A tu per tu con la nota vocalist emiliana, in uscita con il disco-omaggio “Kintsugi – Amica Mia“
A pochi mesi dall’uscita del disco “Kintsugi – Amica mia”, incontriamo nuovamente con piacere Aida Cooper (qui la nostra precedente intervista), in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo “Spaccami il cuore”, cover del brano di Mia Martini del 1985, composto per lei da Paolo Conte. Un album che rende omaggio alla figura di Mimì, un’artista straordinaria che merita di essere ricordata con queste nobili e ben riuscite iniziative, attraverso quella musica che ha sempre amato e, nonostante tutto, non ha mai abbandonato.
Ciao Aida, bentrovata. “Kintsugi – Amica mia” è il titolo del tuo personale tributo a Mia Martini, comincio col chiederti: com’è nata l’idea di realizzare questo omaggio?
«L’idea di realizzare questo omaggio, che ho fatto veramente con il cuore cercando di realizzarlo al meglio possibile, è nata da una serata che ho fatto a Milano. La persona che mi ha convocato, che si chiama Massimo Massagrande e che non smetterò mai di ringraziare, mi ha chiesto di eseguire qualche brano di Mia Martini e subito dopo un disco con i pezzi di Mimì».
In scaletta ci sono nove cover, come hai selezionato proprio queste tracce nell’infinito repertorio di Mimì?
«Guarda, in maniera abbastanza casuale se vogliamo, ho attinto a piene mani mettendo anche delle cose meno conosciute di Mimì, che però la rappresentavano molto bene. Spero che il risultato sia piaciuto, è sempre una grossa responsabilità interpretare i suoi pezzi».
E per quanto riguarda la scelta del titolo di questo progetto?
«Kintsugi è una pratica giapponese, consiste nel rimettere insieme qualcosa che si rompe, ricollegando i cocci e suggellandoli con delle sostanze preziose, tipo oro o argento. E’ una metafora per indicare come il genere umano può reagire positivamente ad eventi traumatici, sia io che Mimì di eventi traumatici ne abbiamo avuti parecchi, ti dirò (sorride, ndr)».
Oltre alle note vicissitudini e alle calunnie che purtroppo tutti conosciamo, ultimamente si è parlato anche della sua disavventura carceraria in età giovanile, te ne ha mai parlato? Vi siete mai confrontate su questo argomento?
«Questa è un’altra cosa che mi accomuna con Mimì, purtroppo ho avuto anch’io una disavventura con la giustizia, ne abbiamo parlato a lungo, lei ha trascorso quattro mesi in carcere in Sardegna dopodichè, a seguito del processo, è stata prosciolta dalle accuse ed è tornata a casa e so che, dopo poco tempo, era tornata a fare le serate».
Nel disco c’è un’inedito, intitolato “Un figlio mio”, scritto da Maurizio Piccoli, autore storico di Mimì. Di cosa parla questo pezzo?
«Mimì aveva grandissimo desiderio di avere un figlio, purtroppo il mondo che le girava attorno non glielo aveva permesso. Aveva chiesto a Maurizio di scrivere un brano inerente a questo argomento, purtroppo non ha fatto in tempo a cantarlo perché è venuta a mancare. Quando ho avuto l’occasione di fare questo disco, l’ho chiamato chiedendogli se avesse un brano per me inerente a Mimì, guarda caso mi ha proposto questo pezzo che avrebbe dovuto cantare proprio lei».
L’ultima volta che ci siamo incontrati, mi hai raccontato che ti piacerebbe portare in scena uno spettacolo dal vivo dedicato a Mimì, con le canzoni che hai inciso ma non solo. In che modo ti piacerebbe poter strutturare questo ipotetico live?
«Magari, il problema è che nessuno mi vuole (ride, ndr). Mi piacerebbe per ogni brano parlare di lei, della sua storia, perché ha sempre cantato pezzi con dei testi forti e molto veri, era molto attenta alle parole che cantava, da questo punto di vista Mimì era una grande cantautrice, non a caso in questo album ho inserito un pezzo che aveva scritto lei e che si intitola “Sono tornata”, anche perché spero sempre di vederla tornare, è più forte di me, è come se fosse ancora viva».
