A tu per tu con il giovanissimo cantautore genovese, in uscita con il nuovo singolo “Wanderlust!”
Piacevole chiacchierata con Andrea De Filippi, in arte Alfa, artista diciannovenne che, nonostante la sua giovane età, ha già dimostrato ampiamente una notevole maturità, sia nei testi che nella capacità comunicativa espressa nelle sue interpretazioni. 168 mila follower su Instagram, più di 36 milioni di stream totali su Spotify (solo con il suo precedente brano “Cin cin” ne ha totalizzati 22,6 milioni), un disco di platino… questi sono soltanto alcuni dei numeri che danno l’idea della portata di questo fenomeno. Non sempre questo genere di risultati è sinonimo di talento, in questo caso le due cose combaciano, per questo motivo abbiamo incontrato il giovane cantautore genovese per parlare del suo nuovo singolo “Wanderlust!, disponibile per Artist First dall’11 ottobre.
Ciao Andrea, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo da questo nuovo inedito, com’è nato e cosa rappresenta per te?
«Si chiama “Wanderlust” e l’ho scritto in Norvegia, a Capo Nord quest’estate in agosto durante una vacanza. In psicologia questo termine rappresenta la cosiddetta sindrome del viaggiatore, che coinvolge circa il 20% della popolazione mondiale, colpita dalla noia della routine e dalla paura di vivere sempre le stesse cose, sintomi che ti spingono e a fare nuove esperienze e conoscere nuove persone. Ho voluto allargare il significato ad un mondo assestante, un mondo creativo che ti porta ad estraniarti dalla realtà, lo considero un po’ come il Paese delle meraviglie».
Quali sono gli aspetti della vita di tutti i giorni che ti provocano noia e ti fanno venire voglia di evadere?
«Beh… le abitudini, dallo svegliarmi ogni giorno alla stessa ora alla routine ma, ti dirò, evadere non significa fuggire dalle proprie responsabilità, bensì riuscire a cogliere qualcosa di nuovo nella vita di tutti i giorni, anche un dettaglio. L’importante è affrontare la quotidianità con lo spirito giusto, come fosse ogni volta una nuova esperienza, è qualcosa che ti migliora la vita secondo me. La paura può essere tramutata sempre in qualcosa di positivo, l’incertezza caratterizza qualsiasi essere umano, anche se in quest’epoca si tende un po’ troppo a nascondere le fragilità di mostrarci sempre sicuri di noi in ogni ambito».
E qual è, invece, il tuo personale rifugio?
«La musica, ovunque io sia, oltre alla mia città. Di recente mi sono trasferito a Milano per studiare economia, quando posso cerco sempre di tornare a casa per respirare l’aria di casa. Al di là del posto dove mi trovo, ciò che mi fa stare bene è scrivere canzoni e questo può accadere ovunque».
A tal proposito, il web può rappresentare sia un’evasione che talvolta una trappola. Nel tuo caso, come descriveresti il tuo rapporto con i social network?
«Internet è indubbiamente una delle scoperte più importanti della storia, in particolare i social hanno dato parola a chi non l’aveva, una sorta di meritocrazia, soprattutto nel mondo della musica, un sistema troppo chiuso fino a qualche tempo fa. Il web ha dato a tutti la possibilità di esprimersi, questo può rappresentare una trappola perché a volte non sempre i contenuti sono positivi. Utilizzo molto questi nuovi strumenti, li considero un mezzo di comunicazione fortissimo, d’altra parte tendo a contraddire chi mi definisce prettamente come un fenomeno social, ma saranno il tempo e le canzoni a smentirlo, io non ho fretta (sorride, ndr)».
Nel giro di poco tempo sei passato dall’intimità della tua cameretta ad essere uno degli artisti già stremmati e apprezzati del panorama italiano. Tanto per intenderci il videoclip di “Cin cin” viaggia verso nove milioni di visualizzazioni, il brano è stato certificato platino e ha totalizzato 20 milioni di ascolti su Spotify. Numeri che fanno impressione a me, figuriamoci a te. Come stai vivendo questo momento e come riesci a gestire l’hype che, inevitabilmente, si è creato attorno a te e alla tua musica?
«E’ difficile affezionarsi ai numeri, per quanto mi riguarda non mi fa colpo un 20 milioni, bensì la gente che nella quotidianità ti scrive, ti ringrazia, apprezza la tua musica, ti chiede una foto e canta ai tuoi concerti. Queste sono le cose che contano per me, poi se i numeri ci sono comunque sono contento, sia chiaro, ma non la vivo male perché faccio musica innanzitutto per me, se piace agli altri sono la persona più felice del mondo. Più che in ansia sono curioso di sapere come la gente percepisce questo nuovo brano, da parte mia sono fiero di quello che ho realizzato fino ad ora, ci ho messo più del mio cuore, più della mia anima e più della mia testa affinché tutto fosse perfetto, calibrando ogni singolo dettaglio».
Nella tue canzoni ci sono elementi riconducibili al pop, al rap e all’indie. Al di là delle etichette, come descriveresti la tua musica?
«Ti direi, io ho un cuore indie, nel senso che è un genere che ho sempre ascoltato. Cerco di unire più cose possibili, qualcuno ha definito i miei brani “urban pop”, ma non saprei dirtelo perché è difficile definirsi per chi scrive canzoni, domani mattina potrei svegliarmi e fare un pezzo metal (sorride, ndr)».
In un momento storico in cui tutto và veloce e si fatica ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore, quali devono essere secondo te le caratteristiche per fare in modo che una canzone non venga “skippata”?
«Credo che la coerenza sia fondamentale. Al giorno d’oggi bisogna subito impressionare, difficilmente se impressioni riesci a far affezionare la gente, un po’ come accade per i pezzi estivi. Il mio obiettivo è colpire il pubblico, canzone dopo canzone. Per rispondere alla tua domanda, conosco quelli che devono essere gli standard ma non mi piace troppo rispettarli, a modo mio cerco di mescolare le carte e sperimentare, desidero fare in primis qualcosa che piaccia a me e poi vedere se funziona, non il contrario».
Quali sono i tuoi obiettivi futuri e/o sogni nel cassetto?
«Stiamo lavorando ad un album che uscirà il prossimo anno, ho una sessantina di canzoni pronte, potenzialmente potrei far uscire sei album domani, ma credo sia meglio procedere gradualmente, a piccoli passi. Alcune le terrò da parte, altre le pubblicherò, non so. Per me fare musica è un bisogno terapeutico, non una strategia di marketing, spero non arrivi mai il giorno in cui avrò bisogno di fare canzoni per necessità economica, per ora me la vivo come una passione com’è giusto che sia».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Letteralmente a tutti, non mi piacciono i target, mi fa molto piacere che anche universitari, genitori e adulti ascoltino la mia musica. Non desidero parlare ad un determinato pubblico, cerco di esser generazionale perché sono figlio dei miei tempi, ma non voglio rivolgermi ad un’élite di persone, vox populi».
Nico Donvito
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