giovedì 21 Novembre 2024

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Paolo Vallesi: “Non c’è mai una fine che non sia principio di rinascita” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore toscano per parlare di “IO/NOI”, progetto sospeso a metà tra passato e presente

A quasi due anni di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Paolo Vallesi per parlare del suo nuovo progetto discografico “IO/NOI”, volto a celebrare il suo trentennale di carriera. Un lavoro articolato impreziosito da due album, il primo contenente brani inediti e il secondo una serie di successi reinterpretati in duetto con vari ospiti, tra cui spiccano i nomi di Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Marco Masini, Gigi D’Alessio, Danti, Dolcenera, Amara, i Legno, e Leonardo Pieraccioni.

Ciao Paolo, bentrovato. Partiamo dal primo dei due album, “IO”, composto da dieci brani inediti. Avevi molto da raccontare? Ascoltandolo l’impressione è questa…

«Beh, non sono stato tanto prolifico nella mia produzione musicale. Infatti, il mio ultimo album era uscito nel 2017. Questo nuovo progetto ha cominciato a prendere forma dopo “Ora o mai più”, all’inizio del 2020, ci sono voluti due anni di lavoro per portarlo a termine. Era difficile riuscire a concepire due album che avessero una logica comune, ma che fossero completamente distinti l’uno dall’altro. “IO” contiene, per l’appunto, dieci brani inediti. Il mio intento era quello di realizzare un disco con un suono comune che potesse generare una reazione importante, nel bene o nel male. Questo è un album che o lo senti e dopo due canzoni lo togli o, se ti fai prendere al viaggio e dal filo conduttore che lo lega, lo ascolti tutto d’un fiato. Pensare nel 2022 di far ascoltare un disco per intero è difficile, ma valeva la pena fare un tentativo, per restituire un po’ quella sorta di entusiasmo che contraddistingueva le produzioni degli anni ’90. Quindi, questo è un progetto che divide: o ti piace, o non ti piace».

In questo lavoro confluiscono incontri con autori come Amara, Simone Cristicchi, Pierdavide Carone, ma anche con il tuo storico team, composto da Beppe Dati e Pio Stefanini. Personalmente l’ho trovato un bell’equilibrio…

«”IO” parte da un pensiero che poi lo lega anche a “NOI”, ovvero l’amicizia con persone con cui mi sento profondamente legato. Con Amara abbiamo instaurato un rapporto di amicizia intensa sin dal 2017, quando abbiamo partecipato come ospiti presentando il brano “Pace”. Lei è una persona straordinaria e un’artista meravigliosa, insieme abbiamo avuto l’idea di “Bentornato”. Successivamente Simone ha rifinito il tutto con la sua classe. Si tratta di un brano per me molto importante, che ho voluto mettere in entrambi i capitoli di questo progetto, perchè volevo che rappresentasse l’inizio e la fine di questo percorso. Con Pierdavide la cosa è nata in modo amichevole e casuale, durante il ritiro con la Nazionale Italiana Cantanti. Parlando, ci siamo messi a scrivere e a chiacchierare fino alle otto del mattino, così è nata “Meglio di niente”, altra canzone molto bella di questo disco. Con Beppe ci lega un lungo sodalizio, sono grato a lui così come a Pio, produttore di questo album, un professionista che mi ha sempre seguito durante il mio percorso, anche nei momenti meno fortunati lui c’è sempre stato e ha creduto in me. Insomma, un disco fatto da tante persone, soprattutto da amici».

Paolo Vallesi IoNoi

E poi c’è il secondo disco “NOI”, che contiene alcuni tuoi successi realizzati in duetto con grandi artisti e, come hai appena sottolineato, soprattutto amici. Partirei dall’uomo del momento: Gianni Morandi, protagonista con te di questa nuova versione de “La forza della vita”…

«La follia di questo lavoro è stata cercare di portare le canzoni nel mondo del rispettivo ospite, quindi nel caso di Gianni ho seguito quello che nel mio immaginario è il suo stile. Quindi, nemmeno troppo distante dalla versione originale de “La forza della vita”, anche perché a lui questo brano è sempre piaciuto, in qualche modo se l’è sempre cucito addosso, come una specie di “Uno su mille”, perchè anche lui ha avuto tanti alti e  bassi».

Anche nel caso di Enrico Ruggeri, che ha interpretato con te “Le persone inutili”, hai cercato di ricreare una dimensione sonora consona alla sua storia musicale…

«Sì, pensavo a qualcosa di classico che potesse avvicinarsi a “Il portiere di notte”. Discorso simile anche per “Non andare via” cantata con Gigi D’Alessio. Con lui c’è stato un episodio molto divertente, quando gli feci sentire il pezzo mi disse: “Sembra che l’ho scritto io, ma non è che me l’hai copiato?”, gli risposi che era del ’96 e, ridendo, aggiunse: “Beh, allora forse te l’ho copiato io!” (ride, ndr)».

