Il potere della musica tocca le corde dell’anima, anche nel 35esimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino. Ecco come è stato affrontato il tema nelle canzoni italiane
Sono passati 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, un evento che, oltre a segnare la fine di una divisione fisica e politica tra l’Est e l’Ovest, ha rappresentato un momento cruciale nella storia del XX secolo. Quella notte del 1989, tra il 9 e il 10 novembre, migliaia di persone attraversarono il confine tra le macerie di una barriera simbolo della cortina di ferro.
Negli anni, tanti artisti italiani si sono confrontati con questo tema, da Edoardo Bennato a Lucio Dalla, passando per Riccardo Fogli e Franco Battiato che scrisse per Milva la straordinaria “Alexanderplatz”. Le loro riflessioni, in parte figlie dei tempi della Guerra Fredda e in parte ispirate dai cambiamenti sociali e politici, sono ancora oggi un interessante punto di vista per cercare di comprendere come la musica possa raccontare la storia.
Uno dei primi a trattare l’argomento è stato Edoardo Bennato, il solito avanguardista, che nel 1976 pubblica “Franz è il mio nome”, contenuto all’interno del disco “La torre di Babele”. Il protagonista del brano è incaricato di traghettare, a pagamento, i fuggiaschi dall’Est all’Ovest. Il cantastorie napoletano, come al suo solito, non risparmia i riferimenti fiabeschi anche per questa vicenda così cruda, rendendola quasi una filastrocca che unisce simbolicamente il viaggio verso il Paese dei Balocchi raccontato a Collodi nel suo “Pinocchio” al transito illecito al di là del muro di Berlino, di chi si ritrova a passare dal buio del comunismo alle luci del consumismo.
E che dire di un capolavoro indiscusso di Lucio Dalla come “Futura”, pubblicato nel 1980, inserito come traccia conclusiva del disco “Dalla”. La canzone raccoglie i timori, i dubbi, le speranze e i sogni di due innamorati della Berlino divisa dal Muro in piena Guerra Fredda. Il cantautore immagina i dialoghi tra gli amanti in una città divisa e ferita dalle tensioni politiche, un luogo in cui è estremamente difficile pensare al domani. Eppure i due trovano nella fantasia l’antidoto alla paura, e cominciano a riflettere sulla possibilità di dare alla luce un figlio: “E se è una femmina si chiamerà Futura”.
Lucio ha raccontato di avere scritto il testo durante un soggiorno a Berlino, dopo un concerto, appuntando i suoi pensieri su un taccuino in una notte del 1979 a Checkpoint Charlie, un posto di blocco situato tra il settore sovietico e quello statunitense. Dopo essersi seduto su di una panchina per riflettere, fumando una sigaretta, ha rivelato che poco dopo il suo arrivo vide scendere da un taxi Phil Collins, anche lui a Berlino per un concerto dei Genesis. Dalla avrebbe desiderato salutare il cantante, ma si sarebbe trattenuto per non disturbarlo in un momento di riflessione simile al suo.
Una storia analoga quella raccontata da Riccardo Fogli quando nel 1983, con un anno di ritardo rispetto alla consuetudine dopo la vittoria di Sanremo con “Storie di tutti i giorni”, il cantautore rappresentò il nostro Paese all’Eurovision Song Contest, che in quell’edizione si è svolto non a caso a Monaco di Baviera.
La canzone presentata in concorso si intitola “Per Lucia”, un testo scritto in coppia Vincenzo Spampinato, su musica di Maurizio Fabrizio, che racconta le difficoltà di due giovani innamorati divisi dal cemento e dal filo spinato, che sognano di potersi riabbracciare, con l’augurio che “la storia continui nella pagina accanto”.
E c’è chi ha scritto del Muro di Berlino dopo la sua caduta: siamo nel 1990, quando Fabrizio De Andrè rilascia l’album “Le nuvole”. Tra le tracce spicca “La domenica delle salme”, composta a quattro mani con Mauro Pagani, che si aggiudica l’anno successivo la Targa Tenco per la miglior canzone. Un brano che si distingue per la sua disillusione nei confronti di quell’evento considerato da tutti di portata storica.
