A tu per tu con il cantautore barese in uscita con il disco “Terranova“, l’inizio di un nuovo percorso
Tempo di nuova musica per Giovanni Sada, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Giò Sada e per aver vinto la decima edizione italiana di X Factor. A cinque anni di distanza dalla sua fortunata partecipazione al talent show targato Sky, l’artista torna con un nuovo progetto discografico intitolato “Terranova” (in uscita il 28 febbraio per Kallax Records e distribuito da Artist First) e, soprattutto, con un nuovo pseudonimo: Gulliver. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Giovanni, benvenuto. Parto col chiederti: come nasce il tuo nuovo alter ego e come si è evoluto nel tempo questo progetto “Terranova”?
«Comincio dal principio, da come è nato Gulliver, tutto è successo in maniera molto naturale, ad un certo punto del mio percorso sono arrivato alla conclusione di dovermi distaccare dal mio passato, perché avevo bisogno di dare spazio ad altro, a qualcosa che covavo dentro di me già da qualche anno. In realtà non si tratta di un progetto solista, bensì di una band, o per meglio dire un duo, perché al momento siamo io e Marco Fischetti, che suona con me si è occupato di tutta la produzione.
“Terranova” è un disco molto personale, attraverso queste canzoni mi sono fatto parecchie domande, ho iniziato a pensare in maniera diversa, è cambiata la mia ambizione, col tempo ho maturato un nuovo dialogo con me stesso, per cui la mia musica necessitava di avere un nuovo nome e una nuova aspirazione. Con questo disco spero di essere riuscito ad arrivare io per primo in questa terra nuova, in qualche modo di limare tutti quegli aspetti che trovo ancora vicini allo schema culturale che negli anni si è radicato dentro di me, un viaggio interiore che credo appartenga a tante altre persone».
Prendendo spunto dal tuo nuovo nome d’arte, a che punto del viaggio ti senti?
«Guarda, sicuramente mi sento ancora all’inizio, mi sento a Lilliput se vogliamo prendere come esempio lo stesso romanzo di Jonathan Swift. Mi sento alla prima tappa del viaggio dopo un naufragio, infatti se avessi potuto dare un sottotitolo al disco sarebbe stato “Elogio del naufragio”, proprio perché mi piace la totale imprevedibilità che si cela dietro questa parola, il dover ricorrere all’istinto in una condizione senza schemi. Il naufragio ti mette di fronte ad una prospettiva completamente diversa, per cui occorre spirito di adattamento e capacità di rimettersi in gioco».
In un’epoca così confusa, in cui ci sentiamo tutti un po’ naufraghi, che tipo di argomenti hai scelto di trattare e che sonorità hai voluto abbracciare?
«Questo disco ha avuto tante vite, abbiamo avuto il tempo necessario per rivestire più volte ogni singola canzone, conservando quello che ha sempre fatto parte di me, vale a dire il suono acustico della chitarra che abbiamo cercato di contaminare con l’elettronica. Per rendere tutto più suggestivo, ho voluto inserire all’interno dell’album dei momenti strumentali, che un po’ ricordano le sonorità tipiche delle colonne sonore, perché volevo riuscire a stimolare un po’ l’immaginazione dell’ascoltatore. Per quanto riguarda gli argomenti trattati, invece, possiamo riassumerli in poche parole perché la narrazione ruota attorno all’accettarsi, al conoscersi, all’approfondire il rapporto con se stessi, solidificando quello con chi ci sta vicino, cercando la comprensione e non lo scontro.
Il tutto può essere adattato a qualsiasi tipo di rapporto o di relazione, oppure generalizzandolo all’intera società, perché quello che credo sia necessario fare oggi è evitare di diventare una generazione priva di memoria per la storia, smettendo di essere soggetti di un dogma che non riusciamo a scardinare, perché viviamo tutti una sorta di disagio che non sappiamo spiegare e comprendere fino in fondo. Siamo costantemente iniettati di paranoie e ansie che si ripropongano proprio come il Coronavirus, attraverso i social e i mezzi che non conosciamo così approfonditamente».
“Figli” è il titolo del singolo che ha anticipato questo nuovo lavoro, un brano che affronta un argomento affascinante, cosa ti ha ispirato questo tipo di riflessioni?
