Capita a volte di organizzare un’intervista e capita di conoscere poco (per ignoranza intellettuale, lo ammetto) la persona con cui si andrà a dialogare ma di farlo felicemente e convintamente dopo aver ascoltato qualcosa del suo materiale in seguito ad indicazioni terze. Capita poi che, nel momento in cui si prende in mano il telefono, ci si aspetterebbe una delle classiche telefonate “toccata e fuga” per dire le solite cose con, per dipiù, una certa puzza sotto il naso da parte dell’intervistato che accetta giusto perché “per lavorare occorre farsi conoscere”. Ecco, dimenticate tutto questo nel momento in cui vi approcciate a quest’intervista (voluminosa e densa di contenuti, mi rendo conto) che ho realizzato con Geatano Capitano, autore raffinato e culturalmente elevato che ha scritto negli ultimi tempi per Fabi-Silvestri-Gazzè e Ilaria Porceddu e che, nel corso della sua carriera, ha collezionato, tra le altre cose, la vittoria del Premio Lunezia nel 2012, la valutazione di “Ottimo” dal CET di Mogol, la medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come finalista del Premio Huco, il Premio della critica per il Miglior Testo Letterario nel Premio Sergio Endrigo e l’invito come ospite all’interno delle selezioni di Area Sanremo nel 2016. Quando ho conosciuto telefonicamente Gaetano sono rimasto sconvolto dalla sua umiltà, disponibilità ed enorme umanità nel raccontarsi senza freni ed inibizioni e nell’interessarsi a me, alla mia passione e al mio percorso (appena iniziato) nel mondo della musica.
Vi lascio, dunque, a questa preziosissima intervista che vi consiglio di gustare con calma e attenzione oltre ad invitarvi all’ascolto delle sue splendide creature autorali:
Allora Gaetano, iniziamo forse dalla domanda più banale ma che, probabilmente, sta anche all’origine di quanto andremo poi a raccontare: da dove nasce in te la passione per la scrittura e per la musica?
<<Ho scoperto, qualche tempo fa, che qualcuno ha avanzato un ipotesi nella quale rispecchio pienamente il mio percorso a contatto con la musica. Secondo questa formulazione teorica, se da bambino, si ha goduto della fortuna di avere qualcuno che raccontasse delle storie, allora si sviluppa una certa propensione per il raccontarle poi a propria volta. Sicuramente, quindi, devo ringraziare mia madre che mi raccontava sempre delle fiabe quand’ero bambino prima di andare a dormire: ho sempre amato i racconti in genere, le storie, la voce fuori campo nei film. Ovviamente, poi, la predisposizione non basta ed io ho avuto, forse, il merito di averla affinata con il piacere della lettura>>.
Nel corso della tua carriera come autore e come musicista hai partecipato a moltissimi concorsi molto prestigiosi vincendone davvero tantissimi e diventando, in qualche modo, un “autore titolato”. Che valore ha nella musica l’istruzione, la conoscenza ed il riconoscimento che terze persone danno di questo valore che va ad aggiungersi al talento naturale?
<<Bellissima domanda, nessuno me l’ha mai formulata con questa chiave di lettura. Ci sono due aspetti da considerare, secondo me, per poter rispondere a questa domanda: il primo è quello dell’istruzione e della cultura, il secondo è quello, invece, del riconoscimento del talento mediante i concorsi.
L’istruzione, in realtà, non serve per scrivere canzoni; è molto più importante l’esperienza personale: se si vogliono scrivere delle belle canzoni bisogna parlare di cose che si sono vissute sulla propria pelle e che, non per forza, si collegano alla cultura bensì all’esperienza e all’emozione. E’ naturale che, piuttosto che la cultura, sia più importante una certa predisposizione caratteriale che rende una persona particolarmente emotiva molto più alla portata dell’arte musicale.
Riferendoci, invece, al valore della cultura musicale?
Se parliamo, invece, del secondo aspetto bisogna considerare che la musica è costituita di linguaggi propri (il linguaggio letterario per quanto riguarda le parole, quello musicale per quanto concerne la musica e quello tecnico per gli strumenti) e, dunque, per potersene occupare occorre conoscerli. Essere una persona preparata in più campi possibili non può che implementare e coltivare il talento naturale di predisposizione alla scrittura. Per quanto riguarda i concorsi ho capito, negli anni, che un premio è una grandissima gratificazione ma che, da solo, non porta un grande valore aggiunto: egoisticamente, a volte, ci si dimentica che lo stesso premio è stato vinto da qualcun altro prima di te e sarà vinto da qualcun altro ancora dopo di te. Il valore aggiunto, però, c’è nel momento in cui i premi diventano tanti andando a smentire le varie ipotesi che evocano alla fortuna o ad una qualche raccomandazione.
