A tu per tu con l’artista di origine abruzzese, al suo ritorno discografico con il singolo “L’estate vuole noi“
Tempo di nuova musica per Antonietta Buccigrossi, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Antonella Bucci, artista che si è aggiudicata da giovanissima la vittoria di Castrocaro nell’88 con “C’è un motivo in più” e che ricordiamo per la celebre “Amarti è l’immenso per me” in duetto con Eros Ramazzotti, oltre che per la partecipazione a Sanremo 1993 con “Il mare delle nuvole”. Tante le esperienze collezionate in trent’anni di carriera, la ritroviamo oggi in occasione dell’uscita del singolo “L’estate vuole noi”, composto da Remo Elia e Luca Sala, prodotto da Mauro Mengali. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Antonella, benvenuta. Inaugurerei questa chiacchierata partendo dal tuo ultimo singolo “L’estate vuole noi”, che sapore ha per te questo pezzo?
«Sicuramente un sapore di semplicità, di verità, di essenza. Il titolo sta a sottolineare come la vita spesso ci chiami senza troppa razionalità, ci invita a ritornare al vero, dal tuffo al mare ai gavettoni, fino a riscoprire la voglia di poesia. Gli ultimi mesi sono stati strani, abbiamo vissuto una stagione estiva un po’ anomala, ma credo ci sia stato un ritorno alle cose semplici, ho notato maggiore voglia di condivisione. “L’estate vuole noi” parla di tutto questo, esprime in musica il richiamo della vita».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso di questa canzone?
«Sì, “l’estate vuole noi, il mare e il suo silenzio” perché, oltre che una stagione, l’estate è simbolo della parte positiva che ogni persona conserva, una parte illuminata che esiste in ciascuno di noi e che ci sostenta anche nei momenti di sofferenza. Il mare è inteso come il custode di tutti i nostri segreti, perché nella sua profondità custodisce l’ecosistema mondiale di tutto ciò che fa parte della nostra vita, quindi, il suo silenzio è un po’ come se fosse il nostro. Abbiamo scelto questa canzone proprio per tutto questo, una scelta irrazionale nata dall’esigenza di tornare alla semplicità, al vero».
A livello narrativo, cosa aggiungono le immagini del videoclip diretto da Luigi Parisi?
«Luigi è stato fondamentale in questo videoclip, perché è riuscito a cogliere la poesia dell’estate, che si incastra alla perfezione con il brano, evocando la stessa semplicità. Questo ritorno alle cose belle, alle località di mare della nostra infanzia, per cui è stato bravo a cogliere ogni minimo particolare, riportando atmosfere anche un po’ vintage del boom economico degli anni ’60, quando l’Italia viaggiava alla grande con questa voglia di rinascita incredibile. L’obiettivo era proprio questo, incentivare le persone a fare un piccolo passo indietro per ripartire».
Anch’io vorrei fare un salto indietro nel tempo con te e ripercorrere le tappe più importanti della tua carriera, partendo dall’inizio, ovvero da quando hai capito che la musica per te era qualcosa di più di un semplice passatempo. C’è stato un momento preciso?
«Guarda, in realtà penso di aver sempre saputo quello che volevo fare, non c’è stato un singolo episodio, sono quelle cose che nascono insieme a te, che coltivi col tempo e che vengono fuori grazie ad una causa esterna. Sin da bambina, alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?”, la risposta aveva a che fare sempre con la musica, poi da adolescente ho avuto la fortuna d’incontrare un insegnante che mi ha dato l’opportunità di partecipare ad un musical, ovvero “Jesus Christ Superstar”, lì ho avuto l’occasione di verificare se veramente ciò che volevo fare era quello. Devo dire che è stata questa la causa scatenante, successivamente è partito il mio percorso e una serie di fortunate concatenazioni, a partire dalla vittoria di Castrocaro nel 1988. Durante quella partecipazione ho incontrato Charles Aznavour che mi ha scelta per cantare insieme a tantissimi grandi artisti il brano “Per te Armenia”. E’ stata un’emozione incredibile per me, nel giro di poco tempo mi sono ritrovata in studio con Mia Martini, Loredana Bertè, Sergio Endrigo, Pierangelo Bertoli, Milva, Franco Simone e molti altri».