De André, con la sua consueta capacità di saper leggere la realtà con occhi critici, mette in dubbio che quell’episodio rappresenti effettivamente la panacea di tutti i mali. Crolla il Muro e, mentre tutti esultano per la sconfitta del comunismo sovietico, il cantautore genovese trova il coraggio di parlare dell’altra faccia della medaglia, intuendo che più che della conclusione del modello sovietico, si stia assistendo alla definitiva vittoria del capitalismo americano e del trionfo delle disuguaglianze.
Infine, come non citare la celeberrima “Alexanderplatz”, data alle stampe nel 1982, interpretata magistralmente da Milva, in un riadattamento di un pezzo intitolato originariamente “Valery”, inciso da Alfredo Cohen tre anni prima, il cui testo parla di una giovanissima ragazza transgender.
Successivamente è Franco Battiato riscriverne le liriche, lasciandosi ispirare dalla centralissima piazza della capitale tedesca. L’interrogativo “Ti piace Schubert?”, più volte ribadito tra i versi, non è altro che uno spaccato dell’epoca e si riferisce al fatto che a Berlino Est, così come in tutta l’Europa orientale, la cultura tradizionale e soprattutto la musica classica sono al centro dell’offerta culturale del regime, che non prevede grandi alternative. Non vi è posto per nulla di contemporaneo, considerato simbolo e avamposto degli ideali edonistici dell’Occidente.
Ogni volta che si affrontano questi temi, finiamo sempre per parlare del controllo delle masse, perché è su questi cardini che si fonda l’autoritarismo. Se è vero che la barriera berlinese fu ufficialmente costruita per fermare l’emigrazione dalla Germania Est alla Germania Ovest in seguito al Patto di Varsavia, di fatto divenne anche l’occasione per dividere i popoli anche e soprattutto culturalmente.
Se è vero che il Muro di Berlino, eretto nel 1961 e crollato nel 1989, con i suoi 3,6 metri di altezza e i suoi 43 chilometri di lunghezza, è stato in grado di dividere per quasi trent’anni una città, e se vogliamo un intero continente, verrebbe da chiedersi se oggi non siano altrettanto pericolosi i muri invisibili, quelli che non si possono di fatto vedere, toccare e abbattere.
Un concetto ripreso nel 1993 da Nek, in un pezzo intitolato “Il muro di Berlino c’è” contenuto nel suo secondo album “In te”. Questo l’incisivo ritornello: “E il muro di Berlino c’è, nessuno l’ha buttato giù, è un muro che non cadrà mai, se spari a quello che non sai”. Il cantautore emiliano allude alla presenza di barriere invisibili, ideologiche e sociali, che continuano a separare le persone anche nel mondo post-Guerra Fredda.
Non a caso molti politologi sostengono che quella muraglia di cemento non sia mai stata abbattuta realmente e che quell’atto simbolico non ha di fatto invertito il corso della storia, almeno non come si sperava. Difficile dare delle risposte su questo tema, ma come sempre la musica può aiutarci a riflettere, offrendoci qualche spunto in più su cui poterci soffermare. Al di là di quanto sia riferito sui libri di scuola, la storia è nelle nostre mani.
A occhio e croce, se quella Futura di Lucio Dalla fosse stata concepita davvero nel 1980, oggi avrebbe quarantaquattro anni. E chissà, magari potrebbe aver rispettato o disatteso le aspettative dei suoi speranzosi e pretenziosi genitori. A noi piace pensare che possa aver trovato il suo posto nel mondo, tra Est e Ovest, tra i russi e gli americani, tra le cose che sono cambiate e quelle che sono rimaste uguali. Anche lei mamma e desiderosa di un domani migliore per i propri figli.
Nico Donvito
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