venerdì 22 Novembre 2024

ULTIMI ARTICOLI

SUGGERITI

Diodato: “In amore è sempre bello dirsi in faccia le cose come stanno” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore classe ’81, fuori con il singolo “Non ti amo più” che anticipa il nuovo album

Tra gli artisti dotati di sensibilità e di straordinario talento non possiamo non annoverare Antonio Diodato, uno dei più ispirati rappresentanti del nuovo cantautorato, che abbiamo avuto modo di apprezzare sul palco dell’Ariston di Sanremo sia nel 2014 con “Babilonia”, secondo classificato tra le Nuove Proposte, che nel 2018 insieme a Roy Paci tra i Big con “Adesso”. Dopo aver lanciato negli scorsi mesi Il commerciante, l’artista torna con il singolo “Non ti amo più” (qui la nostra recensione), che anticipa il suo quarto progetto discografico, la cui uscita è prevista il prossimo settembre.

Ciao Antonio, partiamo da “Non ti amo più”, che sapore ha per te questo brano?

«Beh, un sapore molto Beach Boys (ride, ndr), mi sono divertito tanto nell’arrangiamento, ho cercato di utilizzare la mia vocalità per armonizzare un brano che è nato in maniera molto semplice, piano e voce, poi è venuto naturale tutto il resto. Mi piaceva l’idea di donare un tocco di leggerezza ad un testo che dice delle cose abbastanza amare, è un gioco che faccio spesso nella mia musica, i contrasti mi interessano parecchio».

Sei uno dei pochi artisti che riescono ad utilizzare la voce come un vero e proprio strumento, senza urlare, senza farla venire fuori in maniera predominante rispetto agli altri. Come sei riuscito ad orchestrare la tua vocalità?

«Viene un po’ tutto dai live, dalla gavetta e dai tanti ascolti che mi hanno accompagnato nel corso degli anni. In un Paese in cui il cantante è  concepito come colui che deve far sentire a tutti i costi la sua voce per dimostrare di saper cantare, ho pensato di ragionare al contrario, di utilizzare la mia vocalità come uno strumento, un tramite per comunicare delle cose, modificandola a seconda di quello che sto esprimendo con le parole. Ho sempre cercato di far parlare la musica, gli arrangiamenti, di dare una certa importanza a tutto ciò che accompagnasse il testo e la melodia del cantato».

Per quanto riguarda le sonorità, cosa ti ha spinto a pescare dal passato e in particolare dagli anni ’60?

«Per questo brano è nato davvero tutto molto spontaneamente, giocando con le voci e i cori. Sono sonorità che fanno parte dei miei ascolti, in più ho capito che quando mi diverto sto seguendo la strada giusta, questo credo che sia un aspetto importantissimo quando si fa musica, paradossalmente anche affrontando un argomento delicato come questo».

Per la prima volta in una canzone hai utilizzato la parola “ti amo”, ma per esprimere esattamente il concetto opposto. Quali aspetti hai voluto indagare di preciso per quanto riguarda le dinamiche di un rapporto di coppia?

«Non ho voluto parlare soltanto dell’epilogo e della fine di una storia, bensì di tutti quegli equilibri e di quei piccoli scontri che ci sono all’interno della vita di coppia, dalla sopportazione di alcuni aspetti del proprio partner fino alle abitudini più comuni. In questi giorni sto raccogliendo un sacco di indicazioni da parte di amici e fan che mi scrivono per raccontarmi le loro esperienze, ritrovandosi nel brano che in realtà non parla di un rapporto finito, perché la storia alla fine resta in sospeso. Insomma, potrei scrivere un manuale (sorride, ndr), scherzi a parte mi fa molto piacere che la gente abbia colto lo spirito del brano e stia giocando con me, perché alla fine è sempre bello dirsi in faccia le cose come stanno, nel bene e nel male».

Infatti dal pezzo traspare molta onestà sentimentale, che a volte passa in secondo piano rispetto a quella intellettuale, altrettanto importante. Personalmente sei arrivato ad una qualche conclusione? Come si fa ad accettare questo dentifricio senza il tappo? 

«Sicuramente è sempre bene parlarsi, poi io non sono di certo un guru o il dottor Stranamore (ride, ndr), anzi ho ancora sicuramente tanto da imparare di mio. Di sicuro oggi è diventato ancora più difficile accettare di fare dei sacrifici all’interno di una coppia, probabilmente perché siamo bombardati da tantissime informazioni che ci fanno pensare che la vita sia facile. Lo stare insieme è un lavoro quotidiano che va curato nei minimi dettagli, proprio come se fosse una piantina, bisogna annaffiarla correttamente ed esporla al sole negli orari giusti. Ci vuole rispetto reciproco, l’amore è una delle cose più complesse perché l’abitudine ti porta a sottovalutare certe cose e darne per scontate altre, proprio per questo motivo mi piace indagarlo e analizzarlo in musica, perché è un sentimento che offre veramente tantissime sfaccettature».