«In realtà tante cose, a partire dall’approfondimento della nostra conoscenza, dopo aver affrontato più volte il discorso dell’origine dell’essere umano con amici e parenti, in primis mia madre che è una grande appassionata di questi temi, ma anche con mio padre che da bambino ha avuto un’esperienza premorte, la sua testimonianza e quelle di altri mi hanno fatto riflettere molto su questo argomento. Ho fatto tante ricerche, approfondendo le diverse teorie che accompagnano questi temi che reputo molto affascinanti e misteriosi».
Assodato il tuo pensiero riguardo l’esistenza di altre forme di vita nel resto dell’universo, ti chiedo: c’è vita oggi nella musica italiana?
«Sicuramente sì, c’è vita, nonostante molti si sentano afflitti, provati dalla mancanza di spazi. E’ ovvio che tra il pubblico c’è una stragrande maggioranza di persone che ascolta ciò che gli viene propinato, perché magari la musica ricopre per loro un ruolo marginale, è giusto e sacrosanto che sia così. A tal proposito ricordo di aver visto un’intervista di Francesco De Gregori, in cui dice che, secondo lui, Sanremo non è la vetrina nazionale in cui viene esposto tutto il meglio della musica italiana e questo potrebbe essere vero. Che ci sia bisogno di una rottura? Può anche darsi, non lo so, perché poi dipende dal pubblico che, in quest’epoca precisa, è davvero sovrano. Oggi come oggi si conoscono i gusti delle persone, prendendo in esame i numeri sui social, si vede cosa funziona e si punta su quello, un po’ come è stato proposto a me in precedenza. Credo ci sia bisogno di scelte importanti, perché è ovvio che ci sono delle cose che non vanno, è sicuramente un argomento difficile e complesso da trattare».
Sono trascorsi cinque anni dalla tua vittoria di X Factor, come descriveresti questo lustro? Cosa hai vissuto questi ultimi anni?
«Come ti dicevo, ho cominciato un vero e proprio dialogo interiore con me stesso. Nei primi tre anni, in realtà, non sono riuscito a fare niente per via dei mille impegni, diciamo che il tempo è volato, ho vissuto un po’ in balia di quello che accadeva, c’erano troppe cose da gestire e rapporti da tenere sotto controllo, in primis un colloquio non facile con la major, semplicemente perché avevamo due prospettive completamente diverse. Il punto è che la mia partecipazione ad X Factor era stata pensata con il mio manager come un tentativo, una prova, mai ci saremmo immaginati la vittoria, per cui è stato complicato perché mi sono ritrovato in mano un contratto discografico da rispettare, cosa che non avevamo assolutamente previsto.
Ci siamo dovuti muovere di conseguenza, diciamo che la nostra “presunzione” è stata quella di credere che fosse possibile portare dalla nostra parte l’etichetta, di riuscire a convincere la Sony che quello che avevamo in mente di fare era la strada giusta, o almeno quella più vicina al mio modo di essere e di intendere la musica. Ciò che è uscito è sicuramente un qualcosa di limato, un compromesso rispetto a quello che avevamo in mente di fare, ci sono state delle prese di posizione importanti che ci hanno portato alla rottura, abbiamo divorziato in maniera serena, c’era la volontà da parte di entrambi di chiudere il rapporto. Di conseguenza ho avvertito il bisogno di liberarmi di quanto accaduto, anche perché la percezione all’esterno rischia di essere diversa dalla realtà, spiegare costantemente le stesse cose non è il massimo, però devo ammettere di non avere nessun rimpianto».
Per concludere, secondo te, Gulliver ci sarebbe stato senza Giò Sada?
«No, ho riflettuto tanto su questa cosa ed è uno dei motivi per i quali non rimpiango nulla, alla fine sono contento di come è andata, rifarei tutto perché mi è servito, sono grato per la possibilità che mi è stata data e che tuttora mi sta portando ad affrontare questo nuovo progetto. Senza la precedente esperienza non avrei mai potuto concepire l’idea dell’elogio al naufragio, perché non mi sarei mai trovato in quella situazione così imprevedibile, che mi ha sicuramente sconvolto ma mi ha permesso di imparare e vedere le cose in modo differente. Tutto questo mi ha fatto capire tante cose e mi ha ridimensionato, ci sono una serie di conseguenze positive che potrei elencarti, ho capito che, artisticamente parlando, a volte è bello capovolgere la frittata, scoprire nuovi modi per dire le cose e non restare ancorati ai soliti concetti. Auguro un po’ a tutti di affrontare la propria tempesta e l’eventuale naufragio in questo modo, senza lasciarsi scalfire, traendo il buono da quanto accaduto».
Nico Donvito
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