venerdì 22 Novembre 2024

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Radio e playlist sono cose diverse: si torni a scegliere le canzoni “di tutti”

Programmazioni radiofoniche che assomigliano sempre di più a playlist dimenticando pop, intimità e grandi artisti

Radio che sempre più imitano le playlist. Radio che si popolano di speaker presi dai social per essere in tendenza o che sempre più dimenticano di rappresentare tutti e non soltanto una fetta selezionata di pubblico ed ascoltatori. E’ un po’ questo quello che succede da qualche tempo nel mondo radiofonico italiano. Qualcuno se ne è già reso conto (e giustamente lo fa notare) e qualcuno, invece, preferisce crogiolarsi nella frase fatta che dice “la musica è finita”.

In realtà, mai come in questi ultimi anni la musica è stata viva e oggi, se possibile, lo è ancor di più. Stanno rifiorendo le nicchie, stanno tornando in voga i localismi ed i dialetti (ne abbiamo fatto un’analisi approfondita qui), stanno imponendosi le contaminazioni, stanno emergendo le scene underground e stanno tornando a farsi vedere anche quelle vocalità importanti che negli ultimi anni l’indie ed il rap sembravano esser riusciti a spazzar via imponendo canzoni quotidiane più che sentimentali o astratte.

Radio

In tutto questo che fanno le radio? Dimenticano la propria vocazione originaria e rincorrono freneticamente il linguaggio attuale perdendo quasi ogni spazio di narrazione per ricoprire il ruolo di diffusore dell’oggi. Oggi che, però, non è totalizzante ed è qui che sta il vero problema. La radio da mezzo per tutti sta precipitando sempre più verso la condizione di mezzo per alcuni. Se vuoi ascoltare il rock quella è la tua stazione, se, invece, vuoi l’indie quell’altra è meglio e via così. Non c’è più sostanzialmente quell’idea di totalità in una programmazione che sappia ricoprire e rispondere alle esigenze di tutto il pubblico.

E da qui, purtroppo, derivano molti dei guai della musica d’oggi perché il tutto si riduce al mero guadagno. Anche per le radio, certo. E quindi la corsa al trasmettere il pezzo del momento, l’artista che colleziona più stream su Spotify o più views su YouTube. Tutto si appiattisce sulla dittatura del successo stabilito da una fetta di pubblico. Quella stessa fetta che muove le classifiche ma che non rappresenta la totalità di un pubblico ben più vasto di quello delle piattaforme di audio-streaming. La radio non è una playlist: ha il compito di parlare e rivolgersi a una popolazione ben superiore.

Parliamo sempre di più del concetto di “radiofonicità“. Eppure lo confondiamo con l’idea di un sound fresco, di un linguaggio sbarazzino e di un motivetto facilmente orecchiabile che, però, costituiscono le caratteristiche della hit perfetta per i social o il mercato digitale. Radiofonico lo può essere anche un pianoforte, un brano intimista che accompagni i viaggiatori della notte o viceversa un assolo di chitarra o basso che faccia scatenare ogni irrefrenabile animo rock.

E così finisce che, per esempio, le radio non si sono nemmeno minimamente accorte delle ultime uscite delicate e profonde di Un sorriso dentro al pianto‘ di Ornella Vanoni o Mantieni il bacio‘ di Michele Bravi, peraltro due brani apprezzatissimi anche dalle classifiche (almeno alcune) o di tanti altri brani “diversi”, nel vero senso della parola, dalle logiche mainstream delle playlist teen di Spotify. E non ci sono stati nemmeno Claudio Baglioni, Renato Zero e tante altre realtà. Come si possono ignorare letteralmente proposte di questo tipo e tante altre? Ah già, su Spotify non funzionano… Ma la radio non è Spotify, parla a tutti e deve rappresentare tutti. Anche il pop, le melodie prive di elettronica, il rock, il funcky, il soul, il jazz e, perchè no, anche la musica classica.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.