A tu per tu con la band milanese, in uscita con il loro secondo progetto discografico “Vivi per sempre”
Reduci dal positivo riscontro di critica e di pubblico del primo album “Avete ragione tutti” del 2016, i Canova sono pronti a lanciare il secondo episodio di quella che sembra essere destinata a diventare un’interessante saga discografica. “Vivi per sempre” è il titolo scelto da gruppo milanese nato nel 2013 e composto dal cantante Matteo Mobrici, dal chitarrista Fabio Brando, dal bassista Federico Laidlaw e dal batterista Gabriele Prina. Nove gli inediti che compongono questo nuovo lavoro, anticipato dall’uscita dei singoli “Groupie“, “Domenicamara“ e “Goodbye goodbye“. In occasione di questa interessante pubblicazione, abbiamo raggiunto telefonicamente il frontman della band.
Ciao Matteo, partiamo da “Vivi per sempre”, che valore ha per voi questo nuovo album?
«Un valore abbastanza importante, dopo tanti anni di gavetta possiamo finalmente affermare che la musica è diventata per noi un mestiere. Non avremmo mai scommesso di poter arrivare ad incidere un secondo album, soprattutto in maniera così acclamata e reduci dal successo del primo. Siamo molto soddisfatti, ma anche stupiti».
Quali sono le tematiche predominanti e che tipo di sonorità avete scelto per esprimerle al meglio?
«Così come nel disco precedente, gli argomenti sono tratti dalla vita di tutti i giorni, di base raccontiamo i sentimenti, intesi nella loro più totale varietà. Per la scaletta finale abbiamo selezionato nove tracce, ma in realtà le canzoni erano molte di più, alla fine è come se si fossero scelte da sole perché stavano bene insieme. Ci tenevamo a realizzare un disco che non fosse un concept, bensì un insieme di pezzi variegati, a loro modo unici. Per quanto riguarda il sound siamo stati un po’ più attenti, c’è stato più tempo per poterci lavorare, poi con il produttore Matteo Cantaluppi abbiamo cercato di riprodurre il più possibile in studio quello che siamo dal vivo».
Quali sono le principali innovazioni rispetto al precedente album d’esordio?
«E’ sempre difficile fare dei parallelismi delle proprie creazioni, soprattutto per chi come me scrive le canzoni. “Avete ragione tutti” è la nostra fotografia di tre anni fa, mentre “Vivi per sempre” è un autoscatto un pochino più recente. Fare musica è un po’ come sfogliare un album di famiglia, all’interno dei pezzi ci vediamo la nostra vita, diventa difficile per noi guardarli dall’esterno, forse perché ogni brano ha una situazione ben dettagliata, delle facce, dei nomi e dei cognomi. Questo disco è semplicemente la prosecuzione del precedente, sullo sfondo ci sono sempre l’istinto e la verità».
Se dovessimo utilizzare un termine cinematografico, lo definiresti più un sequel o un film completamente diverso?
«Da un certo punto di vista, proprio per il discorso appena fatto, sono certo che tutti i dischi che faremo nel corso della nostra carriera saranno uno il sequel dell’altro, una sorta di saga temporale. E’ inevitabile, quando le canzoni sono figlie di un momento finiscono per far parte di un ricordo e di un determinato periodo della tua vita. Per altre ragioni prettamente musicali, invece, lo considero un film completamente diverso, perché ogni volta ci sono cose nuove da raccontare. Diciamo che a questa tua domanda si possono dare ben due risposte diverse».
Siete molto legati al concetto di tradizione, basti pensare al nome che vi siete scelti. Quanto è importante, secondo te, approfondire la conoscenza del nostro passato per poter comprendere al meglio il nostro presente?
«E’ fondamentale, si tratta di un discorso culturale, la storia si studia affinché non si possano ripetere gli errori passati, o almeno ci si prova. Musicalmente ci teniamo a proporre nei nostri brani tutto il bagaglio di ascolti che ci hanno formato, ispirato e portato a quelli che siamo oggi. Non possiamo nascondere che per noi sarebbe motivo di orgoglio riuscire ad incuriosire il pubblico più giovane, magari portandolo a scoprire opere di trenta o quarant’anni fa, perché alla fine le canzoni non sono altro che un passaggio di testimone».
Avendone la possibilità, rinasceresti in questa precisa epoca o c’è un particolare decennio che consideri più vicino al tuo modo di intendere la musica?
«Mi piacerebbe molto nascere nel futuro, perché non lo conosco e mi ritengo un grande curioso. Per quanto riguarda il passato, sarebbe interessante poter vivere appieno gli anni ’60-‘70, un ventennio che ha trasformato il mondo sotto qualsiasi punto di vista e per tutte le diverse forme d’arte. Noi siamo figli di quel cambiamento».
Tornando al presente o all’imminente futuro, cosa puoi anticiparci riguardo al vostro tour che partirà il 20 marzo dall’Alcatraz di Milano?
«Stiamo provando, la scaletta è quasi pronta, ci saranno sia le canzoni del nuovo disco che la maggior parte di quello vecchio. L’intento è mettere in piedi uno spettacolo completo, ci teniamo molto alla parte live, perché rappresenta il momento di maggior vicinanza con il pubblico. Partire dalla nostra città ci stimola, faremo del nostro meglio per offrire uno concerto degno e indimenticabile».
Per concludere, quale messaggio ti piacerebbe trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la vostra musica?
«Mi piacerebbe trasmettere un senso di aggregazione, perché ritengo che i sentimenti, belli o brutti che siano, riescano ad essere vissuti al meglio in compagnia. Questo è lo spirito che contraddistingue una band, ma che si può riportare tranquillamente nella vita di tutti i giorni, con i compagni di classe, colleghi di lavoro, amici del bar, eccetera eccetera. Sinceramente, credo che “Vivi per sempre” sia un disco che possa rappresentare qualcosa per qualcun altro, non solo per noi che l’abbiamo composto».
Nico Donvito
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