venerdì 22 Novembre 2024

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Le Vibrazioni: “A Sanremo 2020 da giovani veterani” – INTERVISTA

A tu per tu con la nota band milanese, in gara al prossimo Festival di Sanremo con “Dov’è

Tornano al Festival di Sanremo per la terza volta Francesco Sarcina, Marco Castellani, Stefano Verderi e Alessandro Deidda, alias Le Vibrazioni, dopo aver debuttato nel 2005 con “Ovunque andrò” ed essere tornati nel 2018 con “Così sbagliato”. Si intitola “Dov’è” il pezzo che propongono in gara quest’anno, una ballad intensa e coinvolgente frutto dell’incontro autorale con Roberto Casalino e Davide Simonetta. Un brano importante che parla della capacità di rialzarsi dopo una caduta, dell’incessante ricerca della felicità tipico della natura dell’essere umano.

Ciao ragazzi, bentrovati. Sanremo atto III, tornate al Festival a quindici anni dal debutto e a due anni dall’ultima partecipazione, come e perché avete scelto “Dov’è“?

«Subito dopo il Sanremo del 2018 siamo partiti a cannone con una lunga serie di concerti, abbiamo lavorato molto sui singoli, brani un po’ scollegati tra loro perché non c’era un lavoro mirato ad un album, bensì appuntamenti radiofonici che servissero di supporto al tour. Dopo questo percorso siamo arrivati lo scorso settembre con l’idea di partecipare nuovamente al Festival, così abbiamo cominciato a ragionare sul pezzo. Di solito il nostro modo di lavorare in questi vent’anni è sempre stato molto istintivo, a questo giro sicuramente più pensato, ma ci sta perché ci sono tante cose che cambiano attorno».

Quindi si tratta di un brano nato e pensato appositamente per il Festival?

«Sì, tra le varie idee, insieme a Roberto Casalino e Davide Simonetta, è venuta fuori “Dov’è” che fa riflettere sul concetto di felicità, che sembra tanto una cavolata ma non lo è affatto, anzi, forse non siamo più nemmeno tanto abituati alla semplicità della gioia, perché viviamo in un’epoca tale in cui l’essere umano tende a complicarsi la vita, abbiamo raggiunto un livello di nichilismo che verte su cose futili, aberranti, inutili».

Musicalmente parlando, cosa dobbiamo aspettarci da questo pezzo?

«Dal punto di vista sonoro è stato concepito e arrangiato per accompagnare questo tipo di testo, avvalorare questo senso di semplicità, pochi elementi ma buoni, con la batteria che entra in un secondo momento, un arrangiamento un pochino più standard rispetto alle nostre ultime produzioni. Anche sotto l’aspetto musicale, questo brano vuole far riflettere sull’importanza della ricerca dell’essenziale».

Lo ripetete nel ritornello, ma ve lo chiedo anch’io: la gioia dov’è?

«Per noi, come band, penso che la risposta stia nell’essere ancora qua e avere lo stesso entusiasmo degli esordi, perché in tanti hanno provato a rovinare questo nostro spirito, in determinati momenti in parte ci sono anche riusciti e, infatti, siamo stati fermi per un po’ di anni, anche e soprattutto per questo motivo. Il nostro amore per la musica è stato più forte, la gioia per noi è questa».

Rispetto alle vostre due precedenti partecipazioni, con quale spirito tornate in Riviera?

«Ogni edizione del Festival è diversa dall’altra, contano molto l’epoca, il contesto e gli anni che hai. Quando lo abbiamo fatto nel 2005 arrivavamo come favoriti insieme a Gigi D’Alessio, reduci da due anni di successi come “Dedicato a te”, “In una notte d’estate” e “Vieni da me”, era appena uscito il nostro secondo album ed era primo in classifica, quindi onestamente non avevamo bisogno di partecipare quell’anno in gara, anzi, col senno di poi, non aveva senso farlo, intorno a noi c’era la volontà di spremerci il più possibile, ma quando sei sulla giostra non te ne rendi nemmeno conto.

Comunque è stato un ottimo Sanremo, è stata un’esperienza importante, abbiamo conosciuto Vessicchio e iniziato una bella amicizia con Bonolis. Nel 2018, invece, è stato importante per noi partecipare di nuovo  al Festival, venivamo dalla reunion, era giusto tornare dopo tanti anni con quel tipo di esposizione e una canzone diversa da quello che poteva essere l’immaginario collettivo de Le Vibrazioni. Oggi viviamo un’altra fase, torniamo a Sanremo con estrema calma, con più consapevolezza e maturità tale da presentarci con la voglia di fare il nostro campionato con estrema dignità».

