A tu per tu con l’autore campano, alla sua prima prova discografica da solista in uscita l’8 maggio
Senza maschere e senza filtri, questa l’impronta che Davide Petrella ha voluto dare al suo primo progetto discografico, intitolato “Litigare” (Warner Music), negli store digitali e nei negozi tradizionali a partire da venerdì 8 maggio. Undici tracce che mettono in luce l’identità dell’artista napoletano, già in parte espressa mediante la sua prolifica attività aurorale, firmando alcuni dei pezzi di maggior successo degli ultimi anni: da “Fenomenale“ di Gianna Nannini a “Ogni istante“ di Elisa, passando per “Vorrei ma non posto” di J-Ax e Fedez, “Nuova luce” di Francesco Renga, “Effetto domino“ di Emma, “Frida (mai, mai, mai)“ dei The Kolors, “Pamplona“ di Fabri Fibra, fino a “Logico #1“, “Buon viaggio (share the love)” e “Poetica“ di Cesare Cremonini.
Ciao Davide, “Litigare” è il titolo del tuo primo album di inediti. Da quale idea iniziale sei partito e cosa rappresenta per te?
«Questo disco ha avuto una gestazione strana perché, in realtà, è come se fosse un secondo progetto: avevamo già un album pronto, praticamente chiuso. Poi una notte è arrivata “Litigare”, una canzone che era totalmente diversa dalle altre tracce pronte. Da lì ho cominciato a scrivere di getto altri pezzi che andavano su quella stessa direzione, sia a livello di suono che di linguaggio. I brani sono arrivati uno dopo l’altro, tant’è che ho proposto alla mia etichetta una sorta di switch: anziché bastonarmi la Warner ha accolto questa mia folle richiesta e in due mesi abbiamo messo in pedi questo album, che rappresenta il mio primo lavoro da solista, dopo aver militato per dodici anni nella band de Le Strisce, esperienza che ha rappresentato per me una vera e propria palestra e tanta gavetta».
Un bel messaggio, soprattutto di questi tempi, il fatto che discograficamente parlando si dia la possibilità di rimettere tutto in discussione, no?
«Assolutamente si, mi rendo conto che la mia è stata una richiesta folle, ero convinto non accettassero, perché davvero era tutto pronto, avevamo già i master delle canzoni. Ma quei brani li consideravo un po’ degli ibridi, mentre quelli che alla fine sono finiti nel disco rappresentano la massima espressione di me stesso. Un disco nato in due mesi, molto istintivo, con canzoni che racchiudono tutto quello che vivo e osservo quotidianamente».
In tal senso, la scelta di non inserire “Non può fare male”, brano con il quale hai partecipato alle selezioni finali di Sarà Sanremo, si colloca con quanto hai appena detto?
«Certo, mi sono reso conto che apparteneva più al vecchio filone, non si legava alla nuova ondata di canzoni. Mi rendo conto che può sembrare una scelta coraggiosa, perché con quel brano sono passato in prima serata su Rai Uno, cosa non da poco di questi tempi. Ma ho voluto mettere coerenza e trasparenza in quello che ufficialmente è il mio primo tassello discografico. Non ho voluto guardare a null’altro che non fossero l’equilibrio e la credibilità dell’album».
Quali sono le principali differenze nel scrivere per altri e per se stessi?
«E’ molto ma molto diverso, personalmente li reputo due mestieri completamente diversi. A me piacere instaurare un rapporto con l’artista per il quale scrivo, recuperare il vero significato della parola “collaborazione”. Quando compongo per qualcun altro tendo a rispettare la storia di quel determinato artista, mettendo a sua completa disposizione quello che so fare. Quando scrivo per me, invece, lo faccio con uno spirito completamente diverso, prendendomi anche dei rischi e sentendomi totalmente libero di tirare fuori me stesso».
Questa domanda, in realtà, la prendo in prestito dalla strofa di “Litigare”: cosa ne pensi dell’esplosione dell’indie?
«E’ un periodo incredibile per questo filone musicale, erano anni che non si avvertiva così tanta attenzione per una serie di artisti estremamente interessanti che, dall’oggi al domani, sono riusciti a scalare le classifiche e a realizzare sold-out in tutt’Italia. Fino a poco tempo fa era impensabile per alcuni di loro anche solo passare in radio: c’è stata una grande attenzione e una forte apertura da parte dei network. Trovo che sia un buon periodo: godiamoci questa ondata di novità poi, certo, c’è il rischio di trovare anche cose meno interessanti, ma ben venga la volontà di investire su facce nuove. Credo che il termine “indie” faccia parte ormai del passato, fondamentalmente si è trasformato in pop, alcune volte di ottima fattura, altre meno, ma sicuramente interessante perché allineata perfettamente con quello che rappresenta oggi il mercato discografico».
Molti di loro, come te, hanno suscitato un doppio interesse sia dietro le quinte che sul palco. Come ti vedi in un prossimo futuro? Più autore o cantante?
«Continuerò questa sorta di parallelismo, perché mi diverto in entrambe le vesti. Spero che gli anni e la gavetta mi abbiano portato alla giusta maturità per risultare a fuoco e credibile agli occhi del pubblico, personalmente mi sento pronto. Il mio obiettivo più grande è quello di portare in giro la mia musica attraverso i live, perché le serate mi danno la possibilità di entrare a stretto contatto con il pubblico, raccogliere le loro reazioni. In futuro, anche lontanissimo, mi continuo a vedere come autore e cantante, per continuare a dire la mia nella musica».
Cosa pensi dei talent show? Hai mai pensato di presentarti ai casting?
«Onestamente no, ma non perché sono uno che snobba determinati contesti, anzi, sono amico di ragazzi che vorrebbero partecipare o che ne hanno già preso parte. Non ci vedo nulla di male, è una vetrina come tante altre, io personalmente non mi ci vedo tanto, perché non mi sento affatto un personaggio mediatico, la televisione non è il mio pane, preferisco il palco e non amo troppo gli schemi. Per chi si trova a suo agio con quel tipo di contenitori, perché no? Sicuramente offre delle possibilità che altrove si stenta a trovare».
Non è paragonabile ad un talent ma sicuramente un’avventura televisiva, invece, la tua partecipazione a “Sarà Sanremo”. Ti sei trovato a tuo agio in quel contesto?
«Mi sono molto divertito a livello umano, perché ho conosciuto altri ragazzi che come me suonano e scrivono, ma non lo considero molto il mio mondo. Tentare questo tipo di passerelle, sicuramente può essere utile, perché può darti una mano ad accelerare il percorso. Per quanto mi riguarda non è così fondamentale, c’ho provato certo, ma non sono per niente deluso da come sia andata, anzi, senza quel “no” non sarebbe venuto fuori questo album, avrei fatto uscire quello che ti dicevo all’inizio. Ripeto, questo disco ha una storia pazzesca, dietro ci sono una serie di eventi che hanno portato alla realizzazione di queste undici tracce, pezzi di me che mi rappresentano nella loro completezza».
Nico Donvito
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