A tu per tu con il cantautore bolognese, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Le mie canzoni amare”
A un anno e mezzo di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Luca Jacoboni, meglio noto con lo pseudonimo di Fosco17, cantautore classe ’95 che abbiamo imparato a conoscere nel corso di Sanremo Giovani 2018. “Le mie canzoni amare” è il singolo che segna il suo ritorno e anticipa l’uscita del suo secondo disco di prossima conoscenza. Lo abbiamo incontrato per approfondire la conoscenza della sua ispirata visione di vita e di musica.
Ciao Luca, bentrovato. Lo scorso 4 dicembre è uscito il tuo nuovo singolo, intitolato “Le mie canzoni amare”. Lo hai definito un pezzo tragicomico e agrodolce, quali pensieri e quali riflessioni lo hanno ispirato?
«Non so dirlo, la storia non fa parte della mia vita, ma racconta il vissuto di un mio amico. Di solito mi piace utilizzare le parole come un mezzo, questo brano si colloca in maniera un po’ stramba nel disco che sentirete, in un’estetica che possiamo definire italiana, che vuol dire tutto o niente ed è proprio questo il bello! Italiano è “Boris”, così come la Vanoni che fa il disco bossa nova con Toquinho, oppure Maria De Filippi. Insomma, siamo molto variegati nell’essere italiani, però effettivamente c’è un trait d’union tra tutte queste cose, anche se hanno aspetti molto diversi. Credo che la mia canzone abbia degli elementi di questa estetica nazionale, ma una volta che sentirete il resto del disco il quadro assumerà la sua cornice e questo concetto avrà più senso».
Quali sono gli elementi che ti rendono orgoglioso di questa canzone?
«Credo che la forza di questo pezzo sia che non abbia spigoli, o quasi. E’ un brano che al primo ascolto scivola giù in maniera abbastanza passiva, non ti da fastidio, il che non è necessariamente una cosa positiva in senso assoluto, ad esempio ci sono canzoni che hanno bisogno di spigoli emotivi per essere apprezzate. La forza di questo brano è che non ha pretese, senza velleità, molto diretto, diverso da altri brani che usciranno e che necessitano di un’attenzione maggiore».
Essere se stessi è un po’ la chiave per non somigliare a nessun altro e, in un’epoca in cui le mode non si cavalcano ma addirittura si surfano, sono curioso di chiederti: come riesci a preservarti? A portare avanti la tua identità musicale senza lasciarti troppo influenzare, anche involontariamente, da quello che c’è intorno?
«Non ci riesco, o quantomeno non sempre. Metà della mia produzione viene buttata, non è scontato, più vado avanti e più affino le mie capacità musicali, tecniche, permettendomi di esprimermi in maniera personale. Quello che credo di aver capito è che non si tratta di scappare da tutto quello che c’è intorno, al contrario di cercare di assimilare, piuttosto che copiare in maniera impeccabile, perchè più studi qualcosa e più cerci di farla tua. Secondo me è la mancanza di conoscenza che ti porta a fare una cosa che risulta già sentita».
Per concludere, qual’è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«E’ una domanda molto difficile, non saprei. Credo che la funzione della musica sia farmi capire chi sono. E’ un luogo in cui mi metto in gioco e faccio i conti con quello che sono, se faccio qualcosa con disinteresse non capirò mai di che pasta sono fatto e quali sono miei limiti personali. La musica è una palestra individuale».
Nico Donvito
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