Quindi, sarà per voi un Sanremo completamente diverso dai precedenti?

«Crediamo proprio di sì. Sai, ogni Festival porta per i cantanti in gara delle etichette, il primo lo abbiamo vissuto da vincitori annunciati, il secondo da outsider, questo terzo da veterani… perché a questo giro ci siamo noi e Rita Pavone (ridono, ndr), ci sentiamo un po’ “anziani” rispetto agli altri partecipanti, nonostante la nostra età media sia di quarant’anni. Questo per dire che non ci sentivamo favoriti la prima volta, deboli due anni fa e nemmeno vecchi quest’anno».

Forse l’appellativo giusto per voi è quello di “giovani veterani”, anche perché siete un po’ dei reduci di un mondo musicale che non c’è più. Si parla tanto di quote rosa, ma non di quote band che sono sempre di meno…

«Sì, quest’anno ci siamo noi e i Pinguini Tattici Nucleari, ci sentiamo un po’ dei sopravvissuti, negli anni è diventato sempre più un problema per le discografiche, gestire quattro o più elementi è complicato perché ci sono comunque delle faide interne, anche quelle più amorevoli, basta che ci sia uno contrario ad una determinata cosa e rischia di saltare tutto. In più proveniamo da un mondo dove il ritrovarsi in sala prove a suonare era normale, oggi come oggi l’interazione umana per creare musica è nettamente diminuita, i plug-in dei computer hanno preso il sopravvento, per cui il concetto di band sta scomparendo. E’ un problema culturale, in giro per le città è difficile trovare locali dove suonare, tutto parte da giovanissimi comunque, noi abbiamo iniziato a trimpellare tra i banchi di scuola, creando i primi gruppi amatoriali, era divertente, non c’era l’ambizione di arrivare».

Che consiglio vi sentite di dare ai ragazzi che iniziano a muovere i primi passi nel mondo della musica?

«Ai giovanissimi che si approcciano oggi a questo mestiere ci sentiamo di dire che avere successo subito non è tanto “bella storia”, perché una volta che sei lì devi riuscire a mantenerlo, è impegnativo e molto stressante, rischia di perdere il piacere e subentra l’aspettativa, tutto diventa molto pesante. Il consiglio è di vivere questa passione al di là del risultato, la sfida è nel riuscire a durare a lunga distanza, per cui arrivare in cima troppo velocemente è insidioso e include una serie infinita di rischi. Questa gara di arrivare subito al top, soprattutto oggi che tutto và molto più veloce rispetto ai nostri esordi, si rischia di perdere il focus pensando troppo ai numeri e alle classifiche».

Nella serata delle cover vi esibirete con i Canova sulle note di “Un’emozione da poco“, a cosa si deve questa duplice scelta?

«Innanzitutto c’è da dire che è la prima volta che presentiamo una cover sul palco dell’Ariston, con noi avremo i Canova, una band che suona nel vero senso della parola e, quindi, con un’attitudine simile alla nostra. “Un’emozione da poco” l’abbiamo scelta per vari motivi, innanzitutto ci piaceva l’idea di riproporla cantata da voci maschili, anche perché il testo l’ha scritto un uomo, il grande Ivano Fossati. In qualche modo è come se il senso di quelle parole si ribaltassero, perché cantata da una donna ha un altro tipo di visione, poi lo sentiamo nostro e sempre molto attuale. Musicalmente parlando è facilmente arrangiabile in chiave rock-orchestrale e ci piaceva l’idea di portare sul palco qualcosa di grintoso, soprattutto rispetto a una ballad come “Dov’è” con atmosfere decisamente più soft».

Subito dopo Sanremo partirete in tour, una serie di spettacoli in cui riproporrete il vostro repertorio in chiave decisamente inedita, nuovi arrangiamenti ideati e realizzati per l’occasione dal Maestro Peppe Vessicchio. Come procede il lavoro con lui e, soprattutto, riuscirete a riportarlo con voi all’Ariston dopo qualche anno di assenza?

«Sì, diciamo che la cosa è stata abbastanza telefonata, lui è un’istituzione del Festival e siamo felici di averlo con noi in questa avventura, soprattutto per quanto riguarda il tour teatrale, perché lui ha una visione più verticale, avendo a che fare con più elementi orchestrali, mentre noi ragioniamo da band con meno componenti. Nella scaletta riproporremo sicuramente i nostri più grandi successi, in realtà è ancora da ultimare perché ci siamo un attimino fermati in occasione della parentesi sanremese, ma l’idea comune è quella di portare in scena i singoli, in un’occasione come questa è il caso di riproporre i nostri grandi successi proprio perché saranno proposti in una veste completamente nuova».

© foto di Chiara Mirelli

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.