Parlami un po’ del tuo rapporto con lei, c’è stato un periodo in cui avete vissuto anche insieme…
«Guarda, mi sono trovata benissimo con Mimì, non ho mai litigato, ci siamo divertite, facevamo le cene. Ricordo che mi portava il caffè a letto (sorride, ndr), nonostante il periodo e le situazioni difficili in cui entrambe ci siamo trovate, era sempre divertente passare del tempo con lei, abbiamo preso le cose con molta leggerezza, soprattutto lei con tutte le calunnie che le hanno rivolto, è sempre stata umile e positiva».
Oltre a Mia Martini, hai collaborato con tantissimi grandi artisti della scena musicale italiana: Loredana Bertè, Mina, Zucchero, Ramazzotti, Anna Oxa, Fausto Leali, Riccardo Cocciante, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori e molti altri. C’è un’incontro che reputi altrettanto importante per la tua carriera, che ti ha stupito sia dal punto di vista umano che professionale?
«Parto col dirti l’incontro che mi ha stupito al contrario, nel senso che mi ha fatto rimaner male… quello con Cocciante, non mi è piaciuto per niente, non vedevo l’ora di finire le serate, ti dico la verità. Tutti mi hanno dato qualcosa, in particolare stimo molto Zucchero, trovo che sia molto forte. L’unico con cui avrei voluto lavorare e non ci sono ancora riuscita è Vasco Rossi, mi ricordo che mi chiamarono per lavorare all’album “Bollicine”, ma in quel momento purtroppo non ero libera».
Trent’anni fa, mentre Mimì tornava a Sanremo e sbalordiva tutti con “Almeno tu nell’universo”, sullo stesso palco c’eri anche tu, nella categoria Nuove Proposte, con il brano “Questa pappa”, un pezzo che non ti convinceva così tanto, ma che la tua discografica dell’epoca Mara Maionchi volle farti proporre a tutti i costi, qualche anno fa ha anche ammesso l’errore in un libro. Raccontaci un po’ com’è andata…
«Sì, pensa che Mimì mi aveva detto: “purtroppo ti fanno cantare delle cose assurde” (ride, ndr). Ho litigato con Mara Maionchi per questo brano, lei era la mia discografica, io non lo volevo cantare, c’era un altro pezzo che mi piaceva tantissimo, si chiamava “Il vento dell’est”, un lento stupendo ancora oggi attuale, ma niente, lei era convintissima. L’ha fatto in buona fede chiaramente, Mara è una persona molto sanguigna, un po’ come me, però mi ha fatto sbagliare, ci abbiamo rimesso tutte e due. In un suo libro ha anche recentemente parlato di me, come una delle sue scommesse non vinte….».
Sicuramente un’esperienza che ha inciso sulla tua carriera da solista, per poi scoprirti e reinventarti come vocalist, un ruolo importante che, in quest’epoca dove si dà così tanto spazio all’apparenza e al protagonismo, viene spesso sottovalutato. C’è un consiglio che ti senti di rivolgere ai giovani che si approcciano oggi al canto?
«I ragazzi di oggi sono abbastanza acculturati, vanno a cercare nuove sonorità, c’è un’evoluzione nel campo musicale. Sinceramente credo che in televisione si vedano delle cose che non equivalgono al valore effettivo dell’artista, mentre oggi attraverso internet puoi approfondire la conoscenza, è più facile per i ragazzi farsi conoscere ed essere valorizzati».
Visto che ci avviciniamo al Natale, c’è un regalo che ti piacerebbe ricevere sotto l’albero?
«Un tour di Mimì dove canto le sue canzoni, non desidero altro».
Per concludere, qual è la lezione più grande che hai imparato dalla musica in questi anni di attività?
«L’umiltà. Sai, ho visto passare un sacco di gente, di fianco e davanti a me, per poi scomparire. Mi ritengo fortunata da questo punto di vista perché sono ancora qua, mi è stata offerta un’occasione che mi ha ridato fiato e vita. Non essendo credente, sono molto grata all’energia universale che mi ha dato questa opportunità».
Nico Donvito
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