Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo Story anni ’80
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”, gli anni ’80 e il trionfo del nazionalpopolare
I segni della rinascita del Festival di Sanremo si intravidero sin dall’inizio del nuovo decennio. Dopo il calo fisiologico avvenuto nei precedenti anni ’70, si riuscì a ridare lustro alla manifestazione, restituendole lo stesso fervore avvertito negli anni ’50 e poi bissato successivamente negli anni ’60. La musica italiana riacquisì credibilità e centralità attraverso i mezzi radiofonico-televisivi, ritrovando la gloria perduta. Dopo un lustro decisamente sottotono, la rassegna non si accontentava più di sopravvivere, aveva bisogno di recuperare idee ed energie per il giusto rilancio.
I primi segnali positivi arrivarono con la trentesima edizione del 1980, condotta da Claudio Cecchetto, affiancato per l’occasione dalla soubrette Olimpia Carlisi e dal futuro Premio Oscar Roberto Benigni. Ad imporsi fu “Solo noi” di Toto Cutugno, al debutto solista dopo due partecipazioni come frontman degli Albatros. Unica vittoria in Riviera del cantautore che, negli anni a seguire, si posizionò per ben sei volte al secondo posto. Comunque sia, una sorta di primato anche questo!
A scalare le classifiche all’indomani della fine della rassegna, furono “Su di noi” di Pupo e “Contessa” dei Decibel. Per Gianni Morandi si trattò della seconda presenza in gara, anche questa poco fortunata, con il brano “Mariù”: arrangiato da Lucio Dalla, musicato da Ron e scritto nientepopodimeno che da Francesco De Gregori. Quest’ultimo a Sanremo aveva giurato di non metterci mai piede, lo fece pubblicamente in una canzone del ’76, intitolata proprio Festival, dedicata alla scomparsa di Luigi Tenco. Una promessa finora mantenuta.
Tra i veterani, si ripresentò in gara anche Bobby Solo, assente da otto anni. Presentando il suo brano “Gelosia”, dichiarò: «Se gestito bene, il Festival può essere una splendida vetrina per l’Italia e per l’estero, checché se ne dica. Sono convinto che si possa tornare all’epoca d’oro puntando sulla melodia. La musica ritmica lasciamola agli americani, che sono più bravi e la sanno fare con tutti i crismi. Noi siamo conosciuti all’estero per la melodia, la sappiamo fare ed esportare. Il mondo non è fatto solo di discoteche, cerchiamo di preservare quest’ultima vetrina che ci è rimasta». Insomma, si aprì un nuovo ciclo. L’interesse verso la kermesse tornò di attualità, grazie al rilancio mediatico ottenuto con i compromessi del playback e dei grandi ospiti stranieri.
Nel corso di tutto il decennio, infatti, calcarono il palco dell’Ariston autentiche star internazionali del calibro di: Barry White, i Dire Straits, Charles Aznavour, Johnny Hallyday, Gloria Gaynor, i Kiss, Van Halen, Peter Gabriel, Toquinho, Paul Young, i Queen, Bonnie Tyler, i Frankie Goes To Hollywood, i Duran Duran, gli Spandau Ballet, Sting, i Depeche Mode, Whitney Houston, gli Europe, Paul Simon, Art Garfunkel, Bob Geldof, i Pet Shop Boys, Paul McCartney, Joe Cocker, i Toto, Terence Trent D’Arby, Sandie Show, i Bon Jovi, Ricky Astley, Nick Kamen, i Simply Red, Boy George, Ray Charles, Elton John e molti altri ancora.
L’edizione del 1981 non fece altro che confermare le grandi aspettative. Favorita della vigilia era Loretta Goggi, in gara per la prima e unica volta con “Maledetta primavera”, classificatasi in seconda posizione alle spalle di Alice ,che primeggiò con l’innovativa “Per Elisa”, composta con Franco Battiato e Giusto Pio. Grande successo lo ottenne anche “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri, apparsi in quattro durante le prove e rimasti in tre nella messa in onda televisiva, dopo la tanto chiacchierata uscita di scena di Marina Occhiena.
