martedì 8 Ottobre 2024

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Daniele Stefani: “Ho imparato sulla mia pelle ad avere fiducia nella vita” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore milanese, disponibile in tutti gli store dal 7 giugno con l’album “La fiducia”

Oggi è un giorno importante per Daniele Stefani, a undici anni di distanza dal suo ultimo disco in studio in lingua italiana, esce il suo nuovo album di inediti “La fiducia” (Music Ahead), proprio come il titolo del suo ultimo omonimo singolo. In scaletta dieci tracce, tra cui spiccano i precedenti estratti Italiani e Generazione trentenni, più le rivisitazioni di “Un giorno d’amore” e “Chiaraluna”, brano con cui ha partecipato tra le Nuove Proposte a Sanremo 2003. Dopo averlo intervistato in occasione del suo ritorno nel nostro Paese sancito dalla reunion artistica con il produttore Giuliano Boursier (qui la precedente chiacchierata) e aver conversato davanti ad uno spritz nella nostra aperintervista, ritroviamo il cantautore milanese per scoprire brani contenuti all’interno di questo suo nuovo lavoro.

Ciao Daniele, bentrovato. Scopriamo insieme le canzoni di questo disco, ascoltandole idealmente traccia dopo traccia. Partiamo da “Italiani”, una serena presa di coscienza sui pregi e sulle contraddizioni che caratterizzano l’italiano medio, un omaggio ma al tempo stesso un’analisi. Cosa ti ha spinto a tornare e a scrivere questo pezzo?

«Portare l’Italianità in giro per il mondo ti fa capire ed apprezzare pregi e difetti del nostro popolo. Sono un cantautore e come tale ritengo giusto raccontarsi cercando di lasciare dei messaggi. Ogni artista ha la sua storia e la sua personalità. Io ho semplicemente raccontato la mia esperienza e ciò che ho vissuto in questi anni». 

Si prosegue con la title track “La fiducia”, realizzata in collaborazione con Paolo Ruffini. Una canzone con una tematica importante che avrebbe meritato un palcoscenico come quello dell’Ariston di Sanremo, ipotesi tra l’altro tentata ma sfumata.

Viviamo in un’epoca in cui spesso per necessità ci affidiamo agli altri, ma raramente ci fidiamo fino in fondo. In un momento storico in cui a dominare le classifiche ci sono canzoni che ostentano il valore, come ci si sente a nuotare controcorrente e a parlare di valori?

«Mi rendo conto che negli ultimi anni ho spesso viaggiato “controcorrente” a volte anticipando i tempi, altre portando un linguaggio più legato a quel cantautorato che mi ha ispirato da sempre. Essere una voce diversa mi piace, non mi piace l’omologazione, trovo che la diversità sia una risorsa. Indubbiamente cercare di non imitare nessuno comporta dei rischi, tra cui quello di essere meno in linea con la moda del momento… ma essendo del momento, come tutte le mode cambia, la vera identità senza filtri, resta. 

Ho fiducia nella vita ed ho imparato sulla mia pelle che dando fiducia arriva fiducia. Questo non significa che non la si debba conquistare, ma semplicemente aprire delle porte in più, perché nella diversità sta l’incontro, perché ciò che sembra difficile non è impossibile».

“Generazione trentenni” è forse il brano più provocatorio di questo progetto, quello che mette maggiormente in risalto l’aspetto inedito e ironico della tua scrittura. Cosa o chi hai voluto fotografare?

«Ho voluto mostrare un lato di me meno conosciuto, ma molto presente. L’autoironia aiuta a vivere meglio. Ho voluto fotografare la mia generazione che fatica a trovare certezze o a fare progetti di vita, per via della precarietà, ma anche quella fetta di eterni Peter Pan (nel videoclip più evidente) che non si arrende al fatto che cambiano i tempi e c’è un tempo per ogni cosa». 

Il quarto pezzo in scaletta si intitola “Il falso”, un’altra ecografia che rappresenta un po’ lo spaccato della nostra attuale società, dove il fake è dietro l’angolo. Quali sono i trucchi e le bugie che hanno ispirato questo racconto?