Fa sorridere questo aneddoto, ma in qualche modo va a tacere ogni polemica collegata a quel Sanremo 2005, quando con la sua “L’amore che non c’è” Gigi fu accusato di aver plagiato la tua “Le persone inutili”…

«Una polemica molto sterile, perchè sono un musicista e so che quando vai a fare delle cose consonanti, in qualche modo c’è il rischio di ricordarne altre. La questione dei plagi oggi non esiste più, si punta più sui suoni e le parole, alla fine le note si somigliano. Ricordo che in quell’occasione non stavo guardando il Festival, mi trovavo a giocare a calcetto, e sul telefonino ricevetti tipo settanta messaggi in cui mi informavano di questa cosa. Gigi mi invitò poi al suo concerto di Firenze, fu molto carino nel dire: “Io ho molti colleghi nel mondo della musica e pochi amici, Paolo è uno di questi e qualche volta mi sono ispirato anche alle sue canzoni per scrivere”».

Poi, nel caso di alcune altre tracce, ti sei approcciato a mondi a te più lontani e ancora più vicini agli altri ospiti…

«Proprio così, come nel caso di “Grande” con Dolcenera e di “Sempre” con Danti, dove ci siamo più avvicinati ad atmosfere elettroniche. L’intenzione era quella di riprodurre questi brani, dai ritornelli molto rappresentativi dell’immaginario anni ’90, in maniera totalmente nuova. Così come con “Non mi tradire” con i Legno abbiamo fatto un esperimento indie, avvicinandomi alla loro musica. Ho cercato per ciascun ospite di avvicinarmi al loro mondo, fortunatamente tutti hanno accettato con entusiasmo, come il caso di Marco Masini, con cui abbiamo realizzato “Il cielo di Firenze”, una canzone importante per noi fiorentini».

A me ha sempre incuriosito la vostra storia, con Marco provenite dalla stessa città e vi siete ritrovati a vincere Sanremo un’edizione dietro l’altra, lui nel ’90 e tu nel ’91. Come descriveresti il vostro rapporto e come si è evoluto negli anni?

«Guarda, noi siamo sempre stati fuori da qualsiasi tipo di rivalità. In molti ci hanno identificato in qualche modo, avendo ripercorso le sue tappe un anno dopo e collaborando con le stesse persone sono stato spesso associato a lui. In realtà questo non è mai esistito, perché siamo due musicisti che hanno iniziato insieme, ricordo che da ragazzini ci trovavamo nei locali alle tre del mattino dopo aver suonato in piano bar diversi, a mangiare la pizza e sognare di fare i cantanti. Ora che abbiamo festeggiato entrambi trent’anni di carriera, tra noi c’è un’enorme stima reciproca, ci diamo dei consigli. Si tratta di un’amicizia vera, che va al di là di qualsiasi logica discografica».

Infine, sempre a proposito di Firenze, c’è un brano inedito dal particolare titolo “Le fughe annerite delle mattonelle”. Come hai fatto a non ridere in studio insieme a Leonardo Pieraccioni?

«E’ stata dura! Mi piaceva l’idea di realizzare qualcosa con Leonardo, perché a lui piace tanto cantare. Da una sua idea è venuta fuori una guasconata, io ci ho aggiunto la seconda parte e abbiamo fatto una cosa per ridere, per chiudere questo album in modo semi-serio, prima di inserire “Bentornato” che ti riporta all’inizio del percorso».

Volevo fare con te un riflessione sul potere delle parole e della musica. Da “La forza della vita” a “Pace”, fino ad arrivare a “Bentornato”, nei testi delle tue canzoni più belle c’è sempre un messaggio importante, la speranza di una via d’uscita, la voglia di riscoprire il senso della vita, il desiderio di rinascita… anche nei momenti in cui le cose non vanno, sia a livello personale ma anche generale, come abbiamo capito con la pandemia e come stiamo purtroppo vivendo con la guerra in Ucraina. Che pensiero ti senti di rivolgere al momento che stiamo vivendo?

«La musica è sempre stata terapeutica, il suo valore è quello di distrarre e, al tempo stesso, suggerire degli spunti di riflessione. Per me la musica è questo, qualcosa che può allargare gli orizzonti e restituirti un pensiero diverso. Quando scrivo le canzoni cerco sempre di dare un giudizio molto personale perché, come tale, è probabile che non sia un pensiero comune. Il periodo che stiamo vivendo adesso è devastante, se il Covid ha distillato nelle persone la paura e una forte mancanza di socialità, la situazione in Ucraina non ha fatto altro che aggravare la situazione. Oltre a condannare in ogni modo il tiranno Putin, non credo che nemmeno il presidente Zelensky stia facendo il bene del proprio popolo. Anche noi occidentali non abbiamo certo la coscienza pulita attorno a questa storia, in questo momento gli ucraini pagano la cattiveria di tutto il mondo. Forse tutto questo si sarebbe potuto evitare per tempo».

Per concludere, c’è una frase di un brano del tuo repertorio che si ricollega al momento che stiamo vivendo e che infonde, in qualche modo, un messaggi di speranza?

«Ritorno forzatamente a “Bentornato”, in particolare al verso “non c’è mai una fine che non sia principio di rinascita”. Ecco, questa credo che sia la frase che possa chiudere il discorso, perché alla fine ci sarà una rinascita, noi possiamo solo auspicare che avvenga il prima possibile per il bene di tutte le persone coinvolte».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.