Subito dopo arriva l’incontro con Eros Ramazzotti, direi fondamentale per la tua carriera, insieme cantate “Amarti è l’immenso per me”, il brano che probabilmente ti ha cambiato la vita. Un pezzo inizialmente destinato a Whitney Houston, ci racconti com’è andata esattamente?
«Durante le registrazioni del brano per l’Armenia ho incontrato i discografici della DDD, mi hanno fissato un appuntamento per andare da loro e, proprio in quell’occasione, ho scoperto che si trattava della stessa etichetta di Eros, che in quel periodo stava programmando l’uscita di “In ogni senso”, in cui erano previsti due duetti, uno maschile e uno femminile. Mi chiesero di provinare “Amarti è l’immenso per me”, in studio con me c’era Piero Cassano, un grande professionista, una persona che stimo moltissimo e che mi ha guidato nell’esecuzione il pezzo. In sala di incisione c’era anche Eros, ricordo che in quell’occasione disse che il pezzo avrebbe voluto farlo con me, anche se inizialmente era destinato a Whitney Houston, che in quello stesso periodo era già in promozione con un suo disco».
Poi arriva Sanremo 1993, stranamente partecipi tra le Nuove Proposte, mentre al giorno d’oggi dopo un successo internazionale del genere, per come sono cambiate le logiche di mercato, saresti finita direttamente tra i big. Partecipi con “Il mare delle nuvole”, composta da Eros e Adelio Cogliati, cosa ricordi di quell’esperienza?
«Quell’esperienza mi ha insegnato tantissimo… perché è stata davvero terribile. Nel rutilante mondo dello spettacolo sanremese, tutto si concentra in una sola settimana: interviste, foto, prove con l’orchestra, riunioni… di conseguenza la tua energia si disperde in mille modi. Fra l’altro, personalmente, avevo una bella spada di Damocle sulla testa perché venivo da un duetto importante e partivo da favorita della vigilia. Le radio e la stampa mi avevano etichettato come la vincitrice annunciata, un po’ perché il brano era sempre firmato da Eros, in più si era parlato di raccomandazione, tutta una serie di dicerie che non mi avevano messo di certo in una condizione non serena. Ricordo le ultime prove con l’orchestra, i musicisti si alzarono in piedi per applaudirmi, in quell’occasione Pippo Baudo dissentì sul brano, definendolo troppo complesso, dopo un successo planetario si aspettava una canzone più immediata per una ragazza che doveva iniziare a camminare con le proprie gambe. Nacque una sorta di tensione tra organizzazione e addetti ai lavori, questo mi creò ulteriore agitazione, tanto è vero che la mia performance non fu eccellente, tutta quella pressione mi aveva penalizzato sotto il profilo psicologico, mettendomi nella condizione di cantare come se fossi un automa, senza trasporto, senza tirare fuori la mia vera anima. Da questa esperienza ho imparato che non bisogna mai abbassare la guardia, che le scelte vanno prese con consapevolezza, senza dare mai la responsabilità agli altri».
Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere? Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua prossima musica?
«Sto lavorando ad un progetto internazionale in Brasile, cantato in inglese, che sarebbe dovuto già partite ma a causa Covid abbiamo dovuto rimandare. Un lavoro destinato inizialmente al Sud America, ma che verrà portato anche in Italia l’estate prossima con gli artisti più famosi brasiliani, non posso spoilerare i nomi, ma è un progetto cui tengo molto».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«La musica per me è uno stile di vita, non importa il palco che calpesti, che sia quello della parrocchia o l’Ariston di Sanremo. Se riesci ad adottare questo pensiero, avrai sempre rispetto di quello che fai e di quello che ami. Questo è l’insegnamento più grande che io abbia mai avuto, perché mi ha fatto amare le cose al momento in cui le ho fatte e, di conseguenza, anche dopo guardandomi indietro. Vivendo in questo modo, posso assicurare che le cose poi vengono da sé perché è la verità che paga».
Nico Donvito
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