A tu per tu con il cantautore toscano, in uscita con il suo singolo d’esordio intitolato “In differita“
Originale e fuori dalle righe, questo e molto altro ancora è Francesco Sgrò, meglio noto semplicemente come Sgrò, soprannominato “cantautore domestico” proprio perché le sue canzoni nascono tra le mura domestiche. Si intitola “In differita” il singolo che, di fatto, segna il suo debutto discografico, un brano astratto ma al tempo stesso concreto, che racconta una tematica comune in un modo assolutamente non convenzionale.
Ciao Francesco, benvenuto. Inaugurerei questa nostra chiacchierata partendo da “In differita”, il tuo singolo d’esordio: cosa rappresenta per te questo tuo personale biglietto da visita artistico?
«Da un punto di vista musicale, esisto a partire da questa canzone, quindi, per me ha un’importanza notevole. Naturalmente rappresenta una parte di quello che sono, diciamo pure una delle porte d’ingresso nell’immaginario di Sgrò, un modo per far entrare le persone nel mio mondo, nel mio immaginario, nelle tematiche e nel mio modo di cantare».
Il brano racconta il momento in cui si realizza che una relazione non può andare avanti, ci si rimbocca le maniche puntando tutto su se stessi. Una sensazione che, chi prima chi dopo, abbiamo provato un po’ tutti nella nostra vita. Ecco, come si riconosce quel momento preciso?
«Lo riconosci a posteriori, per l’appunto “In differita”, perché nel momento in cui vivi quella determinata situazione non sei abbastanza esterno alla cosa. Ogni cosa, secondo me, necessita di una distanza, di un periodo per elaborare ciò che ti è accaduto, ad esempio, il lato positivo di questa quarantena è che mi sta permettendo di digerire questa mia “nascita”. Sono nato un mese fa con questa canzone, ti lascio immaginare quali stati d’animo stia vivendo, è un po’ come osservare il mondo per la prima volta».
Dal punto di vista visivo, invece, cosa aggiungono alla narrazione le immagini animate del videoclip diretto da Pietro Borzì?
«L’idea del video è partita da Pietro, abbiamo scelto Giulia Conoscenti, una bravissima illustratrice, per realizzare le immagini. Aggiunge tanto, perché toglie un elemento autobiografico, vale a dire Sgrò, ho preferito non apparire in prima persona, non ne ho bisogno, non mi va. L’idea mi è piaciuta proprio per l’animazione, così come per la scelta dei protagonisti, un cowboy e una dama, due personaggi metastorici che vanno oltre la realtà di ogni giorno, in modo da rendere il risultato finale ancora più condivisibile».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?
«Il momento ce l’ho bene impresso in testa, avevo tredici anni, come accaduto a tanti durante l’adolescenza, ti ritrovi come davanti ad un bivio, perché o decidi di parlare o vieni parlato dagli altri. Ecco, io sono uno di quelli che è stato parlato dal mondo degli altri, non riuscivo a trovare un mio spazio. All’epoca, entrando in un negozio di dischi, sono rimasto folgorato da “Rimmel” di Francesco De Gregori, in quel momento ho incontrato la musica, lì ho trovato il mio spazio e la mia forma d’arte».
Veniamo all’attualità, in particolare all’emergenza sanitaria Coronavirus che sta mutando, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai vivendo tutto questo?
«Mi rendo conto che è dura, c’è poco da fare, dal punto di vista lavorativo è terribile, concerti non se ne fanno, mentre per quanto riguarda i rapporti, sento gli amici su Skype o tramite messaggi, anche se io sono molto legato alla parola incontro. Insomma, è un po’ dura. D’altra parte sono curioso di quello che accadrà, sicuramente formuleremo un nuovo alfabeto, voglio proprio vedere cosa ci aspetta e che significato avrà il futuro».
Sei stato definito in tempi non sospetti “cantautore domestico”. Una condizione in cui ci ritroviamo in questo momento un po’ tutti. Ma una cosa è l’isolamento volontario, un’altra è quello necessario, obbligatorio. Ci sono degli aspetti su cui ti sei soffermato, delle riflessioni che hai maturato in questa quarantena?
«Sì, ho capito che per me “casa” implica il verbo tornare, quindi, che io sia fuori. Mi sto rendendo conto che la casa imposta è un luogo di concentrazione, non c’è aria, mentre a me piace la casa desiderata, quando mi trovo fuori e provo quel sentimento di nostalgia, di mancanza, di voglia, anche di paura. Sensazioni uniche, che la casa a distanza ti fa provare. Tornare a casa, questo è un po’ il mio mood».
Al netto di tutto quello che sta accadendo e dell’incertezza in cui versa qualsiasi settore, compreso quello discografico, quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?
«Ho lavorato a quello che un tempo chiamavano album o un disco, di conseguenza ho un po’ di canzoni che sono già pronte da ormai molti mesi. La prima è “In differita”, mentre la prossima dovrebbe uscire per fine agosto, ma sto già pensando a nuove idee. Sai, brutte canzoni le scrivo sempre (sorride, ndr), poi, per riuscire a renderle adatte per agli altri ci vuole del tempo. Mi stupisco quando vedo artisti realizzare una canzone in tre giorni, beati loro, io sono molto più riflessivo».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«Dal punto di vista del marketing non ci capisco nulla, lascio che se ne occupi chi è in grado. Per quanto mi riguarda, invece, mi piacerebbe rivolgermi a chi si riconosce nelle mie canzoni, proprio come è accaduto a me a tredici anni con il disco di De Gregori. Mi piacerebbe che le persone provassero gli stessi sintomi di quel mio stesso incontro d’amore».
© foto di Luca Notarfrancesco
Nico Donvito
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