Tra i debutti eccellenti di questa annata, segnaliamo gli esordi di Eduardo De Crescenzo con la splendida “Ancora”, Gianni Bella con “Questo amore non si tocca”, Luca Barbarossa con “Roma Spogliata”, Michele Zarrillo con “Su quel pianeta libero” e Fiorella Mannoia con “Caffè nero bollente”. Con la musica rimessa rigorosamente al centro, Sanremo tornò nuovamente d’interesse popolare, complice la Rai che decise di trasmettere in diretta tutte le serate, elemento alla base della longevità di questa manifestazione, nonché la punta di diamante di un format vincente. Nessuno parlò più di crisi.
Quella del 1982 fu l’ultima edizione del triennio Cecchetto, un’annata che potremmo definire cruciale per la definitiva ripresa della kermesse. A sbaragliare la concorrenza fu Riccardo Fogli con “Storie di tutti i giorni”, che inaugurò la lunga stagione delle vittorie annunciate. Grande successo lo riscontrò “Felicità”, portata alla ribalta dai coniugi Al Bano e Romina Power. Nello stesso frangente, nacque parallelamente il Premio della Critica, attribuito dalla sala stampa a Mia Martini. L’ugola calabrese, al suo esordio con “E non finisce mica il cielo”, si aggiudicò in seguito altre due volte tale onorificenza. A partire dal ’96, anno successivo alla sua prematura scomparsa, questo prestigioso riconoscimento venne intitolato alla sua memoria.
Il regolamento della trentaduesima edizione del Festival prevedeva trenta artisti in gara, quattordici big e sediciaspiranti. I primi andarono direttamente in finale, i secondi vennero dimezzati. Al gruppo di questi ultimi si unì anche Claudio Villa con “Facciamo la pace”, al suo ritorno dopo dodici anni di assenza. Il Reuccio supplicò il direttore artistico Gianni Ravera di poter prendere partealla competizione, accettando la sfida in seconda categoria con il rischio di subire l’eliminazione, convinto che tanto non sarebbe mai successo. Accadde l’irreparabile: scoppiò un putiferio, volarono paroloni e minacce di percosse. Il cantante romano, furibondo, si rivolse al pretore di Sanremo per acquisire i verbali delle “misteriose” giurie, sulla carta dislocate in tutto il Paese, anche se a nessuno era dato sapere dove. In effetti, qualcosa non tornava e già da tempo veniva messa in dubbio la reale esistenza di queste fantomatiche commissioni di voto. Il magistrato fece notare a Villa che tale procedimento avrebbe comportato la sospensione del Festival, così l’artista ci ripensò accontentandosi di un compromesso: il ripescaggio di uno degli esclusi tramite estrazione. La sorte non fu a suo favore, la lotteria portò alla rentrée di Michele Zarrillo, riammesso in gara con “Una rosa blu”.
Fecero il loro debutto in questa memorabile edizione due emiliani destinati a diventare delle leggende della canzone nazionale: Vasco Rossi con “Vado al Massimo” e Zucchero Fornaciari con “Una notte che vola via”. Entrambi poco fortunati in Riviera, finirono inspiegabilmente nei bassifondi della classifica finale.
Considerato il momento d’oro della musica emergente, il regolamento di Sanremo 1983 favorì nettamente le nuove leve, penalizzando viceversa i veterani. Venne fatta finalmente chiarezza sul sistema di votazione e le giurie furono affidate a sessanta sindaci di altrettanti comuni italiani. Ai partecipanti venne concessa la possibilità di esibirsi totalmente in playback o di cantare dal vivo su base registrata, qualora lo preferissero. Questo creò comunque un dislivello, una competizione a pensarci oggi poco equa. Tra le tante canzoni in concorso, a spuntarla fu la semisconosciuta Tiziana Rivale, presente all’appello con “Sarà quel che sarà”. Completarono il podio, tutto al femminile, l’altra giovane promessa Donatella Milani con “Volevo dirti” e la popolare Dori Ghezzi con “Margherita non lo sa”. Quest’ultima si presentò in Riviera con il compagno Fabrizio De Andrè, che in quell’occasione commentò: «Questi sono i veri eroi della canzone italiana. Non io, i Dalla, i De Gregori o i Bennato, che facciamo i baroni nelle nostre torri d’avorio. Chi ha il coraggio di venire qui, in questo macello, perché non ha altro modo di lanciare il suo lavoro, è da ammirare veramente. I cantautori come me e i miei colleghi non rischiano mai. D’ora in poi saprò cosa rispondere a chiunque, credendo di essere alla moda, parla o scrive male del Festival di Sanremo». Una posizione decisamente interessante, schietta e controcorrente.
