Aspre e gratuite critiche mosse nei confronti della popolarissima hit di Amedeo Minghi e Mietta nel corso della seconda puntata di “Ora o mai più”
In un Paese in cui ci si indigna per la nomina di Lino Banfi come nostro rappresentante all’Unesco, non mi ha più di tanto meravigliato assistere al curioso siparietto andato in scena sabato 26 gennaio nel corso della seconda puntata di “Ora o mai più”, show di Rai Uno condotto da Amadeus. Durante l’ultima manche, gli otto protagonisti della trasmissione hanno duettato con alcuni ospiti, tra cui spicca il nome di Amedeo Minghi. Il celebre cantautore romano ha cantato con Annalisa Minetti sulle note del suo cavallo di battaglia “Vattene amore”, brano con cui si è aggiudicato il terzo posto al Festival di Sanremo 1990 in coppia con Mietta. Un pezzo che, nel giro di pochissimo tempo, è diventato un vero e proprio tormentone nazional popolare, ricordato e amato da molti.
Terminata la performance, come di consueto, viene data la parola ai maestri per esprimere il loro giudizio sull’esibizione dei concorrenti, parere tecnico che si trasforma in una pseudo lezione universitaria sul concetto di estetica musicale. Ad aprire le danze il buon Red Canzian che, di solito, ha sempre speso belle parole per tutti, ma in questo caso ha voluto esprime il suo pensiero sulla canzone definendola “piccola e fragile”, nonostante le classifiche dell’epoca l’hanno vista imporsi sulla stessa vincitrice della kermesse, guarda caso “Uomini soli” dei Pooh. A rincarare la dose non poteva di certo mancare Donatella Rettore, che ha apostrofato il pezzo come una “menata galattica”, per poi concludere in bellezza con Ornella Vanoni: “penso che questa trottolino amoroso sia una canzone per bambini, a me fa ridere, che è? cos’è?”.
“Essere o non essere popolare, questo è il problema”, così reciterebbe oggi l’Amleto di William Shakespeare. Lo stesso autore del brano, visibilmente infastidito dai commenti ma estremamente garbato e intenzionato a non alimentare le polemiche, ha sottolineato il grande successo riscosso da questo pezzo, anche se sicuramente ne ha scritti di più belli, bisogna avere rispetto nei confronti del pubblico che, a distanza di trent’anni, non ha riposto nel dimenticatoio questo brano, come ricordato da Marcella Bella. Nel giorno in cui ricorre il decimo anniversario dalla morte di Mino Reitano (artista poco ricordato e più volte sbeffeggiato dalla critica e da alcuni addetti ai lavori per via della sua “Italia”, altro brano di insindacabile clamore) è stato decisamente di pessimo gusto assistere ad un dibattito così privo di contenuti, basato semplicemente sul nulla.
“Veramente nei miei concerti è sempre molto richiesta, magari riuscissi a bissare un successo del genere”, replica giustamente Amedeo Minghi. Onestamente credo che il problema sia da attribuire al ruolo di “coach-giudice-maestro”, stare dietro ad una poltrona per esprime sentenze può avere le sue controindicazioni, diventa quasi un gioco al massacro e una sorta di rincorsa a chi si mette più in mostra, positivamente o negativamente non fa alcuna differenza. A parlare deve essere la musica, attraverso l’insindacabile giudizio del pubblico, l’unico che conta realmente e che non guarda in faccia a nessuno, neanche al gattino annaffiato e al gattone arruffato.
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Nico Donvito
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