Uno dei miei maestri, Silvano Borgatta (ha lavorato recentemente con Andrea Bocelli e Phil Collins), quando è uscita “Il Dio delle piccole cose” mi ha detto: “Gae, una canzone veramente bella nella carriera di un autore può anche uscire, il problema è bissarla”. Io, da questo punto di vista, sono stato fortunato perché “Tabula rasa” è di un livello comparabile al mio primo vero successo conosciuto>>.
Allargando lo sguardo ad una panoramica più generale quello che viviamo è un momento storico in cui, musicalmente parlando, le parole hanno assunto via via sempre minor importanza per dare risalto, invece, alla melodia dai facili richiami. Quanto è difficile scrivere un testo davvero importante ad oggi se, quella che si definisce musica popolare, è andata incontro a questo progressivo svuotamento semantico?
<<Mi permetto di ribaltare la tua affermazione di 180° per dirti che, secondo il mio giudizio, questo è un momento in cui le parole stanno nuovamente prendendo piede e lo stanno facendo grazie al rap. I Club Dogo, Fabri Fibra, Marracash, Guè Pequeno piuttosto che Sfera Ebbasta è vero che realizzano una musica folcloristica, nel senso che disegna dei mondi caratteristici (le auto, le collane d’oro, i soldi, i viaggi, le ragazze facili) che si ispirano ai rapper americani, ma hanno anche permesso di restituire alle parole un valore incredibile. Ci sono, all’interno dei loro repertori, dei grandi pezzi dove la vera forza deriva tutta dal testo piuttosto che dalla musica.
Nel mondo del pop, posso darti ragione nel dire che talvolta assistiamo a dei testi tecnicamente imperfetti o poveri semanticamente, ma questo va a vantaggio di quegli autori capaci di realizzare una canzone come si deve. Il mio “problema” è costituito soprattutto, invece, da quei colleghi capaci di dire cose interessanti facendolo tecnicamente bene: per esempio, Fabio Ilacqua, l’autore di “Occidenatli’s karma” di Francesco Gabbani, è molto bravo e riesce a inserire nei suoi pezzi dei contenuti interessanti. Per dire, facendo riferimento all’ultimo Festival, anche “Vietato morire” di Ermal Meta era un brano fondato su una bella idea autorale come anche “Il diario degli errori” di Michele Bravi, scritto nel testo da Cheope Mogol Rapetti, piuttosto di “Che sia benedetta” di Fiorella Mannoia che contiene delle belle immagini letterarie formulate da Amara>>.
Spesso si pensa che una canzone dal grande testo debba essere per forza impegnata socialmente: c’è, forse, un pregiudizio non dichiarato che quando un brano parla d’amore allora non possa rappresentare un adeguato valore letterario. E’ davvero così, a tuo modo di vedere, oppure esistono grandi canzoni con grandi testi che parlano anche solo semplicemente d’amore?
<<No, non credo. “La cura” di Franco Battiato è un brano bellissimo che è arrivato al pubblico con un testo semplicissimo basato su di una frase straordinaria (“io mi prenderò cura di te”) capace di creare empatia con chiunque perché tutti, nel corso della vita, vorremmo che qualcuno ci dicesse. Quello è un pezzo straordinario che non ha bisogno di paroloni e grandi concetti per essere una pietra miliare della musica italiano dotata di un testo dai notevoli contenuti letterari. E’ anche vero, però, che gli interpreti e gli autori che sanno trasmettere ciò che creano, ad un certo punto della propria vita, possono scegliere di veicolare dei messaggi di un certo spessore. Un esempio di questo percorso è quello di Jovanotti: lui è partito come dj prima che Cecchetto lo portasse in televisione, dove comunque era apparso come il classico “giullare” di turno. Dopo qualche tempo ha scelto di non cantare più soltanto della propria moto ma anche di cose di altro spessore regalando al pubblico dei brani con testi di grandissimo livello pur nella loro semplicità>>.
E’, dunque, quasi un dovere, per un artista, comunicare al proprio pubblico un messaggio profondo e personale?
<<Si, in qualche modo si. Gli artisti hanno dalla loro una “fetta di anime” da cui ricevono una sorta di ammirazione che è giusto ripagare anche con profondità>>.