Tra i motivi in gara, spiccarono alcuni pezzi divenuti memorabili, come “Vacanze romane” dei Matia Bazar e “1950″ di Amedeo Minghi, oltre a valide proposte quali “La mia nemica amatissima” di Gianni Morandi e “Mi sono innamorato di mia moglie” di Gianni Nazzaro. Ci riprovarono Zucchero e Vasco Rossi, rispettivamente con “Nuvola” e “Vita spericolata”, ma ottennero la stessa infausta sorte dell’annata precedente. Curiosa la presenza di Richard Sanderson, popstar britannica reduce dall’immenso successo internazionale di Reality, motivo centrale della colonna sonora de Il tempo delle mele, che approdò nella città dei fiori con la poco fortunata “Stiamo insieme”. Un po’ come se oggi al Festival prendessero parte Adele o Ed Sheeran, in gara e cantando per giunta in italiano. Una roba inimmaginabile.
Giocò una partita a parte “L’italiano”, considerato un vero e proprio secondo inno nazionale in giro per il mondo, più volte bistrattato da noi in patria. Il pezzo, inizialmente proposto ad Adriano Celentano, fece la fortuna di Toto Cutugno, soprattutto all’estero. L’autore del testo, Cristiano Minellono, detto Popi, più volte ribadì la sua visione del brano: «Era una fotografia critica dell’Italia in quel preciso momento storico, perché l’autoradio nella mano destra voleva dire un Paese di ladri, troppa America sui manifesti rappresentava un Paese privo di personalità, più donne e sempre meno suore significava un Paese privo di vocazione. Insomma, una canzone molto cruda e amara, che nel tempo è stata interpretata come una canzonetta banale tipo Sole, pizza e amore». Dunque, altro che qualunquismo.
Quell’anno il clima attorno alla rassegna non fu dei migliori, a causa dello sciopero dei fotografi, allontanati dal sottopalco a favore delle telecamere destinate alle riprese televisive, oltre che della protesta dei lavoratori delle case discografiche per il rinnovo del contratto. Queste agitazioni minacciarono il corretto svolgimento dell’evento.
La situazione non migliorò nel 1984 ed, infatti, la trentaquattresima rappresentazione del Festival fu anch’essa segnata dalle contestazioni, ma anche da un profondo senso di rinnovamento. La novità principale riguardò l’introduzione della sezione Nuove Proposte, o categoria giovani che dir si voglia. Da questo momento in poi, fatta eccezione per il 2004, il 2019, il 2022, il 2023 e il 2024, la kermesse verrà articolata in due competizioni distinte, questo sia per agevolare l’affermazione degli emergenti che per favorire i ritorni dei big. Nacque così l’idea di separare la gara, decretando due diversi vincitori, questo a conferma che lo spirito iniziale della rassegna, piano piano, era andato a scontrarsi con la realtà, deviando l’attenzione più suicantanti che sulle canzoni.
Con gli anni, il peso specifico di un artista, il blasone, la sua carriera, la messa in scena e l’interpretazione assunsero sempre maggiore importanza. Peccato, però, che a partire da questa edizione, fortunatamente per soli due anni, gli artisti in gara non si esibirono dal vivo, come preteso dalle case discografichedell’epoca, intenzionate a far riprodurre i brani in maniera fedele alle versioni originali. Altra novità riguardò il sistema di valutazione delle classifiche: superate le polemiche riguardanti le “giurie fantasma”, si decise di coinvolgere il pubblico mediante una specie di televoto primordiale, attraverso le schedine del Totip, che permettevano agli spettatori di esprimere la propria preferenza recandosi in una delle numerose ricevitorie sparse per il territorio. Ad aggiudicarsi il favore degli scommettitori furono Al Bano e Romina con “Ci sarà”, mentre in seconda categoria si impose un giovanissimo Eros Ramazzotti con la rappresentativa “Terra promessa”, inno di un’intera generazione e pezzo che inaugurò la sua straordinaria carriera internazionale.
