A tu per tu con il cantautore pugliese, in uscita con il suo album d’esordio intitolato “L’ultimo fiore“
E’ disponibile a partire dallo scorso 8 luglio “L’ultimo fiore”, progetto che segna il debutto discografico di Luca Gaudiano, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Gaudiano. Vincitore dell’azione 2021 di Sanremo Giovani, il giovane talento foggiano torna sulle scene con un lavoro ispirato e maturo, frutto di una preziosa e funzionale ricerca.
Ciao Luca, bentrovato. Partiamo da “L’ultimo fiore”, disco che segna sia il tuo debutto ma anche il tuo ritorno discografico perché arriva a un anno e mezzo di distanza dalla vittoria di Sanremo Giovani. Come si è svolto il processo creativo di questo progetto?
«Credo che il tempo sia un concetto molto relativo quando si parla di ispirazione, bisogna combattere con chi ti chiede di essere produttivo per poter gestire le cose al meglio. C’è stato tanto tempo tra Sanremo e il disco, ma penso che sia stato speso bene, perché abbiamo lavorato in modo verticale, avendo la possibilità di realizzare a livello tecnico e musicale un album di cui posso andare fiero».
L’elemento che contraddistingue le dieci tracce in scaletta è la tua penna, per questo mi incuriosisce approfondire quali sono stati gli stati d’animo e le riflessioni che ti hanno accompagnato durante la scrittura di questi pezzi?
«Il disco parla dei rapporti umani e di come questi vengano messi in crisi da ciò che accade nella nostra quotidianità. Parlare d’amore in un disco oggi penso che sia coraggioso tanto quanto facevano i vari Venditti e i vari De Gregori negli anni ’70. Trovo che il vero cantautore impegnato stia nel raccontare le difficoltà del portare avanti un rapporto all’interno di una società come la nostra. Mi piaceva soffermarmi sulle queste sfaccettature di queste difficoltà».
Durante la lavorazione di questo disco, e più in generale nel tuo approccio alla musica, ti reputi più perfezionista o più creativo? Come confluiscono e come riesci a far bilanciare la ragione e l’istinto?
«Nella fase di scrittura, più un creativo. Per esempio “Stendo il cielo” è nata come un vero e proprio flusso di coscienza, di getto come quando ho scritto “Rimani”, in entrambi i casi soltanto alla fine mi sono reso conto. Nella fase di recording e di mastering, invece, mi ritengo un perfezionista, direi anche un rompiscatole!».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante, la lezione che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Che la musica può essere un rifugio e, soprattutto, salvezza. Ieri pomeriggio mi trovavo in studio per una session di scrittura, ho pubblicato una storia con scritto “La musica mi salva ancora”. Ed è proprio così, perchè ogni volta che ti dimentichi del valore salvifico della musica, lei arriva a ricordartelo. La musica è un’ancora su cui poter fare affidamento in maniera trasversale».
Nico Donvito
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