A tu per tu con la giovane artista, al suo esordio discografico con il singolo “Mal di gola“
Si intitola “Mal di gola” l’inedito che segna il debutto ufficiale di Rebecca, in arte Beeca, cantante nata in Inghilterra e arrivata in Italia nel 2008. Il brano, disponibile dal 1° dicembre, è prodotto da Zibba per Metatron/Artist First. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Rebecca, benvenuta. Partiamo dal tuo singolo d’esordio “Mal di gola”, cosa racconta hai voluto raccontare in questo tuo biglietto da visita musicale?
«Il pezzo nasce in un periodo di incertezza, avevo finito il liceo e mi sentivo un po’ persa per strada. Mal di gola per me è la svolta di cui avevo bisogno, la mia mamma è sicuramente la colonna portante del pezzo. Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con lei, ma crescendo ho sviluppato un mio pensiero sulle cose e ora ci vediamo un po’ diverse. Lei da giovane avrebbe voluto studiare all’università e fare un sacco di cose ma non ne aveva la possibilità ed è per questo che ci tiene che io riesca a realizzare le mie passioni. Le aspettative di un genitore sono sempre alte e non riuscire a soddisfarle è capitato a tutti. Quando dico “finisco sotto al letto a fare il mostro” parlo proprio di quello e di come mi prendo male quando capita. Il riferimento al mostro nasce da un soprannome e diventa un secondo “io” che emerge quando le cose non vanno, un “io” insopportabile intrappolato in un limbo di indecisione».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso della canzone?
«Ce ne sarebbero tante, ognuna ha la propria importanza all’interno del testo. Ho dato maggior valore a “mi viene il mal di gola” che diventa anche titolo del pezzo: all’interno del testo la frase è collocata in una situazione concreta, mia madre che mi raccomanda di asciugare i capelli prima di uscire. In realtà rappresenta qualcosa di molto più grande: trovare le giuste parole per esprimersi può diventare un fattore frenante per alcuni e spesso queste parole rimangono incastrate in gola come una briciola a darti fastidio. Quelle briciole per me rappresentano le parole non dette per non causare il male altrui».
Com’è stato lavorare con Zibba?
«Lavorare con Zibba è stato molto stimolante fin dall’inizio. Ho scoperto di poter fare un sacco di cose di cui non ero consapevole, mi ha spinto ad osare e calpestare terreno sconosciuto con questo pezzo. Mi sento molto fortunata di poter lavorare con lui, è una grande persona oltre ad essere un grande musicista e mi sta insegnando tanto».
Dal punto di vista musicale, come siete arrivati a questo tipo di sound?
«Sperimentando a tutti gli effetti, ci siamo focalizzati sui vari artisti che mi hanno ispirata e abbiamo iniziato a lavorarci sopra. Il pezzo nasce con un riff di chitarra e pian piano Zibba ha aggiunto suoni che mi riportavano ad un mood familiare. L’idea per questo pezzo era di contaminare il soul con l’indie in ottica minimale e LoFi».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinata alla musica?
«La musica è qualcosa che mi accompagna ogni giorno da quando ero ancora nel pancione della mia mamma, da quando mi cantava la ninnananna per farmi addormentare, quando mi faceva ballare sulle canzoni di Bob Marley intorno al tavolo della cucina e quando ho preso il mio primo microfono in mano a tre anni, cantando nella piazza principale di Andora. Mio papà mi faceva ascoltare i Pink Floyd, i Queen ed i Radiohead in macchina mentre mio nonno mi cantava le canzoni di Frank Sinatra, di cui è sempre stato appassionato. La mia passione è nata dalla mia famiglia, la musica c’è da sempre e fa parte della mia persona. Credo di poter dire che il canto derivi dalla parte inconscia di me perché è una cosa che faccio spesso involontariamente, è come parlare una terza lingua. Quando abitavo a Manchester cantavo nel coro della scuola e facevo qualche lezione di pianoforte. Mi sono trasferita qui in Italia nel 2008, anno in cui ho ripreso ciò che avevo lasciato là».
Quali ascolti hanno influenzato e accompagnato il tuo percorso?
«Il mio percorso è stato fortemente marcato dalla black music e successivamente da alcune sfaccettature dell’indie italiano. Ho iniziato ad ascoltare Etta James a circa dodici anni, passavo pomeriggi interi a guardare i suoi concerti live dal divano di casa mia. Mi ricordo in particolare del live a Montreux del 1975; aveva questa presenza ipnotizzante e un atteggiamento prepotente sul palco, con i capelli arruffati che gocciolavano di sudore e non gliene fregava nulla. Ho pensato “questa è la musica, null’altro”, tutto il resto è in più e fa da contorno. Sono molto legata alla musica di Etta, Nina Simone, Otis Redding, Sam & Dave, Amy Winehouse e segnano le basi dalla quale ho preso ispirazione per la mia musica».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti il livello generale delle attuali proposte artistiche?
«Negli ultimi anni si accoglie molto la musica indipendente, si apprezzano quei valori che mettono la musica al primo piano in tutte le sue forme e stranezze. Mi piace il fatto che ci siano tante proposte diversissime tra loro sul mercato, rendendolo vario e rivoluzionario per la musica italiana. Spero un giorno di poterne fare parte!».
Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?
«“Mal di gola” segna l’inizio di un progetto che porterà ad un Ep».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica nasce come un’esigenza espressiva e si rivolge a chiunque voglia entrare a far parte del mio mondo e si rivede in ciò che scrivo. Il mio sogno è quello di suonare dal vivo il più possibile e di trasmettere alle persone la stessa emozione che provo io quando sento la musica live. Mi piacerebbe anche arrivare a cantare sulla piattaforma di COLORXSTUDIOS e tante altre».
Nico Donvito
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