Degna di nota la sigla di questa annata, “Rose su ros”e, affidata alla sempreverde vocalità di Mina. A distanza disedici anni dall’esordio, tornò per la seconda volta alla conduzione Pippo Baudo, personaggio che incarnava alla perfezione il ritrovato spirito nazionalpopolare. A lui il merito di aver affrontato nel migliore dei modi una delle pagine più delicate della storia festivaliera, risolvendo la questione dei metalmeccanici dell’Italsider di Genova in marcia su Sanremo. A sorpresa, il conduttore catanese diede la possibilità ad una delegazione di operai di salire sul palco, per spiegare in diretta televisiva le ragioni della loro protesta. Uno dei primi tentativi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in scena all’Ariston, sentimento sociale destinato a crescere nel tempo.
Tornando alla musica, la maggior parte delle canzoni parlavano naturalmente d’amore, principalmente con l’utilizzo di accordi semplici e ritornelli facilmente memorizzabili. Una formula che premiò motivi più immediati come “Non voglio mica la luna” di Fiordaliso, “Serenata” di Toto Cutugno e “Cara” di Christian, rispetto a brani con una costruzione armonica decisamente più raffinata come “Nina” di Mario Castelnuovo, “Nuovo swing” di Enrico Ruggeri, “Come si cambia” di Fiorella Mannoia e “Per una bambola” di Patty Pravo, di ritorno a quattordici anni dalla sua ultima presenza in Riviera.
La trentacinquesima edizione della kermesse seguì a grandi linee la scia del rinnovamento intrapreso dodici mesi prima. Furono confermati Pippo Baudo alla conduzione e Gianni Ravera in cabina di regia. Dominarono la scena i Ricchi e Poveri, primatisti con “Se m’innamoro”. Meritevole di menzione “Donne” di Zucchero, un habitué delle ultime posizioni in classifica, mentre conquistò un buon sesto posto Eros Ramazzotti, promosso in prima categoria con “Una storia importante”.
Sul gradino più basso del podio si impose “Chiamalo amore” della veterana Gigliola Cinquetti, di ritorno a dodici anni di distanza dall’ultima partecipazione, mentre in seconda posizione si affermò il quattordicenne messicano Luis Miguel, con il manifesto giovanile “Noi ragazzi di oggi”. Tra i brani più popolari presenti all’appello spiccarono “E mo’ e mo’” di Peppino Di Capri e “Tu dimmi un cuore ce l’hai” di Marco Armani. Ben assortita la scena cantautorale, grazie alle presenze di Ivan Graziani con “Franca ti amo”, Eugenio Finardi con “Vorrei svegliarti”, Franco Simone con “Ritratto”, Eduardo De Crescenzo con “Via con me” e Mimmo Locasciulli con “Buona fortuna”.
Tra le matricole, invece, si fecero notare Mango con “Il viaggio” e Cristiano De Andrè con “Bella più di me”, ma la vittoria andò a “Niente di più” di Cinzia Corrado. La cantante, tuttavia, non riuscì a costruire una solida carriera neltempo, anche a causa di vicissitudini discografiche che non la riportarono in gara l’anno seguente, prerogativa determinante per l’affermazione di un artista emergente, forse più della vittoria stessa. Infatti, la storia del Festival ci insegna che per mantenere una certa popolarità è necessaria una certa promozione, talvolta rappresentata anche da una seconda chance, per creare un po’ di continuità. Gli artisti a cui non è stata concessa questa opportunità, nona caso, hanno dovuto faticato il doppio oppure sono finiti tristemente nel dimenticatoio.
Ospite italiano fuori concorso fu Claudio Baglioni, invitato a ricevere il Premio “Canzone del secolo” per “Questo piccolo grande amore”. Il cantautore romano in principio declinò l’invito, perché non aveva la benché minima intenzione di esibirsi in playback, ma l’organizzazione gli permise di cantare dal vivo al pianoforte. Un momento che non solo rimase nel tempo, ma favorì una sorta di presa di coscienza, un monito per l’intero sistema discografico. L’idea che circolava ai tempi era che le performance live rendessero le prestazioni uguali tra loro, senza alcun briciolo di personalità. Niente di più sbagliato, anzi a pensarci era esattamente l’opposto.