Nel corso del tuo percorso artistico hai avuto modo di collaborare con il grande maestro Maurizio Fabrizio, uno dei più grandi autori di sempre della nostra musica. Che cosa hai imparato dalla sua esperienza maturata affianco ad uno dei più grandi autori del nostro Paese? C’è un qualcosa che ti ha insegnato anche involontariamente?
<<Io ammiro Maurizio Fabrizio da sempre perché uno dei miei maestri, Roberto Puleo, è stato suo co-chitarrista nella formazione di Angelo Branduardi ed io sono cresciuto con tutta una serie di aneddoti che mi venivano raccontati sulla genialità del maestro Maurizio Fabrizio. Quando l’ho conosciuto in prima persona ho apprezzato, come molto, molto la sua scrittura ma soprattutto la sua persona: una volta gli chiesi un autografo e lui me lo rifiutò dicendomi che non aveva l’abitudine di firmare autografi ai colleghi che riteneva bravi. Questa cosa mi ha fatto davvero impressione commuovendomi>>.
Negli ultimi tre anni hai scritto per il trio di Fabi-Silvestri-Gazzè (“Il Dio delle piccole cose”) e per Ilaria Porceddu (“Tabula rasa”) anche se so che stai collaborando con Cleò, una giovane realtà molto promettente: non sembra, comunque, che tu scriva così frequentemente. Il motivo reale è una tua predisposizione al perfezionismo o ci sono altri motivi?
<<Come tutti gli autori io scrivo tutti i giorni e nel mio percorso ho scritto decine e decine di canzoni, comprese alcune con Maurizio Fabrizio e con altri grandissimi autori. Il “problema” degli autori è che se le canzoni che si scrivono non vengono pubblicate nei dischi allora non esistono: basta prendere ad esempio “I migliori anni della nostra vita” o “Almeno tu nell’universo” che girarono nel mondo discografico per anni senza che nessuno scegliesse di cantarle prima che arrivassero Renato Zero e Mia Martini tirando fuori quelli che erano già dei capolavori.
Quando si scrive lo si fa o perché ti arriva una richiesta da parte di un artista oppure lo si fa pensando a qualcuno in particolare che, ascoltandolo, ha generato delle emozioni dentro. Oramai mi posso permettere di emozionarmi soltanto quando voglio, con la musica che mi piace, essenzialmente perché non devo più dimostrare niente a nessuno. Negli ultimi tempi ho conosciuto Cleò e ho iniziato a scrivere per questa voce, capace di spaziare dai registri maschili a quelli femminili senza problemi, essenzialmente perché non assomiglia a niente ed è una voce che è stata capace di incuriosirmi>>.
Che cosa o chi ti ha emozionato?
<<Negli ultimi tempi mi sono emozionato nel momento in cui ho sentito “Ti regalerò una rosa”, il brano con cui Cristicchi vinse il Festival nel 2006, cantata da Chiara dello Iacovo a The Voice dove si dimostrò davvero straordinaria. Altre cose che mi sono davvero piaciute sono la versione di “Giudizi universali” di Samuele Bersani realizzata da Selene Capitanucci ad X-Factor 9, per la quale lo stesso Bersani si è complimentato con lei, e una ragazza di nome Paola Cortese davvero bravissima. Mi viene in mente poi Maria Russel che da alcuni anni sta rivalutando i repertori popolari conquistando premi di grande valore anche a livello internazionale. Sono dei nomi che non sono dotati di così grande risonanza ma che potrebbero riservarci delle grandissime sorprese>>.
La veste dell’autore è diametralmente opposta, ma strettamente collegata ed interdipendente, con quella dell’interprete. In base a cosa scegli o sceglieresti la giusta voce a cui affidare una tua canzone. Di belle voci ce ne sono tante, che cosa fa la differenza davvero?
<<Ognuno scrive le canzoni immaginando una voce ma poi, ovviamente, si valutano le offerte che ci sono a disposizione. Io, personalmente, quando scrivo penso sempre a Fiorella Mannoia, che ho avuto modo di conoscere nel 2014, che è molto vicina al mio modo di comunicare. Quando vado a scrivere per una voce potente penso a Giorgia, la voce più bella che abbiamo attualmente in Italia, e mi piacerebbe davvero molto poterle affidare un mio brano. Gli altri miei riferimenti sono Renato Zero, dal punto di vista interpretativo, e Tosca, per l’ariosità vocale.
Per chi scrive, però, tutte le voci sono come degli strumenti musicali: in realtà non esiste la voce per eccellenza perché ogni canzone si adatta ad uno strumento come i brani adatti per pianoforte diversi da quelli adatti per violoncello o quelli per chitarra>>.
Parlando, invece, di autori: quali sono le penne che ammiri della nostra musica attuale?
