A tu per tu con la giovane artista pugliese classe ’92, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Loca“
Tempo di nuova musica per Comagatte, all’anagrafe Serena Maria S., disponibile in rotazione radiofonica dallo scorso 3 luglio con il singolo “Loca”, che arriva a due anni di distanza dall’album “Serena Variabile”. L’abbiamo incontrata per approfondire la sua conoscenza.
Ciao Serena, benvenuta. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Loca”, cosa racconta?
«”Loca” racconta del modo in cui mi pongo dinanzi alle situazioni scomode o con persone che vogliono farmi del male. Mi ricordo ad ogni “loca”, di quanto la mia ribellione sia servita per avere il coraggio di affrontare tutto ciò che potrebbe fare paura: i cambiamenti, con l’impulsività, prendendo una giusta posizione per camminare a testa alta; i mostri, mia nonna chiamava così la gente invidiosa; le ingiustizie, molte volte mi succede di essere protagonista di aneddoti pazzeschi… Ho detto protagonista, non vittima (sorride, ndr)»
Quanto contano la follia e l’autoironia nella tua musica?
«Se fai arte in Italia sei folle, io oltre ad essere una rapper, sono una donna autoironica. L’autoironia è il tipo di umorismo più seducente, io infatti scherzo sui miei chili in più, dissando me stessa, per far capire alle ragazze che puntare ad un fisico magro come obiettivo non è simbolo di benessere. Ovviamente sono folle, mi hanno accusata di aver fatto body shaming. La follia e l’autoironia vanno di pari passo e contano molto per me. Non sempre vengo capita, ma io sono così e non cambierò mai modo di pormi».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il significato dell’intera canzone?
«”Accetta il peggio di me e ti dò il meglio”. La prima persona che ha calmato i miei impulsi è stata mia madre, accettando il fatto che avessi problemi con la violenza fisica e verbale, sfogata sugli alunni che mi bullizzavano o su oggetti quando mi arrabbiavo. La calma, l’accogliermi senza rimproverarmi, educandomi quasi sottovoce e facendomi promettere di “non farlo mai più” è stato l’imprinting per una bimba che viveva nello specchio dell’autismo. Infatti più pretendi da me, meno avrai, accettami ed io sarò ragionevole».
Dal punto di vista musicale, come siete arrivati a questo tipo di sound?
«Sono cresciuta in una famiglia venezuelana, mi segunda mama se lliama Rosalia. Mia madre mi lasciava da lei per andare a lavorare. Le mie influenze oltre al funk di mio padre, l’elettronica di mia sorella, sono infatti state latino americane/caraibiche. Frequento molto i club latini, anche perché l’attitudine che si ritrova lì è simile a quella di noi “terroni”. Ho scoperto poi il dembow e mi si è aperto un mondo nuovo. Quindi ho unito tutto. Alessandro Manzo, in arte sedd, mi ha capita al volo (secondo me anche perché siamo coetanei ed abbiamo vissuto le stesse epoche) ed ha creato subito un beat esplosivo. Sono l’unica artista italiana ad unire l’elettronica con il dembow».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Sono figlia d’arte, in casa mio padre suonava e si ascoltava molta musica. Poi lui è andato via all’improvviso a comprare le sigarette (ride, ndr). Io ho colmato questo vuoto inconsapevolmente creando, ballando, crescendo. Ho scoperto la poesia, l’America, il rap ed eccomi qui!».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«Tantissimo i Wu-Tang Clan, per la musica, le posizioni sul palco, i messaggi explicit, quanto un frontman come Method Man possa far differenza, quanto essere colti ed intelligenti possa influenzare sul modo di porsi, ricordandoci che usavano molti termini matematici, erano dei veri e propri nerd di strada. Anche Bahamadia, Gillette, Missy Elliot, Rah Digga, Billy More, Corona, sono state le mie influenze».
A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?
«Comagatte è la protagonista di una storiella che mi raccontava mia nonna per tenermi a bada, non l’ho scelto, mi è stato dato».
Al netto dell’attuale incertezza dovuta al delicato momento storico, quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere? Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova musica di Comagatte?
«Ho in cantiere i singoli più crazy mai ascoltati in Italia. Durante la quarantena ho ascoltato molta musica che ho assorbito come una spugna, sviluppando uno stile tutto mio. Non mi interessa se al momento il mercato musicale può oscillare tra massimi e minimi ascolti, io non mi fermo, sono un’artista, non un prodotto, io creo un prodotto ed è sicuramente evergreen».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«Mi piacerebbe arrivare alle persone insicure, devono valorizzare quelli che sono i loro difetti per sentirsi uniche. Le ragazze devono acquisire sicurezza grazie all’accettazione di qualche brufolo in più, dandogli un nome magari, ehehehe. I ragazzi invece devono capire che il genere non fa differenza. È una persona che parla, non una “femmina”. Una persona che si è costruita da sola, dal nulla».
Nico Donvito
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