«Vivo e viviamo costantemente circondati da falsità. Il mio in particolare,  è un mondo di facili entusiasmi e pacche sulle spalle, ma di pochi amici veri. Sono fortunato, i miei si contano in molto più di cinque dita, ma credo che questo brano sia stato ispirato dai momenti difficili in cui ho dovuto fare i conti con me stesso e capire, così come accettare, che bisogna saper navigare a vista e con consapevolezza e serenità, distinguere il falso dal vero. Il fake oggi è a portata di mano ovunque e sarebbe bello vivere un po’ più in modo sociale e meno social indubbiamente». 

Al giro di boa troviamo “Bacco e Venere”, un brano dalle atmosfere spensierate ed estive. com’è nato?

«Un po’ di spensieratezza ci vuole e questo brano è frutto del sole, dell’estate, dei sorrisi vissuti nel mondo e della voglia di un po’ di sana leggerezza». 

Ne “L’attesa” celebri l’arte del saper aspettare, la capacità di riuscire a dare il giusto valore al tempo, ovvero la reale moneta di scambio del nuovo millennio. Fermarsi ad osservare il mondo che ci scorre attorno è un lusso che dovremmo, ogni tanto, un po’ tutti concederci. Quali sono le domande che ti sei posto a riguardo e a quali conclusioni sei arrivato?

«Trovare risposte non è mai cosa semplice, ma ho capito che l’attesa è parte del percorso e che se si sta fermi in attesa, non succede nulla, se invece la si vive  per quello che è, tutto scorre in modo più fluido. Non sempre è facile metterlo in pratica, ma è un buon mantra. Il mio rapporto con il tempo è sempre stato conflittuale, ma crescendo sto imparando a renderlo più complice». 

Tra gli inediti trova spazio “Chiaraluna”, attualizzata senza essere snaturata dal fedele producer Giuliano Boursier. A sedici anni di distanza dalla sua prima incisione, com’è stato ricantarla in studio?

«”Chiaraluna” è un brano che è entrato nella vita delle persone un passo alla volta, diventando il più amato dai miei fans. È candidato ad essere un singolo per il Latinoamerica ed abbiamo pensato di renderlo più fresco, avendo già una versione con l’orchestra, ovvero l’originale. Cantarlo è parte della mia vita ormai. Giuliano ha saputo tenerne l’essenza dandogli il suo tocco moderno con maestria, come in tutto l’album ha saputo rispettare la mia essenza acustica, mettendoci comunque il suo timbro riconoscibile». 

L’ascolto prosegue con “Dalla tua parte”, un mix tra sonorità incalzanti e parole incisive, quale significato attribuisci a questo pezzo?

«È un brano che descrive tutti i lati “oscuri” quelli che spesso vediamo ma facciamo finta di non vedere. La società non sta vivendo un momento straordinario. Ci sono sentimenti contrastanti e poco accoglienti. Io “abbraccio” chi ha voglia di stare dall’altra parte, chi sceglie di cercare di cambiare ciò che non funziona. Senza presunzione, ma con fiducia e determinazione». 

“Nella mia assenza” è una delle chicche di questo album, una profonda e matura ballad dedicata a tuo padre. Da quali riflessioni ti sei lasciato trasportare?

«Si parla troppo spesso delle mancanze di un genitore, ma pochissimo di tutto quello che dà. Sono stato fortunato. Sono stato io ad andarmene lontano ed in età anche abbastanza matura. La sua presenza costante, mai invasiva, come quella di tutta la mia famiglia è stata la mia linfa ed il mio coraggio». 

Conclude l’ascolto la nuova versione di “Un giorno d’amore”, riletta in chiave acustica. Una canzone che rappresenta l’inizio del tuo percorso e che, in qualche modo, va a chiudere un cerchio.

Tenendo conto di tutti questi anni di carriera, chi è oggi Daniele Stefani? Se ti guardi allo specchio quale immagine vedi?

«Vedo un uomo con i sogni di un bambino, perché quelli non ce li deve togliere mai nessuno. Vedo una persona che ha sofferto più di quello che ama mostrare. 

Vedo l’immagine del sagittario, sempre pronto a ripartire puntando dritto all’obiettivo». 

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.