A partire dall’edizione successiva, infatti, gli artisti in gara tornarono finalmente a cantare, seppur su base registrata. Si dovette attendere il 1990 per assistere al definitivo ritorno dell’orchestra, più che mai fondamentale per l’esclusività di una performance, oltre che per l’intero ciclo vitale della manifestazione. La rassegna continuava ad imporsi come il più grande spettacolo italiano, risorgendo dalle proprie ceneri. Incredibile se pensiamo all’edizione organizzata dal Comune soltanto dieci anni prima ed ai livelli di scarsa attenzione mediatica toccati nell’intero decennio precedente. Una vera e propria rinascita in piena sintonia con il favorevole periodo storico.
Quella del 1986 fu un’edizione nel solco della continuità, anche se non mancarono le novità. Alla conduzione debuttò la brillante e versatile Loretta Goggi, prima donna nella storia della kermesse a ricoprire il ruolo principale di presentatrice. Il regolamento restò pressoché invariato, mentre a cambiare fu la formula di esibizione. Come già anticipato, infatti si tornò a cantare dal vivo. Ad aggiudicarsi i titoli furono Eros Ramazzotti con l’autobiografica “Adesso tu” tra i big e Lena Biolcati con la romantica “Grande grande amore” tra i giovani.
Da ricordare la quarta e ultima partecipazione in gara di Zucchero con “Canzone triste”, oltre alla presenza di Sergio Endrigo con “Canzone italiana”, anche lui al suo ultimo cartellino marcato nella città dei fiori. Tra gli altri protagonisti di questa prolifica annata, ritroviamo i nomi di Anna Oxa con “È tutto un attimo”, Marcella Bella con “Senza un briciolo di testa”, Orietta Berti con “Futuro”, Mango con “Lei verrà” e Luca Barbarossa con “Via Margutta”.
Strappò applausi l’eccellente debutto di Renzo Arbore, alla sua unica convocazione sanremese, con la goliardica “Il clarinetto”, sull’onda del fragoroso successo di “Quelli della notte”. Si registrarono anche gli esordi di Loredana Bertè con “Re” e di Nino D’Angelo con “Vai”, entrambi considerati favoriti alla vigilia. Discorso a parte per Donatella Rettore, che in realtà aveva già partecipato due volte nel ’74 e nel ’77, in epoca antecedente al suo exploit commerciale. In gara con “Amore stella”, dichiarò agli organi di stampa di considerare questa come la sua prima vera partecipazione al Festival.
Dato più volte per clinicamente morto, Sanremo tornò sulla cresta dell’onda. Quella del 1987 fu l’edizione più seguita di sempre, ovvero con il maggior picco di share mai rilevato. Gli ascolti vennero segnalati per la prima volta attraverso l’Auditel, sistema entrato in vigore un paio di mesi prima, che registrò la finale più vista nella storia della kermesse. Alla conduzione tornò Pippo Baudo, mentre l’organizzazione dovette fare i conti con l’improvvisa dipartita di Gianni Ravera, scomparso nel maggio dell’anno precedente. Ad ereditare il ruolo di direttore artistico fu suo figlio Marco, a lui il compito di regalare continuità e popolarità allo stesso evento che suo padre aveva saputo onorare e amministrare per ben sedici anni.
A trionfare fu l’inedito trio composto da Gianni Morandi, Umberto Tozzi ed Enrico Ruggeri, con la celeberrima “Si può dare di più”, considerata da molti la risposta italiana al successo interplanetario di “We are the world”. Questa vittoria fu segnata dalla commozione per la prematura scomparsa di Claudio Villa, annunciata da Baudo poco prima della proclamazione.
Tra le canzoni scolpite nella memoria del pubblico, si fecero valere: “Quello che le donne non dicono” di Fiorella Mannoia, “Io amo” di Fausto Leali, “Nostalgia canaglia” di Al Bano e Romina e “Il sognatore” di Peppino Di Capri. Il meccanismo di voto affidato al Totip penalizzò ancora una volta leproposte più innovative, come “Bolero” di Nada, “Rosanna” di Nino Buonocore, “Madonna di Venere” di Mario Castelnuovo e “Il Garibaldi innamorato” di Sergio Caputo. Nella categoria cadetta la spuntò “La notte dei pensieri” di Michele Zarrillo, alla sua terza prova festivaliera.
