Un nuovo modo di intendere la musica o semplice speculazione?
E’ certamente fuor d’ogni discussione il fatto che i featuring siano una delle grandi novità della musica del terzo millennio. La diffusione, la quantità e la frequenza di questo tipo di collaborazione ha fatto sì che la parola “duetti”, pur non essendo fuori uso, suoni per i più giovani antiquata e legata a un tipo di musica che non esiste più.
Il genere che più ha consacrato questo tipo di alleanza “gerarchizzata”, in cui l’ospite non viene messo sullo stesso piano dell’artista principale, è probabilmente il rap, genere che dalla sua nascita conserva insito in sé stesso il principio di comunità e di collaborazione. Al giorno d’oggi è praticamente impossibile vedere un disco hip hop senza featuring, che spesso e volentieri accompagnano gran parte delle tracce e si presentano sotto forma di ritornelli cantati o strofe aggiuntive.
Un’abitudine estesa al pop |
Seppur quest’usanza sia applicata in misure molto minori nel mondo del pop, c’è da dire che non capita di rado che nei dischi di artisti come Elisa, Francesca Michielin, Irama o Annalisa figuri non solo un buon numero di featuring, ma anche di collaborazioni con membri dalla dimensione urban. Ne “Il giorno in cui ho smesso di pensare” sono presenti Guè, Sfera Ebbasta e Lazza, in “Nuda10” Chadia Rodriguez, J-Ax e Rkomi, in “FEAT” Gemitaiz, Shiva e Fabri Fibra. Insomma, è un fenomeno che negli ultimi tempi sta intercettando sempre di più la nostra discografia, contaminata più che mai.
Questioni discografiche |
Quello che conduce gli artisti a cercare una voce che esprime un mondo totalmente diverso dal proprio è riconducibile a più cause, e di certo tutta la macchina sovra-artistica non può divincolarsi dalla questione. Le etichette discografiche, sempre più di meno e perciò sempre più popolate, cercano il matrimonio in casa, e ciò è possibile per via dell’immensa varietà di generi rintracciabile nella major odierna. E così l’accordo fra l’artista in carenza di vendite e il rapper sulla cresta dell’onda è presto fatto, tra la ricerca di una rinascita o di una consacrazione. Dietro al singolo cantante è presente un team attentissimo e calcolatore, ed è chiaro quindi che si cerchi, se possibile, la strategia più proficua possibile.
Questione di gusti |
Nonostante sembri che il seguente discorso sia in via di estinzione e quasi anacronistico, è giusto segnalare che qualche anno fa l’opinione era molto polarizzata, e si contendevano il mercato gli appassionati del pop e quelli del rap. Se erano pochi gli artisti che rappresentavano l’intersezione tra queste due fanbase, è vero che gli altri dovevano ancora scoprire questa terra di mezzo, e il featuring dava una grossa opportunità in questo senso. Il vantaggio di uscire con un brano in collaborazione con un rapper potrebbe condurre da un artista una fetta di pubblico che non avrebbe mai intercettato, che seguendo le attività del suo rapper modello ascolta una musica differente (magari partendo dal brano in esame e poi continuando con la restante parte del repertorio).
Questioni artistiche |
Perchè no? Perchè la strofa di un rapper deve per forza essere un panno sporco su cui la canzone si appoggia? Spesso anche artisti melodici, acustici e “vecchio stile” vengono a contatto con attitudini diversissime e ne rimangono affascinati, apprezzando modi di comunicare e di intendere la musica e il pubblico. Il rap ha oltrepassato i limiti del genere di nicchia ed è arrivato a tutti, anche a gente che da qualche tempo ha adottato l’autotune. Chi l’avrebbe mai detto?
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