A tu per tu con il cantautore comasco, in uscita con il singolo “Lombardia” dedicato alla sua terra
Un omaggio sentito e profondo, questo e molto altro ancora è “Lombardia”, il nuovo singolo di Marco Ferradini contenuto all’interno del suo ultimo disco “L’uva e il vino”, pubblicato lo scorso novembre (qui la nostra precedente intervista). Una dedica nei confronti della propria terra, del luogo in cui è cresciuto e che si ritrova oggi a lottare contro un mostro invisibile e spietato, questo Covid-19 che sta influenzando le nostre vite, mutando la nostra quotidianità, ma la primavera cantata in questa bella canzone, seppur in ritardo, è decisamente destinata ad arrivare.
Ciao Marco, bentrovato. Partiamo da “Lombardia“, cosa rappresenta per te questo brano e quanto è reputi importante farlo uscire proprio in questo momento?
«Il brano non è stato scritto per questo momento, per me è uno stato d’animo, una dichiarazione intima e spontanea nei confronti della mia terra. Per me la Lombardia ha significato le valli, i boschi, le montagne, le pianure, Milano. Io ho sempre vissuto qui sostanzialmente, quindi mi sembrava giusto dedicarle questa canzone, una canzone d’amore, anziché scriverla per una donna ho scelto di dedicarla alla mia terra. E’ uscita adesso, casualmente, mi è venuto naturale farla uscire in questo momento e in questa quarantena».
Hai definito la Lombardia uno stato d’animo, però è anche vero che la Lombardia in questo momento è ferita. E’ ferita dal punto di vista sanitario, è ferita dal punto di vista politico, ma questa è una terra forte. Come credi ne usciremo emotivamente da tutto questo, noi lombardi e lombardi adottivi?
«Sai, qui c’è una frenesia di fondo che è molto caratteristica. Andy Warhol diceva che l’uomo corre perché ha paura di morire, probabilmente noi lombardi abbiamo interiorizzato questa sensazione. Darsi da fare è nel nostro DNA, un aspetto sicuramente positivo perché ti porta ad essere molto attivo, a realizzare cose in minor tempo rispetto ad altri, ma c’è anche il risvolto negativo della medaglia perché la Lombardia è una regione massacrata dal cemento, perché qui si continua a costruire. Nel mio piccolo, combatto in qualche modo per far sì che la bellezza venga risparmiata. Penso che ci risolleveremo sicuramente e spero che, una volta finito tutto, ci sia una coscienza diversa, perché non si può vivere di solo lavoro».
A proposito di bellezza, secondo te, che ruolo possono giocare la musica e l’arte in generale in questa delicata situazione?
«Beh, tutta l’arte è bellezza, è il gradino tra noi e il cielo, grazie all’arte ci alziamo, automaticamente lievitiamo, diventiamo quello che nella vita normale non riusciamo ad essere, raggiungiamo uno stadio di consapevolezza più alto. Personalmente quando canto o suoi provo un senso di completezza che altre cose non mi danno, l’arte è questo: la ricerca della bellezza, una specie di virus che contagia positivamente tutte le persone che hai intorno. Dalla bruttezza nasce la guerra, dalla bellezza nasce l’amore».
Dal punto di vista musicale, forse, eravamo arrivati ad un livello di attenzione ai minimi storici, tutto andava così veloce che non c’era nemmeno il tempo di mettersi lì ad apprezzare un disco. Pensi che tutto questo scossone emotivo possa aiutare da una parte gli artisti a tirar fuori contenuti e dall’altra parte il pubblico a tornare a sviluppare una maggiore capacità di ascolto?
«Le due cose sono assolutamente collegate, se da una parte non c’è attenzione non ti viene voglia nemmeno di rivolgerti al pubblico, quindi decade la domanda e decade la proposta. Trovo che sia proprio come hai detto, eravamo arrivati ad un livello di proposte musicali non basate sulla sostanza o su qualcosa di concreto, ma solamente sulla voglia di apparire. Penso che questo stare chiusi in casa ci porterà magari ad aprire un libro, ad accorgerci che non c’è solo la vita materiale, ad avere un po’ più di tempo da dedicare all’arte, in modo da accorgerci che la bellezza è sempre lì a portata di mano, riposta in un angolo, basta spolverarla un attimo e ti da la sua mano, il suo sorriso».
Per concludere, tornando al tuo ultimo singolo, c’è una frase che sintetizza e rappresenta al meglio il significato del brano?
«Quella sulle ragazze e sull’interiorità della bellezza, in certe zone d’Italia le donne sono anche più appariscenti, a portata d’occhio, mentre le milanesi d’un tempo, quelle che frequentavo da ragazzo io, non mostravano niente. Era una bellezza a fasi, le guardavi una volta e dicevi “mah”, alla seconda esclamavi “però” e alla terza eri innamorato perso. Questo percepire la femminilità per centimetri, per gradi, è qualcosa che ti conquista e ti penetra nel profondo».
Nico Donvito
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