Nell’edizione 1988, che celebrava il trentennale dalla vittoria di “Nel blu dipinto di blu”, la formula e il meccanismo rimasero invariati. Attirò l’attenzione dei media il grande ritorno di Massimo Ranieri, dopo ben diciannove anni di assenza. L’artista partenopeo si aggiudicò la medaglia d’oro con l’intramontabile “Perdere l’amore”, proposta invano l’anno prima da Gianni Nazzaro. Per prendere parte al Festival, Ranieri dovette interrompere la tournée teatrale diRinaldo in campo, proprio come era accaduto a Domenico Modugno nel ’62. Entrambi ne uscirono trionfanti con lo stesso ruolo e la stessa commedia portata in scena. Una strana e affascinante coincidenza.
Tra i motivi in concorso, si assistette alla svolta in italiano di Raf con “Inevitabile follia”, mentre Fiorella Mannoia si laureò nuovamente vincitrice del Premio della Critica con “Le notti di maggio”, scritta per lei da Ivano Fossati. Due le canzoni che fecero più discutere: l’imprescindibile “Italia” di Mino Reitano e la fantascientifica “Nascerà Gesù” dei Ricchi e Poveri, la prima accusata di troppa ruffianeria, la seconda incolpata di banalizzare i progressi dell’ingegneria genetica. Divise l’opinione pubblica, invece, Luca Barbarossa con “L’amore rubato”, che affrontava il tema della violenza sulle donne, narrando le brutalità di uno stupro.
Ancora una volta trionfò la melodia, a discapito di motivi più innovativi come “Ma che idea” dei Denovo, “Come per miracolo” di Alan Sorrenti e “La prima stella della sera” dei Matia Bazar. Curiosa la partecipazione in gara dei Figli di Bubba, estemporaneo collettivo composto da due musicisti (Mauro Pagani e Franz Di Cioccio), due comici (Enzo Braschi e Sergio Vastano), due giornalisti (Roberto Gatti e Alberto Tonti) e un produttore (Roberto Manfredi). La loro “Nella valle dei Timbales” si impose come una delle pagine più surreali e allegoriche della storia del Festival.
Un grande successo commerciale lo ottenne “Andamento lento” di Tullio De Piscopo, che finì ai vertici delle classifiche di vendita all’indomani della manifestazione. Buoni risultati anche per “Quando nasce un amore” di Anna Oxa, “Mi manchi” di Fausto Leali, “Emozioni” di Toto Cutugno, “Sarà per te” dell’attore e regista Francesco Nuti, “Dopo la tempesta” di Marcella Bella e “Io (per le strade di quartiere)” di Franco Califano, al suo debutto in Riviera.
Nella sezione Nuove Proposte vinsero i Future con “Canta con noi”, battendo l’agguerrita concorrenza di giovani e promettenti reclute del calibro di Biagio Antonacci, Paola Turci, Mietta, Mariella Nava, Bungaro e Andrea Mirò. Il Festival di Sanremo proseguì il suo viaggio nel segno della consacrazione popolare, il meccanismo di voto affidato alle schedine fidelizzò il pubblico e lo catalizzò davanti allo schermo. In calo le vendite dei dischi, con i numeri nettamente lontani da quelli registrati negli anni sessanta. L’edizione del 1989 vide l’entrata in scena del nuovo direttore artistico Adriano Aragozzini, che ricevette l’ufficialità del proprio mandato il 22 dicembre, a pochi giorni da Natale. In due mesi riuscì a finalizzare il lavoro già parzialmente intrapreso, organizzando in breve tempo una delle annate più colossali e complicate della storia, con ben quarantotto canzoni in concorso suddivise in tre sezioni: Campioni, Emergenti e Nuovi. Un esperimento mai più ripetuto, nonostante possa risultare di estremo interesse. La differenza tra Emergenti e Nuovi? Semplice, i primi avevano già partecipato al Festival o realizzato comunque dei progetti discografici, mentre i secondi erano a tutti gli effetti dei debuttanti. Una categoria di mezzo forse servirebbe ancora, per fornire una distinzione e delineare meglio un concetto oggi più che mai enigmatico.
