A tu per tu con l’artista romagnolo, in uscita con il nuovo album intitolato “Chi sono io“
Si intitola “Chi sono io” il nuovo disco di dell’attore e cantante Sergio Casabianca, realizzato assieme alla banda de Le Gocce, composta da: Montesi Francesco alle tastiere, Montesi Filippo alla chitarra, Federico Lapa alle percussioni, Gianmarco Petti al basso e Marco Talevi alla batteria.
Ciao Sergio, benvenuto. Partiamo dal tuo album “Chi sono io”, quali pensieri e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la fase di composizione di questo lavoro?
«Speranza… mi ha accompagnato la speranza che qualcuno potesse comprendere fino in fondo il mio stato d’animo, la verità e la passione con cui affronto il mio lavoro, la coerenza con cui cerco di portarlo avanti tra compromessi e sogni senza mollare mai un centimetro. Il credere che tante persone lo avrebbero ascoltato, che io avrei potuto fare un salto in avanti verso una popolarità non vestita di ego, ma necessaria per poter dire e dare alle persone ciò che sento. Non credo di essere Dio in terra, ne un Santo…ma credo di essere una persona che ha il potere di aiutare gli altri, di portare sollievo, speranza, che ha la capacità di poter entrare in modo sioncero nel cuore delle persone e dar loro una visione più bella del mondio che ci circonda. Con questa speranza ho affrontato questo lavoro e con la speranza che attraverso questo singolo, le persone si sarebbero ptute sensibilizzare ad un problema come quello dell’Alzheimer che prende persone sempre più giovani e far capire loro che anche se viene diagnosticata la malattia, non finise la vita ma ne incomincia un’altra… e le persone che vivono a contatto con persone che hanno questa patologia, si sarebbero sentite un po’ meno sole».
Chi ha lavorato con te alla realizzazione del disco?
«Insieme a me hanno collaborato Francesco Montesi e Filippo Montesi. Non sono fratelli anche se hanno lo stesso cognome. Questo nella parte musicale e devo dire che la collaborazione oltre ad aver dato qualcosa di diverso e di più profondo del disco precedente, almeno secondo il mio parere, ha anche acceso una nuova forza, una convinzione che ancora ci può essere una speranza per persone come noi attraverso i brani inediti».
C’è un qualche fil rouge che accomuna le nove tracce in scaletta?
«Beh, sicuramente si! C’è la voglia smisurata di far capire alle persone che un mondo migliore è possibile e che dipende da ognuno di noi! Che dobbiamo ritrovare una sorta di spiritualità, di voglia di lottare per lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo di noi e per far capire alle persone che forse il vero senso della vita non sta nel cercare di essere a tutti i costi il numero uno, ma che c’è una bellezza smisurata nell’arrivare secondi o terzi o semplicemente partecipare… Che si vivrebbe meglio se fossimo più uniti e riconoscenti a certi valori e che la vita non è solo una, ce ne saranno altre e dobbiamo tornere a credere che non finirà tutto con la morte… Che la felicità forse appartiene più ai bambini o gli stolti come dice un filosofo e che la serenità sarebbe già un grande traguardo. Nessuno deve sentirsi solo, questo è ciò che accomuna le nove tracce ed è ciò che vorrei tramettere attraverso le mie canzoni o i miei spettacoli».
Dal punto di vista del sound, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«Abbiamo deciso di seguire una linea in cui le sonorità pop rock, si potessero incastrare con delle classiche ballate folk e in un paio di brani che si potessero fondere con un funky rap… A differenza del nostro penultimo disco, abbiamo cercato di ammorbidire alcuni suoni, ma di mantenere quello che poi si ascolta durante i concerti live».
Facciamo un salto indietro nel tempo, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica per te era più di un passatempo?