Cosa aggiungono in più le immagini del videoclip diretto da Priscilla Santinelli?

«Credo reggano bene il gioco che c’è dietro questo brano, sottolineando che si tratta di una vera e propria canzone d’amore grazie al finale a sorpresa con questa orgia che scoppia tra i protagonisti, un messaggio positivo di amore puro e universale, perché parliamo di un sentimento davvero complicato, che tiene conto di tanti fattori che vengono dettati da ciò che ci circonda, dalle considerazioni personali alle restrizioni sociali. Ci siamo divertiti tanto a girare questo video, in particolare quella scena (ride, ndr), secondo me veramente molto bella, che non ha nulla di volgare o di gratuito, sono veramente contento del risultato».

Che ruolo gioca la musica nella tua vita?

«E’ sicuramente un elemento che plasma la mia vita di tutti i giorni, soprattutto adesso, cerco di viverla con molta leggerezza, senza cercare di prendermi troppo sul serio. Personalmente credo che sia una grande opportunità, per condurre un’esistenza diversa da quella che avrei potuto vivere facendo altri lavori, per permettermi di crescere umanamente e scoprire aspetti di me che probabilmente sarebbero rimasti celati. Utilizzo la musica un po’ come psicanalisi personale, un modo per migliorarmi giorno per giorno».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

«Il fatto che ogni volta sia una grande incognita, ci sono dei momenti in cui sento l’esigenza di scrivere, che si tratta dell’attimo giusto per provare a mettere giù qualcosa. Mi affascina trovare delle nuove storie da raccontare, anche diverse tra loro, proprio come accaduto negli ultimi due singoli “Il commerciante” e “Non ti amo più”. E’ molto bello poter pensare che qualsiasi cosa accada nella tua vita, qualsiasi cosa tu stia facendo, possano scaturire una serie di immagini che, una volta fermate, diventano l’ispirazione per scrivere qualcosa di bello. Questo lo considero un grande privilegio».

Qual è il Diodato-pensiero sull’attuale scenario discografico?

«Molto positivo, ci sono a mio avviso cose molto interessanti, altre meno per una questione di gusto personale. Sono certo che numerose canzoni che oggi ascoltiamo hanno la possibilità di restare nel tempo, credo che sia un buon momento per la musica italiana, ovviamente ci sono tante cose che spariranno perché stanno sfruttando una moda del momento. Secondo me, stiamo vivendo un periodo molto fertile, soprattutto per quanto concerne la nuova figura del cantautore, ci sono diversi artisti che si rifanno tantissimo al passato per le proprie produzioni, attingendo dagli anni 60’, ’70, ’80 e ’90, il tutto con un linguaggio moderno e attuale, fortemente influenzato dalla scena rap, un mix che trovo davvero molto interessante».

A settembre uscirà il tuo nuovo album, cosa dobbiamo aspettarci a riguardo?

«Come al solito, sono stato abbastanza libero nella scrittura, i primi due brani già editi mostrano alcuni dei mondi presenti all’interno di questo nuovo album. Attraverso la mia musica ho sempre cercato di non pormi limiti, senza restare per forza all’interno di un genere ben preciso, anche perché ho avuto degli esempi artistici importanti con cui sono cresciuto, a partire già dai Beatles, basta ascoltare il loro “White album” per rendersi conto che dentro c’è davvero di tutto. La versatilità credo che sia uno degli aspetti più importanti per chi fa musica, che magari non ti facilita nell’immediato il compito, perché chi ti ascolta può rimanere spiazzato, ma cerco di metterci quello che provo e la vita non è sempre tutta uguale, a seconda delle circostanze viviamo tantissime situazioni e mi sembra giusto cercare di raccontarle nelle mie canzoni, senza avere paura di cadere nell’essere cinico, nell’essere romantico, nell’essere patetico, mi piace mostrare tutti questi aspetti. Sarà un album che racconta un po’ la mia visione della vita, una panoramica a 360 gradi sul mio mondo».

Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica in questi anni di attività?

«La lezione è che non c’è solo una lezione (ride, ndr), ogni volta si impara qualcosa e non si smette mai di acquisire cose nuove. Si tratta di un cammino molto lungo, almeno per quanto riguarda quello che ho scelto di fare io, il mio modo di approcciarmi alla musica, è sicuramente una visione più da maratoneta che da centometrista. So bene che i tempi sono lunghi, che bisogna fare un passo alla volta, proprio perché ho voglia di far durare questa cosa bellissima che mi è successa per tutta la vita, mi piacerebbe invecchiare suonando la chitarra in giro per i teatri. Questo è l’obiettivo, la musica mi ha insegnato a non aver paura di rimanere indietro, a lasciarmi andare e farmi guidare dalle visioni o dalle sensazioni che mi circondano».

The following two tabs change content below.

Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.