Il tema del tempo nei testi delle canzoni
“Che anno è, che giorno è?” si chiede Lucio Battisti con un’interrogativa che può essere letta tanto nel suo significato letterale quanto interpretata in un senso più ampio, che potremmo definire esistenziale. Quante volte ‘ci sentiamo’ attraverso il tempo? Quanti e quali orologi trasformiamo in bussole per orientarci sia quotidianamente sia nelle diverse stagioni della vita? Quanto influisce la percezione del tempo che passa su ogni scelta, decisione, attesa, azione da intraprendere o rimandare?
“C’è un tempo per seminare E uno più lungo per aspettare” canta Ivano Fossati, smontando questa certezza con un impersonale “dicono che” a cui fa da contraltare un personalissimo “io dico che c’era un tempo sognato Che bisognava sognare”. Se siamo d’accordo che esiste un tempo per tutto, va pure ammessa quella marea di volte in cui siamo intempestivi nelle situazioni, quasi incapaci di comportarci o di sapere cosa è meglio fare nel tempo a disposizione. Perché, si sa che se il fluire del tempo è un concetto intriso di infinito, quello del nostro viaggio è a termine. Forse, anche per questo, tendiamo a stabilire un rapporto contraddittorio, discronico con il tempo, che se da un lato ci fa ammettere come Lucio “questo è il tempo di vivere con te (…) Ma il coraggio di vivere ancora non c’è”, dall’altro ci porta a concludere con Ligabue, “non è tempo per noi Che non ci svegliamo mai Abbiam sogni però Troppo grandi e belli, sai Belli o brutti, abbiam facce Che però non cambian mai Non è tempo per noi E forse non lo sarà mai”.
Prima di una conclusione così estrema, va pure evidenziato il legame speciale che il tempo stabilisce con la noia tanto da sembrare un bradipo camminatore senza meta, sempre uguale a se stesso, come un posto dove pare non accadere mai nulla di nuovo. Lo sanno bene i Matia Bazar per i quali “il tempo qui non passa mai In questo grigio di città Quando il cielo mi fa paura Si può morire di poesia Od impazzire di realtà” e ci invitano a trovare la via per crescere, anche sbagliando, perché “non è un gioco da ragazzi Fare i grandi e poi crescere Senza fare passi falsi mai E andare avanti (…) Anche da soli”.
Malika Ayane, dal canto suo, ce lo fa sapere a colpi di rime baciate, che “lento può passare il tempo Ma se perdi tempo Poi ti scappa il tempo L’attimo Lento come il movimento Che se fai distratto Perdi il tuo momento Perdi l’attimo” e saggia consiglia un modo possibile con un’allitterazione “Prendi l’attimo”. Allora vivere è questione di attimi? Decisamente sì! Ce lo racconta Franco Califano con un testo in prima persona in cui leggiamo “diventai grande in un tempo piccolo” e ci spiega anche come: “mi buttai dal letto per sentirmi libero Mi truccai il viso come un pagliaccio E bevvi vodka con tanto ghiaccio Scesi nella strada mi mischiai nel traffico”. Un racconto simbolico, le cui azioni rappresentano gli stadi di un processo di cambiamento verso un nuovo Sé; buttarsi dal letto vuol dire rompere il legame con ciò che ci tiene comodi e al sicuro, mentre ci trucchiamo per essere diversi, esponendoci al rischio di critiche, ma non disposti, per questo, a rinunciare a quel traffico di mondo esterno a noi, che alleggeriremo bevendoci su.
Visto così, il tempo diventa alleato di occasioni, maestro da non temere, anzi da desiderare per vedersi nuovi e imparare ad amarsi. Mia Martini lo sa che “col tempo imparerò A non odiare il mondo (…) capirò Da cosa mi nascondo E mi riscoprirò Capace di perdonare chi Si è preso il tempo mio Si è preso le carezze Di cui ho bisogno anch’io Si è preso le incertezze Ma forse ho perdonato già (…) Amandomi di più Col tempo forse imparerò”.
Ritrovarsi nel tempo, però, ci mette a rischio di non riconoscerci; lo canta bene Adriano Celentano “… e intanto il tempo se ne va E non ti senti più bambina Si cresce in fretta alla tua età Non me ne sono accorto prima”. La percezione del cambiamento può persino portarci a incolpare esclusivamente il tempo per i segni indelebili del suo passaggio: “l’ultima volta ti ho visto cambiato”, cantano i Baustelle, “bevevi un amaro al bancone del bar Perché il tempio ci sfugge Ma il segno del tempo rimane”.
Esiste, a questo punto, una conciliazione su come “vivere il mio tempo Viverlo da dentro” per dirla con i Litfiba? Un dato è certo: non c’è una verità assoluta e universale. Può anche capitare di dire con Vasco Rossi “oggi non ho tempo Oggi voglio stare spento!”, ma l’invito a non restare troppo immobili, subendo il tempo, giunge da più personalità illuminanti della musica, come Francesco Guccini “e un altro giorno è andato, la sua musica ha finito Quanto tempo è ormai passato e passerà Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada Il domani come tutto se ne andrà Ti guardi nelle mani e stringi il vuoto Se guardi nelle tasche troverai Gli spiccioli che ieri non avevi, ma Il tempo andato non ritornerà”; o Renato Zero, a confortarci che “la logica del tempo qualsiasi cosa cambierà Anche se non ne cogli il senso Un giorno il senso arriverà Ed è una regola del mondo Chi amore ha dato amore avrà”.
E se ancora qualche inquietudine ci resta, meglio arrendersi al presente come a una danza, magari accompagnata dal testo-mantra degli 883, “tieni il tempo Con le gambe e con le mani Tieni il tempo Non fermarti fino a domani Tieni il tempo Vai avanti e vedrai Tieni il tempo Il ritmo non finisce mai”… proprio come il nostro bisogno di pensare al tempo e di teorizzarlo nelle sue potenzialità, anche grazie al contributo delle canzoni.
Francesco Penta
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