venerdì 22 Novembre 2024

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Maurizio Fortini: “La musica può fare miracoli” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore romano, a poche ore dall’atteso concerto “Roma, risaliamo sul palco

Tempo di nuova musica per Maurizio Fortini, in uscita con il singolo intitolato “Le donne finarmente”, progetto in favore dei diritti delle donne, brano che sarà presentato dal vivo in occasione del concerto-evento “Roma, risaliamo sul palco”, in programma venerdì 25 settembre in Piazza del Popolo, nel cuore della Capitale. Il cantautore sarà accompagnato sul palco dall’orchestra de “I musici romani”, per l’occasione proporrà alcuni brani del suo repertorio, più diverse rivisitazioni di canzoni della tradizione romana. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Maurizio, benvenuto. Partiamo dal tuo ultimo singolo “Le donne finarmente“, quali riflessioni lo hanno ispirato?

«Sentire di persone, in questo caso del genere femminile, trattate male dal sesso opposto l’avverto come un crimine verso il genere umano. L’uomo vede una donna e pensa subito “questa ce sta” magari solo perché gli è stato rivolto uno sguardo e parte diretto come fosse un suo diritto prenderla e farne ciò che vuole. Oppure persone innamorate perché raggirate da sogni e progetti, poi abbandonate, perché il giocattolo ormai è usato. Ognuno di noi ha vissuto qualcosa del genere e quindi mi ci sono rispecchiato anch’io. È un testo anche un po’ autobiografico. Per ultimo e non meno importante bisogna sensibilizzare le persone. Purtroppo c’è ignoranza e dobbiamo spiegare… istruire, dire “questo è giusto e questo è sbagliato”. La colpa è di tutti. Non stiamo facendo abbastanza. Spero che questo brano sia un chiaro messaggio che il sesso cosiddetto “debole”, che debole non è, si è scrollato di tutti quei pregiudizi che non facevano vivere perché adesso le donne hanno capito. Adesso “Le donne finarmente!”».

Il prossimo 25 settembre ti esibirai in Piazza del Popolo, accompagnato dall’orchestra “I Musici Romani“. Come te lo immagini questo ritorno dal vivo dopo mesi di stop forzato?

«È la vittoria di tutti gli artisti e operatori di spettacolo. Un stop troppo lungo e preoccupante dove il timore di fare un concerto blocca qualsiasi iniziativa. Abbiamo organizzato questo evento grazie al mio amico Giorgio Znacovan, esponente della musica moldava, infatti metteremo in evidenza anche questo scambio tra culture, che ha creduto in me e mi ha appoggiato in tutto. Ha trovato i fondi e io ho smosso mezzo mondo per organizzare tutto. Piazza del Popolo è la piazza più importante di Roma e l’orchestra de “I Musici Romani”, condotta dal Direttore Pino Caronia, è la più rappresentativa della vera cultura della canzone romana, tra l’altro, ci presenteremo in formazione sinfonica. Grazie a questo evento la Capitale dimostrerà che si può ripartire usando le dovute accortezze in misura al protocollo anti covid-19».

Per un romano che ama la propria romanità, immagino sia un bel traguardo. Cosa ti lega così tanto alle tue radici?

«Mio padre mi ha trasmesso tutta la romanità musicale perché cantava nelle manifestazioni, nelle serenate alle spose e in alcuni ambiti semi teatrali. Era direttore e speaker radiofonico e lo seguivo. Tant’è che a dodici anni mise in radio anche me come speaker. È sono anni che non c’è più e mia madre vive la passione di mio padre attraverso me che promisi di continuare a far vivere le tradizioni. Non possiamo perdere le nostre radici. Le origini sono importanti. Io e mia moglie le trasmettiamo ai nostri figli e abbiamo già un bellissimo nipote. Questo mi lega ancor di più alle mie radici».

In scaletta rivisiterai brani di alcuni storici autori della canzone romana, da Romolo Balzani ad Armando Trovaioli, passando per Ettore Pertolini e Renato Rascel. Quali altri artisti hanno accompagnato la tua crescita?

«Oltre a nomi romani, e in questi citerei Venditti e Zero, la mia crescita è stata accompagnata anche da Battisti, Dalla e molti gruppi italiani come per esempio i Pooh. Ma anche da Jimi Hendrix, Jim Morrison, Eric Clapton, Pink Floyd, Led Zeppelin e tanti altri del rock e del blues. Seguivo mio padre con le romane ma avevo anche una band che si chiamava “Hermitage” con la quale cantavo brani in inglese infilando miei inediti in scaletta».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinato alla musica? 

«A cinque anni mio padre registrava la mia voce di nascosto e a nove ho ottenuto la mia prima chitarra crescendo da autodidatta. Suonavo ad orecchio. Ovviamente poi ho studiato».

Cosa pensi dell’attuale situazione discografica e come credi sia cambiato il mercato dai tuoi esordi ad oggi?

«Un’altra domanda? … Bisogna sgomitare sempre e da sempre quindi, anche se sembrerebbe il contrario, non è cambiato nulla. Diciamo solo che ora è più facile rispetto a quando suonavo io da ragazzetto. Il contratto che ho firmato con Vitola e con la Warner è per la mia determinazione. Ho fatto tantissima gavetta per ottenere i risultati. Ora puoi metterti in mostra anche senza saper far nulla…».

Negli anni hai anche sfiorato la partecipazione a Sanremo, arrivando in semifinale. In che termine è stata utile per te la gavetta e quanto credi manchi di questi tempi?

«Come dicevo, ora è semplice mettersi in mostra anche senza saper far nulla. Ricordo gli inizi… tanta polvere e tanta fatica per suonare gratis. Andavamo nei locali da sconosciuti coi nostri strumenti e il nostro impianto. Montavamo e smontavamo continuamente. Giravamo di persona e dal vivo per avere visibilità. Ora ti fai notare da casa e non respiri polvere. Non vivi l’emozione del pubblico che ti guarda e che potrebbe fischiarti o disinteressarsi di te se non conquisti. Ora da casa, anche se non piaci nessuno ti guarda strano come dal vivo. È tutto finto. Si vive per un like».

Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?

«La musica può fare miracoli. Ho conosciuto artisti di ogni etnia e abbiamo parlato lo stesso linguaggio anche senza sapere le lingue. Sono salito in cielo e ho toccato le stelle. Per mia decisione ho abbandonato tutto e dopo un po’ ho ricominciato. Sono partito di nuovo dalle stalle e salito di nuovo. Così facendo riesco a vivere da star e da comune mortale in ogni situazione e in ogni luogo. Ho imparato ad essere me stesso e ad essere disponibile con tutti finché posso. Ho appreso che dimostrando di essere ciò che sei aiuta a conquistare la fiducia di chiunque».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.