A tu per tu con il gruppo musicale, attualmente in scena con il loro “Sambol Italian Tour“
Libera e universale, definiscono così la loro musica i Guappecarto’, gruppo nato a Perugia e trasferitosi ormai da tempo a Parigi. Girovagando in lungo e in largo l’Europa, sono riusciti ad agglomerare influenze rapportandosi con culture diverse, per dare vita ad un mix di suoni interessante quanto inedito. In occasione del loro ultimo concerto allo Spirit de Milan, poco dopo aver ultimato le prove, li abbiamo incontrati per parlare del loro percorso dell’ultimo album intitolato “Sambol – Amore migrante”.
Ciao ragazzi, benvenuti. Com’è nato e come si è sviluppato il vostro progetto musicale?
«Nel 2004 veniamo notati dall’attrice e regista Madeleine Fischer, che consideriamo un po’ la nostra madre musicale, la prima formazione dei Guappecartò andava in giro, per strada, scrivendo le canzoni che poi sarebbero finite nel suo film. Giorno dopo giorno l’interesse del pubblico cresceva, lì ci siamo resi conto della forza del progetto e che la musica strumentale può raccontare storie proprio come fanno le canzoni dotate di un testo. Successivamente siamo partiti per Parigi, nel tempo ci sono stati piccoli cambiamenti di formazione, ma il nucleo è rimasto sempre abbastanza saldo. Nel 2015 è entrato nel nostro progetto Stefano Piro, in veste di produttore e co-arrangiatore, con il quale abbiamo realizzato i nostri ultimi lavori in studio».
Da Perugia a Parigi, ma non solo perché avete girato l’intera Europa, più di 1.500 concerti, vi siete esibiti davanti a pubblici diversi, in posti differenti. Cosa avete imparato da tutti questi viaggi?
«La lezione che abbiamo imparato è che la musica senza parole è veramente universale, arriva a tutti in qualsiasi parte del mondo ti trovi. In più, viaggiando ti confronti inevitabilmente con altre culture, questa è la vera bellezza, il nostro stile è un po’ un mix di vari generi che abbiamo, a modo nostro, unito e sviluppato. Ci siamo resi conto che funziona ed è apprezzato da un pubblico trasversale».
Dopo tanto vagare, che sapore ha per voi tornare a casa? Con quali occhi guardate l’Italia vista da lontano?
«Tornare a casa fa sempre piacere, è chiaro che le differenze ci sono. Accendendo la radio ti accorgi che in Francia, in particolar modo a Parigi, la musica che passano è varia e senza alcuna pubblicità. Chiaramente ci sono stazioni che passano mainstream, ma anche tante importanti realtà parallele che aiutano a scoprire generi musicali diversi».
A tal proposito, in che modo la vostra musica si differenzia e come è riuscita a non lasciarsi influenzare dalle mode e delle tendenze, bensì contaminare da sonorità di culture diverse?
«La musica è libera, questa è la nostra concezione, la viviamo come un momento di libertà, per cui ci lasciamo affascinare da tutto e cerchiamo di non lasciarci dominare da niente. Vivendola in questo modo, con amore e rispetto, può nascere sicuramente qualcosa di sincero e poi, magari, anche bello».
Attualmente siete impegnati con la vostra tournée, che tipo di spettacolo state portando in giro?
«Stiamo portando in giro “Sambol – Amore migrante”, il nostro ultimo album, per cui suoneremo i brani contenuti all’interno di questo progetto più qualcosa del precedente repertorio. Il desiderio è quello di realizzare uno spettacolo che tracci un po’ tutta la nostra storia, intrecciandola con quella di Vladimir Sambol. Qualche tempo fa abbiamo conosciuto la figlia del compositore, in un atto di generosità incredibile ci ha regalato gli spartiti del padre che non c’è più. A nostro modo abbiamo sviluppato il progetto con cura e con rispetto, siamo rimasti affascinati dalla sua scrittura, ci ha ispirato al punto da riuscire a creare un sound nuovo».
Per concludere, a chi si rivolge la vostra musica e a chi vi piacerebbe arrivare?
«A tutti, la nostra è una musica che pensiamo possa rivolgersi a tutti, non abbiamo preso di mira una particolare categoria. Ci piacerebbe coinvolgere emozionalmente più persone possibili, proprio come accade per le colonne sonore dei film. La nostra è musica anche per bambini se vogliamo, perché cerchiamo di parlare a quella parte di noi più ingenua e pura, puntando tutto sul potere dell’immaginazione».
© foto di Sara Sgrò
Nico Donvito
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