Scomparso troppo presto, Massimo Cotto è stato un giornalista e un disc jockey, ma la sua penna e la sua voce non smetteranno di regalarci emozioni
Massimo Cotto è stato un amico per tanti. Nei giorni seguenti la sua scomparsa, abbiamo scoperto che aveva foto con tutti, o tutti avevano foto con lui. E sorrideva sempre, non solo nelle foto, Massimo sorrideva alla vita.
Ho avuto il piacere di conoscerlo, ma soprattutto ho avuto la fortuna di leggerlo e di ascoltarlo. Parlare di musica gli veniva naturale, come respirare.
Ce ne sono pochi di individui che coniugano la specialità della propria persona a un qualche spiccato talento, con un perfetto compendio tra umanità e professionalità. In questo, Massimo non è stato solo un esperto di musica, ma anche e soprattutto un appassionato.
Lo si vedeva dagli occhi che luccicavano, contornati e accentuati da quei suoi occhialoni rossi. Di musica ne sapeva, ma non era affatto un tipo snob, di quelli con la puzza sotto il naso, che non ascoltavano altro oltre il proprio genere di riferimento.
Massimo era figlio del rock, sì, ma con lui si poteva parlare di musica a 360 gradi, a prescindere che la lettera emme fosse maiuscola o minuscola. Era un curioso e non un comune virtuoso, di quelli che a prescindere esaltano o asfaltano, di quelli che ostentano e non comprendono.
A differenza di tanti colleghi più o meno illustri, che si professano forti su una determinata scena e che se cominci a parlargli di altro incrociano gli occhi, Massimo non andava per nulla in crisi fuori dal proprio orticello, anzi, ci sguazzava.
Ha amato la musica e l’ha approfondita dalle Alpi alle Ande. Poi, chiaro, il rock è stato la sua vita, ma si è occupato di scrivere biografie ufficiali di e con artisti di qualsiasi estrazione, da Patty Pravo a Ligabue, passando per Francesco Guccini, Ivano Fossati, Enrico Ruggeri, Irene Grandi, Piero Pelù, i Nomadi, la Bandabardò, Massimo Bubola e tanti altri.
Era un cronista completo, poliedrico. Ha fatto radio, ha scritto libri e ha vissuto a duecento all’ora. Per tutti c’è sempre stato, non solo per gli artisti che gli hanno dimostrato riconoscenza e affetto, ma anche con i colleghi si è sempre mostrato generoso. Portava con sé un sorriso di riserva da donare a chi ne aveva bisogno.
Sono certo abbia lasciato interi scatoloni di sorrisi per sua moglie Chiara e per suo figlio Francesco, ai quali rivolgo un sentito pensiero: i grandi uomini non ci lasciano mai davvero, ma restano vivi nei gesti, nelle parole e nelle passioni che ci hanno donato, perché hanno vissuto intensamente ogni istante, lasciandoci un’eredità che non si spegne con il tempo
Ho voluto scrivere di Massimo un mese dopo, perché se è vero come è vero, proprio come diceva lui, che per piangere c’è sempre tempo, rimango fermamente convinto che ci sia sempre tempo anche per ricordare e per portare nel cuore persone e professionisti che hanno contribuito a migliorarlo questo strano mondo che ci circonda.
In conclusione, Massimo Cotto è stato un architetto della musica, da una parte visionario e dall’altra restauratore, mai mai nostalgico. La sua penna e la sua voce continueranno a regalarci emozioni e resteranno lì, a nostra disposizione, quando ci verrà voglia di familiarizzare con un po’ di bellezza.
Nico Donvito
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