A tu per tu con il musicista, anima e guida del gruppo che ha da poco rilasciato “And the Stars above”
Reduci dal tour promozionale in Sol Levante, con una serie di concerti a Osaka, Kyoto e Tokyo, gli Armonite sono tornati a casa arricchiti da un’esperienza che, sicuramente, li porterà a comporre tanta nuova buona musica. Abbiamo incontrato per voi Paolo Fosso, tastierista e fondatore del collettivo, che ci ha raccontato il loro lungo percorso: dagli esordi all’ultimo disco “And the Stars above”.
Ciao Paolo, comincio col chiederti chi sono gli Armonite e come descriveresti il tuo progetto artistico
«Gli Armonite sono un collettivo di rock strumentale guidati da me in veste di compositore e tastierista. Suoniamo brani originali oltre a cover tratte dalle più famose colonne sonore di film e videogiochi riarrangiate in chiave rock».
“And the Stars above” è il vostro ultimo album pubblicato lo scorso maggio. Che tappa rappresenta per il tuo percorso?
«E’ un punto di arrivo e insieme di partenza, quindi forse possiamo dire che non esistono tappe. Per “And the Stars above” abbiamo firmato con l’etichetta Cleopatra Records di Los Angeles, molto attiva anche sul fronte cinematografico. I nostri brani sono perlopiù strumentali per cui ci piacerebbe poterci espandere anche in questo settore».
Quali innovazioni ha questo disco rispetto ai vostri precedenti lavori?
«Rispetto all’album precedente ho voluto allargare lo spettro del genere, ma sempre cercando di restituire unità e omogeneità compositiva ai brani, che per me devono restare immediati nonostante qualche ricercatezza timbrica o ritmica. Così, sono tornato ad attingere alle mie passioni: i film, i libri e i videogiochi, i viaggi e la filosofia, che costituiscono una fonte inesauribile di ispirazione. Quando compongo, penso sempre di accompagnare delle immagini».
C’è una veste precisa che avete voluto dare al singolo “Clouds collide”, sia a livello testuale che di sonorità?
«“Clouds Collide” rimanda a una ragazza che si perde nel tempo e nei ricordi, quando viveva nel paese di mare che l’ha cresciuta. Doveva essere una canzone orecchiabile, moderna, vellutata e arrangiata con eleganza. Speriamo di esserci riusciti!».
Siete reduci dall’esperienza in Sol Levante del vostro tour promozionale, che vi ha portato a partecipare al prestigioso Festival “Italia, amore mio”. Che esperienza ha rappresentato per voi?
«Un’esperienza entuasiasmante. Abbiamo suonato tre volte a Osaka e poi a Kyoto e Tokyo per un totale di cinque concerti. Era la prima volta che andavo in Giappone: l’ho trovato un Paese ricco di energia, con panorami mozzafiato e persone fantastiche, disponibili, con un gran senso del dovere. Una cultura radicata nella storia, ma costantemente rivolta al futuro. Ci tornerò di sicuro».
Data la vostra esperienza internazionale, vi siete fatti un’idea sul tipo di percezione che nutrono all’estero nei confronti della musica italiana?
«Tolta una manciata di brani, la musica italiana all’estero non esiste. Esiste un gruppo di melomani che ascoltano musica di qualità, indipendentemente dal paese di origine, e che conoscono diverse realtà italiane di nicchia».
Quanto conta per voi la dimensione live?
«Preferisco il lavoro in studio perché mi vedo più come compositore che come esecutore: mi entusiasma vedere come crescono i brani dall’inizio alla fine della produzione. Ma l’interpretazione dal vivo dà vita alla musica in modo così immediato e partecipativo che è sempre un piacere suonare in pubblico».
Nel vostro ultimo spettacolo avete scelto di interpretare come cover alcune storiche colonne sonore internazionali in chiave “violin rock”. Quali brani hai scelto e perché?
«Ho scelto le colonne sonore tratte dai film e dai videogiochi più famosi, dal Trono di Spade ai Pirati dei Caraibi, da Harry Potter all’Esorcista, Skyrim, Final Fantasy, Halo, Metal Gear Solid, The Witcher e molte altre. Penso che a breve ne arrangerò altre ancora».
Qual è l’insegnamento più importante che hai appreso dalla musica in questi anni di attività?
«Dalla musica ho imparato che costanza e discliplina pagano sempre. Ci vogliono anni, ma bisogna insistere anche quando resti da solo col cerino in mano».
Nico Donvito
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