venerdì 22 Novembre 2024

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Kumalibre: “La musica è una terapia, su di me ha funzionato” – INTERVISTA

A tu per tu con il rapper sardo, ospite dell’ultimo Festival di Sanremo al fianco di Paolo Palumbo

Insieme al monologo di Rula Jebreal e l’intervento musicale di Antonio Maggio e Jessica Notaro, quello di “Io sono Paolo” è stato uno dei momenti più belli di Sanremo 2020. Protagonisti Paolo Palumbo e Cristian Pintus, in arte Kumalibre, rapper sardo co-autore del brano che ha toccato l’animo di moltissimi telespettatori del Festival. A poche settimane dal lancio del singolo, disponibile in rotazione radiofonica dallo scorso 18 febbraio, abbiamo incontrato l’artista per approfondire la sua conoscenza.

Ciao Cristian, benvenuto. Comincerei col farti i complimenti, penso di parlare a nome di molte persone che si sono emozionate e commosse guardando la vostra partecipazione a Sanremo. Come hai conosciuto Paolo e com’è nata la vostra canzone?

«Ho conosciuto Paolo grazie ad un brano che ho scritto dal titolo “Un motivo in più” dedicato a mio padre, venuto a mancare 6 anni fa a causa di una malattia neurodegenerativa. Raccontavo le nostre giornate difficili, la nostra sofferenza, la speranza di trovare una cura. Paolo rimase colpito perché quel dolore lo viveva sulla sua pelle. Ci siamo visti per la prima volta a casa sua quando passai a trovarlo, non vedevo l’ora di conoscerlo.

Si respirava un profumo speciale, il profumo dell’amore, una famiglia bella forte e unità. Da subito c’è stata un’intesa incredibile, mi disse: “scrivi x me?” e io risposi: “non so se ne sono capace”. Rientrai a casa e stesi la prima strofa, come se l’avessi già nel cuore da una parte pronta per lui. Gli inviai il brano, lui entusiasta si mise a scrivere la sua parte. La sofferenza ci ha unito, abbiamo raccontato la sua storia nel modo più semplice e pulito, senza mai cadere nel vittimismo».

Hai avvertito il peso della responsabilità di un tema così emotivamente importante?

«Si, certo. Ho sentito il peso della responsabilità, temevo di non essere all’altezza… ».

Sanremo è il contenitore più importante per veicolare al grande pubblico un messaggio di questo calibro, come avete vissuto tu e Paolo questa esperienza?

«E’ stato incredibile, non so spiegarvi il mio stato d’animo di quei giorni. a partire dai preparativi.. fino ad esibirci sul palco. Paolo era piu’ tranquillo di me, mi ha dato tanta forza… mi diceva “stai tranquillo Cri, andrà tutto bene”, forse percepiva la mia tensione che non riuscivo assolutamente a nascondere… ». 

In un mondo sempre più veloce, dove tutto scorre in maniera frenetica, secondo te la musica ha ancora il potere di smuovere coscienze e di sensibilizzare il pubblico?

«Il brano “Io sono Paolo” è la prova che la musica ha il potere di smuovere coscienze e sensibilizzare le persone, perché ti porta a riflettere sui veri valori della vita e quanto si è fortunati. Spesso ci preoccupiamo piu’ di un abito firmato o di un occhiale figo invece di curare la propria salute».

https://www.youtube.com/watch?v=5h-Yl3guoe0

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per l’hip hop?

«Mi avvicino al mondo dell’hip hop nel lontano 1997, un anno dopo l’uscita del disco “Wessisla” dei Sa Razza, per chi non li conoscesse sono un gruppo Rap/HipHop storico della mia isola sarda. Quel disco mi cambiò la vita anche io volevo esprimermi in quella maniera… sono passati 21 anni ed ancora oggi li ringrazio. Ruido & Quilo respect for life ».

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?

«I già citati Sa Razza, ma anche: La Fossa, Otr, Cor Veleno, Colle der Fomento, Sangue Misto, Area Cronica, Pmc e quasi tutte le realtà che esistevano negli anni ’90. Mi sento un po’ il frutto della “Golden Age”».

A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?

«Mi battezzarono Kuma da ragazzino, forse perché il mio carattere un po’ brusco, un po’ ”orso” (sorride, ndr), ricordava il personaggio di Tekken 3. Qualche anno dopo decisi di evolvere il nome d’arte in Kumalibre, perché mi sento libero, è un po’ la mia mentalità».

“Un motivo in più” è il pezzo che hai dedicato a tuo padre, quello che vi ha permesso di conoscervi con Paolo. Anche questa storia ci insegna che di motivi per andare avanti ce ne sono tanti, ma tu cosa senti di consigliare alle persone che in questo momento ci leggono e stanno affrontando un momento difficile?

«Tutti nella vita abbiamo dei momenti difficili, bisogna farsi forza e cercare di trovare il buono anche nelle cose meno piacevoli…».

Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica?

«La musica è come un libro dove dentro trovi tutte le soluzioni possibili, ho preso spesso dei consigli per andare avanti nei miei momenti bui. La musica da sempre è stata la mia cura, un antidepressivo che mi ha reso vivo debellando la paura, la consiglio proprio come terapia… su di me ha funzionato».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.