«Avevo 28 anni, mio padre era morto da pochi anni e io avevo preso il suo posto in un’ azienda di carpenteria. Suonavo davvero per passatempo e a dire la verità, un po’ anche per far colpo sulle ragazze e Rimini è una di quelle città in cui, sopratutto d’estate, il popolo femminile si getta sulle spiagge e per noi maschietti è un po’ come se si accendesse una luce fatta di mille colori e sfumature. Poi però ad un certo punto, mi sono reso conto che non era quella l’emozione che i realtà mi avvolgeva, ma un qualcosa di più grande e più luminoso, un qualcosa di cui non avrei potuto farne a meno e con quel filo di pazzia che da sempre mi accompagna, ho mollato tutto in un giorno per dedicarmi solo alla musica… poi successivamente attrverso la musica sono nate altre passioni che mi hanno portato a fondare, insieme ad un caro amico, una onlus (Una Goccia Per il Mondo) che opera tuttora in Cambogia a favore dei ragazzi più disagiati e sul nostro territorio per le persone più in difficoltà e successivamente una Associazione culturale (Sorridolibero) per promuovere quelle forme d’arte secondo me necessarie alla vita di ognuno».
A livello di ascolti, quali artisti e quali generi hanno accompagnato il tuo percorso?
«Sono tanti e diversi tra loro: diciamo che il rock dei Deep Purple o il suund dei Floyd mi ha accompagnato per diverso tempo, ma poi è la musica Italiana a cui ho dato più spazio: da Vasco a Baglioni, da De Andrè a Modugno, da Capossela a Mina, dai Nomadi a Battisti, …non ne ho uno in particolare ma con il tempo ho iniziato però a riconoscere e seguire come modello gli Artisti con la A Maiuscola, quelli che mettevano e mettono a nudo la propria anima sul palco e danno tutto sé stessi per il pubblico».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di un brano?
«La capacità di trovare quel momento giusto per andare dentro se stessi, nei luoghi dell’anima più difficili da scovare , per trasmettere quelle emozioni e quegli stati d’animo che appartengono a tante persone che non conosciamo e che attraverso l’energia della musica possono unirsi e riuscire a vedere senza filtri non solo il dolore, ma la bellezza e la semplicità della vita e mi affascina condividere i vari punti di vista. Nella composizione di un brano mi piace coinvolgere diverse persone, da chi è nell’ambiente a chi ne è estraneo, poi andare in studio e insieme i miei collaboratori vedere e sentire nascere ciò che speri in tanti ascolteranno».
Musica e teatro, cosa hanno in comune queste tue due grandi passioni?
«Tutto! Difficilmente potrei fare a meno di una o dell’altra cosa; messe insieme sono una forza incredibile, secondo me si raggiunge una completezza quasi assoluta….Entrambe le passioni hanno tra loro la voglia di comunicare, di trasmettere, la voglia di far capire alle persone quanto sia fondamentale per ognuno il nutrimento dell’Arte e quanto sia importante cercare di andare a fondo e mettere a nudo se stessi, non solo coma forma di ego, ma trasformarla in altruismo. Queste due passioni camminano in modo parallelo dentro di me e non si abbandonano, un po’ come due forme di vita che morirebbero se non avessero l’altra accanto».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica si rivolge a tutte quelle persone che hanno voglia di mettersi ancora in gioco, diciamo a quelle persone che hanno ancora voglia di respirare la speranza di quella libertà che ci hanno un po’ sottratto. Credo ancora che l’amore sia una delle forze più potenti esistenti al mondo, ma non potrebbe essere cosi se non fosse nutrita dall’Arte, quella con la A maiuscola, quella fatta da chi ha davvero un’anima da mettere a nudo sul palco e non importa se una persona ha 15 anni o 80, la cosa importante è che la gente torni ad avere voglia di ascoltare anche cose sconosciute e sopratutto, voglia di capire chi può e ha qualcosa da dare, un qualcosa che mette in moto dentro le persone la voglia di vivere e non sopravvivere. Mi piacerebbe arrivare ad essere un po’ come Augusto Daolio in tutti i sensi…in ciò che rappreserntava e in qualche modo rappresenta e a quella popolarità sana fatta sopratutto di piazze».
Nico Donvito
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