, c’è stato un particolare criterio?

«Avendo cantato quasi tutte le sue canzoni, mi è venuto facile scegliere quelle che sentivo più vicine alle mie corde e alla mia persona, una scelta anche un po’ casuale, non c’è stato un vero e proprio criterio ben preciso, la selezione ha portato istintivamente a queste. Abbiamo lasciato fuori un pezzo che mi piace tantissimo ed era molto amato anche da Mimì, si chiama “Valsinha”, ogni volta che l’ascolto mi tornano in mente ricordi lontani, è come se risvegliasse momenti della mia infanzia».

Magari ci sarà spazio per un volume due o, chissà, per uno spettacolo teatrale dove potrai proporre anche altri pezzi?

«Mi piacerebbe tantissimo, spero vivamente di riuscirci perché amo cantare dal vivo, vorrei davvero riuscire a portare in scena Mimì anche sul palco, proponendo altri brani del suo vastissimo repertorio».

Tra le cover spicca l’inedito “Un figlio mio”, composto da Maurizio Piccoli, a cosa si deve la scelta di inserire un brano mai inciso prima?

«Mi piaceva l’idea di inserire un inedito, così ho chiamato Maurizio, uno degli autori preferiti da Mimì, lui mi ha mandato questo pezzo che reputo bellissimo perché racconta uno dei desideri più grandi della mia amica: avere un figlio».

Questo è un bellissimo omaggio ma, in generale. pensi che Mimì sia ricordata abbastanza?

«Mi pare di sì, lo noto soprattutto sui social network, molti giovani che non la conoscevano si stanno piano piano avvicinando alla sua musica. Ne sono veramente contenta, forse un po’ in ritardo, ma meglio tardi che mai (sorride, ndr)».

Un lavoro può essere considerato anche per te una sorta di rivincita discografica…

«Certamente, mi reputo un’araba fenice, nel senso che tanti anni fa avevo provato la carriera da solista, partecipai tra le Nuove Proposte al Festival di Sanremo nell’89 con un brano che, in realtà, piaceva soltanto alla mia discografica Mara Maionchi (sorride, ndr), non convinceva più di tanto nemmeno suo marito Alberto che era il mio produttore. Più volte Mara ha dichiarato, scrivendolo anche in un suo libro, di essere stata una delle sue più grandi sconfitte, perché aveva spinto su “Questa pappa”, un pezzo che non piacque, anche perché avevo un’altra canzone molto più forte, intitolata “Il vento dell’est”. Per anni ho aspettato e sperato in una seconda occasione, penso che con questo disco sia arrivata. Ho avuto momenti di crisi, di delusione, di abbattimento, ma non ho mai mollato».

Forse è un pregiudizio tutto italiano quello di considerare una corista meno di una cantante, a livello tecnico non è assolutamente così, cosa ne pensi?

«E’ vero, all’estero sono sicuramente più aperti mentalmente, anche se la parola “corista” non mi è mai piaciuta, preferisco definirmi una “vocalist”, rende meglio l’idea secondo me».

Quale apporto ha donato a questo progetto la supervisione di Loredana?

«Beh l’energia, Loredana è grintosa, una bomba atomica. Siamo amiche da oltre vent’anni, abbiamo anche litigato un mucchio di volte (ride, ndr), ma tra di noi c’è una sorta di karma, un filo diretto e indissolubile che mi lega umanamente sia a lei che a Mimì».

Per concludere, quanto manca oggi alla musica una figura come quella di Mia Martini?

«Credo tantissimo, lei ha valorizzato tutti i pezzi che ha interpretato, soprattuto quelli dei cantautori e non è per niente una cosa semplice. Personalmente mi manca moltissimo, penso a lei tutti i giorni, per me è tutt’oggi una persona speciale, inimitabile e insostituibile».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.