Si è conclusa la prima edizione del talent di RaiUno, spin-off del meno fortunato format andato in onda per sei stagioni su RaiDue
In un momento storico particolare come questo, in cui la categoria dei senior è profondamente colpita, c’è un programma che ha saputo riporre attenzione, lustro e valore al talento meno giovane, quello esperto e senza ambizione. Diciamolo pure, The Voice in Italia non ho mai brillato, anzi, a stento è arrivato alla sesta edizione, portandosi dietro una carcassa ingombrante di vincitori e partecipanti che non hanno goduto dei favori del pubblico.
Eppure è un format che all’estero funziona, ma che qui da noi deve fare i conti con l’intuizione di Maria De Filippi che, di fatto, ha inaugurato la stagione dei talent show tre anni prima di Simon Cowell, ideatore di X Factor, e nove anni prima di John de Mol, produttore olandese di The Voice, ma anche papà del Big Brother, da noi conosciuto come il Grande Fratello. Essere arrivati dopo, sicuramente, non ha mai giovato alla trasmissione ma, come tutte le storie che si rispettino, in agguato c’è sempre un colpo di scena.
Provvidenziale è stato il passaggio su Rai Uno che, forse, ha un pubblico di riferimento più attento alla musica rispetto a Rai Due, proprio perchè i giovani non si interessano come un tempo a questo tipo di format, preferiscono vedere un gruppo di coetanei in astinenza dai social chiudersi in un collegio. Altro fattore è stata la conduzione, affidata alla rassicurante esperienza di Antonella Clerici, che ha saputo portare al programma una narrazione diversa, più personale che abituale per il tipo di contesto.
Uno dei problemi dei talent è proprio questo: il rischio che tutto diventi automatico, una specie di liturgia che si ripropone ogni anno sempre uguale, proprio per questo Amici ha un meccanismo più elastico e votato al cambiamento. Il guaio di The Voice è sempre stato l’aspettativa, il dover dimostrare qualcosa in più degli altri competitor, dare delle garanzie maggiori ai concorrenti, ma un talent show può arrivare fino ad un certo punto, può assicurare un contratto ma non un futuro discografico.
Una volta che attorno alla trasmissione è sparito l’hype, l’effetto araba fenice non si è fatto attendere. The Voice Senior è, di fatto, una delle rivelazioni del palinsesto televisivo 2020, piacevole da guardare perchè ha saputo coniugare l’aspetto musicale a quello umano, facendo spettacolo senza spettacolarizzare il vissuto dei protagonisti. Chi si è preso cura di questo programma lo ha fatto con delicatezza, e professionalità, snellendo un meccanismo che, forse, dopo le blind audition risultava troppo complesso.
Loredana Bertè, Gigi D’Alessio, Clementino, Al Bano e Jasmine Carrisi non sono stati dei semplici coach, il loro ruolo è andato ben oltre, senza strafare, senza manie di protagonismo, portando al centro della scena chi, magari, non ha avuto la loro stessa fortuna e, per un motivo o per un altro, ha seguito altre strade. Così abbiamo avuto modo di conoscere tante nuove storie, oppure di riascoltare e apprezzare il talento di Giulio Todrani, Paolo Barabani, Marco Guerzoni e del vincitore Erminio Sinni.
Una lunga gavetta alle spalle per il cantautore toscano, che vanta due partecipazioni tra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo, la prima nel 1989 come co-autore del brano “Tutti i cuori sensibili” di Stefania La Fauci, la seconda nel 1993 come protagonista con “L’amore vero”, composta a quattro mani con Riccardo Cocciante. La sua è una vittoria simbolica, perchè tutti i partecipanti hanno meritato questo palcoscenico, l’occasione per dimostrare il proprio talento in primis nei confronti di sé stessi. Il vero spirito con cui si dovrebbe prendere parte ad uno show televisivo e con cui ci si dovrebbe approcciare alla musica.
Nico Donvito
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