<<Escludendo tutti i grandissimi cantautori che ancora ci rimangono (De Gregori, Fossati, Baglioni…) penso che ci siano anche altre realtà degne di nota tra cui sicuramente Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, il più grande autore italiano attualmente attivo, ma anche Matteo Buzzanca, Cesare Cremonini, Nicolò Agliardi e Roberto Pacco. Sono persone in grado di fare evolvere la musica italiana>>.
Recentemente si è parlato molto della diatriba tra autori e licenze SIAE che ha visto, in qualche modo, rompersi il monopolio dei diritti d’autore con l’ingresso nel panorama di Soundreff, una nuova realtà alternativa. Ma lasciando da parte le questioni tecniche, secondo te da cosa nasce questo sentimento di scontentezza da parte di alcuni autori? E’ ricollegabile in qualche modo alla sempre minor importanza che si da alla veste dell’autore di cui spesso si ignora persino l’identità oppure è solamente dipendente dalla convenienza economica?
<<Probabilmente a tutte e due le cose. Io sono iscritto da 32 alla SIAE che, quando ho iniziato a scrivere io, era la realtà per eccellenza che per l’accesso richiedeva addirittura degli esami che corrispondevano a dei livelli di preparazione tecnica. La SIAE sicuramente, da monopolio, detiene i difetti di chi non ha concorrenza, rispondendo alle classiche leggi del mercato, e il suo più grande difetto è la difficoltà nel seguire le pratiche di conteggio appesantite molto dalle pratiche burocratiche davvero colossali (è tutt’ora impossibile, infatti, depositare un brano in formato mp3 per esempio malgrado sia previsto dalla normativa). E’ una macchina mastodontica con una burocrazia che assomiglia, in molte cose, a quella statale, però, è anche vero che, nel mondo del professionismo, è ancora il punto di riferimento>>.
Ci sono le canzoni che in qualche modo hanno segnato la tua vita, non necessariamente scritti da te, o che associ tutt’ora a dei momenti particolari?
<<Ci sono delle canzoni che mi hanno fatto innamorare per tutta una serie di motivi e che, per un autore, sono quelle che si sarebbe voluto scrivere in prima persona. Se ne devo elencare qualcuna direi “I migliori della nostra vita” del già citato Maurizio Fabrizio (cantata poi da Renato Zero), “Avrai” e “Solo” di Claudio Baglioni, “La cura” di Franco Battiato di cui abbiamo parlato prima, “Sally” di Vasco Rossi ma anche cose diverse come “Ci vorrebbe il mare” di Marco Masini o “Il cielo d’Irlanda” di Massimo Bubola (cantato da Fiorella Mannoia) e “Mio fratello che guardi il mondo” di Ivano Fossati. Ovviamente a questi c’è da aggiungere la monumentale ed imperdibile produzione di De Andrè, Fossati e De Gregori>>.
Ci sono delle persone che, in qualche modo, dividono il loro percorso artistico con te e che senti di dover citare e ringraziare?
<<Si, ovviamente lavoro insieme ad un team di musicisti che ci tengo a citare perché mi aiutano molto nella realizzazione dei provini e delle pre-produzioni. C’è da dire, infatti, che più sono preparate le persone che ricevono il provino e più sono in grado di riconoscere una bella canzone anche se registrata con chitarra e telefonino: personalmente ho avuto la fortuna di scrivere anni fa per Mina e Massimiliano Pani, suo figlio e manager, aveva ricevuto un mio provino fatto davvero male che poi io, puntualmente, mi ero adoperato per rifare nuovamente in una forma più bella. Massimiliano mi rispose che Mina non aveva bisogno di una nuova produzione per capire se la canzone le piacesse o meno. Ovviamente la cosa si rivela proporzionalmente vera anche per le persone meno preparate musicalmente alle quali occorre ascoltare le canzoni già rivestite di una produzione che permetta di immaginare il risultato finale.
Nel mio team di produzione utilizzo Silvano Borgatta (Phil Collins e Ivano Fossati), Alessandro Orefice (Alessandra Amoroso e Levante) e Pasquale Morgante (Samuele Bersani e Pacifico) per i pianoforti. Max Mungari e Massimiliano Rosati (Fiorella Mannoia) per le chitarre e Aurelio Pitinio (Raphael Gualazzi) per i cori con le voci femminili di Elisa Porta, Barbara Palmitessa, Paola del Genio, Ylenia Albanese, Martina Benetti e le voci maschili di Kody Kipling e Marco Gemetto>>.
Ilario Luisetto
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