A tu per tu con il gruppo musicale lombardo, in occasione della ripubblicazione del disco “Manicomi“
Sono trascorsi venticinque anni dal lancio di “Manicomi”, un vero e proprio album cult dei De Sfroos. In occasione di questo importante anniversario, il gruppo composto da Davide Van De Sfroos, Alessandro Frode, Didi Murahia e Lorenzo Mc. Inagranda, si è riunito dando alla luce questa ristampa contenente quindici brani rimasterizzati, tra cui spiccano titoli come “La curiera”, “El teemp”, “Zia Luisa”, “Lo sconcio” “Spara Giuvànn” e “La furmiga”. Un disco dedicato alla memoria di Marco Pollini, venuto prematuramente a mancare tre anni fa. Abbiamo incontrato il cantante e il bassista della band, per raccontare insieme questa bella reunion.
Ciao Davide e ciao Alessandro, benvenuti. Partiamo da questa nuova pubblicazione di “Manicomi”, che arriva a 25 anni di distanza dalla prima. Com’è nata l’idea di celebrare le nozze d’argento di uno degli album per voi più importanti?
«Perchè non ce la facevamo più (sorridono, ndr), non ce la facevamo più a tenerlo lì nascosto. Durante il Covid la cosa è diventata ancora più meditativa, il nostro manager Gianpiero Canino ha lanciato l’idea, da lì abbiamo deciso di ristampare un disco che in molti ci chiedevano, che era stato registrato bene e che ha dei testi tutto sommato senza data di scadenza. Allora eccoci qua».
A proposito di contemporaneità, mi ha molto colpito “El teemp”. Qual è il vostro rapporto con il tempo che passa? Come vivete personalmente lo scorrere degli anni?
«L’abbiamo vissuto in cento modi diversi, ovviamente ognuno a modo suo. Adesso come adesso ti possiamo parlare del tempo presente e del tempo passato legato al disco, del nostro gruppo, di quello che è successo e di come ci siamo ritrovati. Oggi per noi “Manicomi” è una festa, che ricorda un tempo e in qualche modo lo ripropone. Abbiamo ritrovato lo spirito e il divertimento nel suonare, oltre all’amicizia e il legame che comunque era rimasto, seppur bloccato e congelato. Ad un certo punto è ricomparso con estrema naturalezza. Da questo punto di vista il tempo è stato un galantuomo, perchè ci ha permesso di fare tantissime esperienze, nell’ambito musicale e non, che potrebbero essere un bagaglio di cui, prima o poi, faremo tesoro».
Possiamo considerarla una vera e propria reunion? Avete in mente di realizzare anche nuovi progetti insieme?
«La reunion c’è stata perchè stiamo suonando e presentando insieme il disco, questo è già qualcosa. Su quello che sarà il futuro, non abbiamo messo paletti, in primis perchè il futuro è incerto, soprattutto in questo momento così delicato. Se il gruppo tornerà ad avere la sua alchimia originaria o un’alchimia leggermente diversa, a quel punto diventerà abbastanza naturale e automatico tirar fuori cose anche nuove per divertirsi. Noi ci siamo rimessi insieme con la premessa molto forte di affrontare questa cosa con positività, ricominciare a prefiggerci delle mete o dei progetti ci interessa un pochino di meno in questo momento. Questo non toglie che le porte le lasciamo aperte, quello che deve succedere succederà».
Per concludere, considerando il delicato momento storico, quali riflessioni e quali stati d’animo vi piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà oggi questo disco?
«Innanzitutto che ripartire è possibile, che si possono lasciare alle spalle ruggini e attriti, in tutte le situazioni. Visto il delicato tempo che stiamo vivendo, mettere da parte un po’ di ego è fondamentale se si vuole ricominciare, al di là di un vaccino e di una sanificazione generale mondiale, il virus non possiamo essere noi però. Questo periodo di sofferenza e di tragedia ci ha insegnato che molti dei motivi del nostro allontanamento, di fronte a certe cose, erano veramente futili, un qualcosa che potevamo tranquillamente risolvere prima».
Nico Donvito
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