giovedì 21 Novembre 2024

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Follya: “Ripartiamo da zero con più consapevolezza e trasparenza” – INTERVISTA

A tu per tu con la band risorta dalle ceneri dei Dear Jack, in uscita con il singolo d’esordio “Morto per te

Rimettersi in gioco con la consapevolezza dei trent’anni: Alessio Bernabei, Francesco Pierozzi, Alessandro Presti e Riccardo Ruiu tornano sulla scena musicale con un nuovo interessante progetto chiamato Follya. Un nome che rappresenta una ripartenza, ma anche un taglio netto con il passato. “Morto per te” è il titolo del singolo con cui si presentano oggi al grande pubblico, una ballata pop-rock dal sound originale quanto travolgente. Una rinascita a tutti gli effetti, con buona pace del vecchio caro Jack.

Ciao ragazzi, benvenuti… anzi bentrovati in questo nuovo assetto! Come sono nati rispettivamente il progetto Follya e questo singolo d’esordio “Morto per te“?

«I Follya sono nati da un ricongiungimento astrale, sentivamo la mancanza del contesto band, per cui è scattata una sorta di legge dell’attrazione. Durante questi due anni di pandemia abbiamo un po’ tutti fatto i conti con noi stessi. Una sera di ottobre, Riccardo ha creato una chat su whatsapp, chiamandola “Dear Jack (?)”. Tutto è partito con estrema semplicità, dalla voglia e dall’esigenza di tornare a fare musica insieme. C’era tanto entusiasmo attorno al progetto, un miscuglio di idee nuove che non c’entravano nulla con il passato, al punto che abbiamo optato per ricominciare completamente da zero. Lavorando in studio, poi, è nata con altrettanta spontaneità “Morto per te”».

Una canzone che colpisce sin dal primo ascolto per il sound ipnotico ed originale. Che tipo di lavoro c’è stato dietro la ricerca del suono?

«L’idea è nata in un pomeriggio, in studio da Ale, esplorando i meandri dei generi più folli e prendendo spunto da tutto quello che ci veniva in mente, togliendoci dalla testa qualsiasi tipo di limite. Da questo punto di vista, “Morto per te” è un brano molto genuino, con il testo che è stato scritto in dieci minuti e che poi è rimasto quello definitivo. Il carico lo mette sicuramente anche la produzione dei ROOM9, i ragazzi hanno dato una chiave interessante al progetto, mettendo in bella copia qualcosa che era già nato con l’esigenza di spaccare».

E’ un suono che pensate possa identificarvi anche per i prossimi lavori, oppure per le vostre successive tappe non avete in mente una sola direzione e non ponete limiti quindi alla creatività, in qualche modo, appunto, alla vostra Follya?

«Più che di suono si potrebbe parlare di impronta, di mentalità e di attitudine. E’ una roba molto più inside, che non ha a che fare solo con il sound o con la scrittura. Rimarrà sempre questo tratto distintivo di “Morto per te”, ma ci piace l’idea di esplorare anche mondi diversi, quindi fare la traccia più happy, la ballad strappalacrime o la canzone coatta (ridono, ndr). Più che altro, ogni canzone è un viaggio e una storia a sé, la musica intorno va a sposare ciò che serve per quel viaggio. Diciamo pure che non ci poniamo limiti».

Follya - Morto per te

Dirompente il videoclip, così come la copertina del singolo con l’immagine della ruota panoramica, che si ricollega ai riferimenti testuali del Luna Park e della giostra. E’ vero che da un lato può sembrare un progetto folle, ma io ci vedo tanta ricerca anche a livello comunicativo e visivo. In quella che viene considerata un po’ l’era delle immagini, quanto conta in questo vostro nuovo progetto la parte non musicale? Tutto ciò che magari una volta veniva considerato il contorno…

«L’aspetto visual e musicale sono strettamente correlati. Il concept di progetto deve essere curato sotto ogni aspetto. Dal video alle grafiche: è tutto un pacchetto che ci rappresenta. In primis, però, abbiamo voluto far parlare la musica, per questo all’inizio non abbiamo mostrato foto con i visi scoperti, quasi per far incuriosire. Non a caso su Shazam siamo stati primi nelle ricerche: vuol dire che un po’ di curiosità l’abbiamo generata. E’ la prima volta che siamo liberi di lavorare a 360 gradi su un progetto: si tratta di idee partite da noi di cui siamo sicuri al 100%. Per noi è un periodo in cui abbiamo il tempo di ritrovarci in studio e confrontarci, mentre in passato non c’erano i tempi e gli spazi da dedicare a noi stessi e a questa ricerca. Adesso abbiamo più esperienza e mettiamo una cura più maniacale in ciò che facciamo».

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un ritorno del fenomeno delle band, forse quando erano nati i Dear Jack sembrava che fosse un concetto quasi superato. Vuoi o non vuoi, l’attenzione che hanno dato i Maneskin in Italia, ma in generale anche  altre realtà in giro per il mondo, di giovani che riscoprono il piacere di ritrovarsi e di suonare insieme, mettendo su un gruppo come si faceva una volta. Beh questo in un’epoca un po’ individualista io lo percepisco come un bel segnale… Pensate che possa essere un buon momento per la musica suonata?

«E’ bellissimo come in un’epoca in cui si guarda egoisticamente a se stessi, in cui siamo soliti concentrarci sui commenti e sui like dei social, tornare a lavorare non più sul concetto di singolo, ma più su una visione collettiva è bellissimo. I Maneskin ci hanno fatto capire che lavorare sodo ed essere uniti alla fine premia sempre. Hanno portato l’Italia nelle classifiche di tutto il mondo, ricordandoci che con la verità e la purezza si può realizzare qualsiasi cosa. Anche perchè venivamo dal precedente decennio che era stato molto rap e trap, finito questo ciclo è bello assistere a questo ritorno del rock. In più, il periodo della pandemia ci ha spinto un po’ tutti a ritrovarci e a pensare in generale in maniera meno individuale e più altruista».

Com’è stato tornare a casa? Mi riferisco naturalmente alla vostra recentissima ospitata ad “Amici”?

«E’ stato come tornare a scuola, come ritrovare i professori del liceo. Abbiamo riabbracciato persone che non vedevamo da anni. E’ stata un’emozione che ci ha riportati indietro di sette anni, seppur nei panni di persone più adulte. Da una parte una riscoperta, dall’altra un ricordo che è rimasto sempre nel cuore. Poi vedere negli occhi di Maria De Filippi l’affetto un po’ di una madre, per noi è stato particolarmente emozionante».

Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche vi rendono orgogliosi del progetto Follya… di questo vostro nuovo percorso a metà strada tra una reunion e una vera e propria rinascita musicale?

«Ci rende fieri la chiarezza e la trasparenza che cielo oggi tra di noi, come magari non c’era molto in passato. Nel vortice di quel successo, capitava spesso di tenerci molte cose dentro, situazioni che potevano talvolta dare vita ad incomprensioni ed implosioni. Dobbiamo andare particolarmente fieri anche dell’essere riusciti a riscoprirci come persone, perchè prendere coscienza delle persone che hai attorno e poter sempre contare su di loro attribuisce un incredibile potenziale al progetto».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.