giovedì 21 Novembre 2024

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Luigi Tenco, ucciso dalla malavita? – Nuove ipotesi e rivelazioni a 54 anni dalla scomparsa

Le rivelazioni di Patruno sulla morte artista, il «contesto» di Sciascia e le analogie con Impastato

Sospetti, false piste, poteri occulti e un “suicidio da manuale”. Il tutto, ambientato nella sfavillante Sanremo, tra la riviera degli Hotel e un casinò di frontiera, punto d’incontro tra la criminalità francese e italiana: un casinò che ogni anno ospitava il Festival della canzone, ormai prossimo alla settantunesima edizione e da tempo ricollocato nella più tranquilla cornice del teatro Ariston.

È tutto così cinematografico per non pensare a un esagitato James Bond o ai più placidi metodi investigativi di Hercule Poirot, eppure sulla tragica notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967 nessuno ha mai osato fare un film. Luigi Tenco è morto diverse ore dopo la sua prima e ultima esibizione sanremese, ufficialmente per un colpo di pistola autoinflitto. Un episodio poco chiaro, eppure lasciato sfumare nel grigio di un fotogramma sbiadito, in attesa che l’oblio potesse prendere il sopravvento.

No, Luigi Tenco, il crooner socialista che si ribellava alle contraddizioni della società italiana, non sarà dimenticato. Adesso, che le sue ultime ore, le prime verso l’eternità, si arricchiscono di particolari inediti, c’è la speranza di un gol in corner al 90°. Un imprevisto bagliore tra le nubi dell’omertà potrebbe dare nuova prospettiva alla torbida faccenda e magari portare a una verità non giudiziaria ma almeno storica, come avvenuto per la Strage di Piazza Fontana e per gli altri drammi che, nel nostro Paese, sono passati di processo in processo tra ombre e depistaggi. La voce fuori dal coro, che si aggiunge alla lunga lista di «non ricordo» e «non parliamo degli assenti» da parte dei tanti amici di Tenco, è quella di Lino Patruno, ex chitarrista de “I Gufi”, che al Fatto Quotidiano, un paio di settimane fa, ha rivelato: “Durante quel maledetto Sanremo, aveva problemi. Stava con una tizia legata al clan dei Marsigliesi, un giro pericoloso. Per me non si è ucciso, e non sono l’unico a pensarlo“.

Luigi Tenco 1967

Patruno, uno dei più apprezzati chitarristi jazz, racconta un ulteriore episodio a sostegno di questa tesi: “Con lui, nei primi ’60, siamo stati scritturati per una serata. Prima dello spettacolo si presenta il proprietario del locale, un tipo losco, minaccioso, con accento del sud: «Questa sera prenderete il 40 per cento del cachet». Tenco rispose: «Ora vado al microfono e spiego al pubblico che lei non rispetta i patti». Finale? «Se non canta, le mitraglio subito le gambe». Abbiamo obbedito“. Del resto il mondo dello spettacolo allora era molto diverso da oggi. I dischi fatturavano tanto da far invidia alle migliori aziende e in questo contesto non era raro incontrare tipi loschi, legati alla massoneria deviata, alla mafia o ai servizi segreti. “Peculiarità” che spesso caratterizzavano gli uomini a capo della stampa e delle forze di polizia, dando vita a dinamiche non lontane da quelle narrate da Sciascia ne “Il contesto“.

Si può dunque parlare di Tenco come di un eroe civile, vittima della malavita e di un sistema corrotto? È presto per dirlo, e magari le parole – inedite – di Patruno non avranno seguito, ma Giovanni Impastato non ha dubbi, in tal proposito, definendo la vicenda dell’artista analoga a quella di suo fratello Peppino. L’intraprendente cronista di Radio Aut, assassinato da Cosa Nostra il 9 maggio ’78, fu ritenuto da stampa e magistratura un suicida, in seguito al ritrovamento di una lettera il cui contenuto fu rivelato alla famiglia solo 22 anni dopo. Coperture, omissioni, doppiogiochisti: è una storia con la quale fare i conti, magari canticchiando a labbra strette «vedrai, vedrai, vedrai che cambierà…».