Dopo la rinuncia in extremis di Renato Pozzetto, la conduzione finì nelle mani di un quartetto di giovanipresentatori, passati alla storia per i loro innumerevoli strafalcioni e simpaticamente soprannominati “i figlid’arte”, al secolo: Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi. Gli intermezzi comici furono affidati a Beppe Grillo e al Trio Marchesini-Lopez- Solenghi. Fu il Festival della televisione, non a caso presero parte alla competizione numerosi volti del piccolo schermo, come Gigi Sabani con “La fine del mondo”, Marisa Laurito con “Il babà è una cosa seria” e Francesco Salvi con “Esatto”. Quest’ultima partecipazione fu giustificata dall’enorme successo della hit “C’è da spostare una macchina” dell’anno precedente.
Tanti i nomi illustri presenti all’appello, tra cui Mia Martini con la struggente e incantevole “Almeno tu nell’universo“, Gino Paoli con “Questa volta no”, Ornella Vanoni con “Io come farò”, Enzo Jannacci con “Se me lo dicevi prima” e il maturo debuttante Renato Carosone, all’epoca sessantanovenne, per la prima volta in Riviera con “Na canzuncella doce doce”. Tra i beniamini del pubblico più giovane, presero parte alla kermesse anche Raf con “Cosa resterà degli anni ’80” e Jovanotti con “Vasco”, alla sua prima e unica presenza.
A svettare nella categoria Campioni fu il duo composto da Anna Oxa e Fausto Leali con l’intensa “Ti lascerò”, mentre tra gli Emergenti si aggiudicò la medaglia d’oro Paola Turci, al suo quarto tentativo sanremese consecutivo, con l’impegnata “Bambini“. Infine, Mietta si affermò tra i Nuovi con “Canzoni“, scritta per lei da Amedeo Minghi. Il meccanismo del Totip portò sul podio due motivi che finirono al centro di dibattiti, critiche e controversie. La seconda classificata “Le mamme” di Toto Cutugno, dalla tematica ritenuta ruffiana e un filino superata, e la terza classificata “Cara terra mia” di Al Bano e Romina, per molti un tormentone ecologico-demenziale, con tanto di simil-rappato e slogan come «Come va? Come va? Tutto okay, tutto okay». Insomma, un’edizione ricca di canzoni (più o meno belle), grandi artisti (cantanti e non), ospiti e comici, polemiche e papere. Tutto in perfetta sintonia con i tempi.
In definitiva, gli anni ’80 furono un decennio scanzonato e colorato, a tratti incosciente, fatto di benessere e contraddizioni. L’obiettivo comune era quello di cercare di dimenticare le difficoltà degli anni di piombo, il terrorismo, le proteste e le lotte armate, riassaporando un po’ di dolce e sana spensieratezza. Una stagione di grande fiducia e positività, il tutto alternato ad episodi che segnarono profondamente il corso della nostra storia.
Nacque Internet ed esplose la centrale di Chernobyl, portando la società ad un serio dibattito sul nucleare e sul rispetto dell’ambiente. Si cominciò a parlare del buco nell’ozono, questo portò la società ad interrogarsi sul futuro del nostro pianeta. Dopo essersi uniti all’indimenticabile esultanza di Sandro Pertini per i mondiali di calcio del 1982, gli italiani, tre anni più tardi, piansero la scomparsa del loro presidente-partigiano. Fu il periodo dei cinepanettoni, di Drive In, della “Milano da bere”, delle vacanze a Rimini e Riccione, delle spalline imbottite, dei jeans a vita alta, dei fuseaux, dei bomber e degli stivali da cowboy. La moda fu un vero e proprio segno distintivo, passando con estrema nonchalance dagli yuppie ai paninari. Spopolò la musica commerciale e si affermarono leggende come Michael Jackson, Madonna, i Queen, Prince, i Police e gli U2. Trascinate dal successo di Heidi del 1978 e de L’ape Maia nel 1980, nelle classifiche italiane approdarono le sigle dei cartoni animati, grazie soprattutto all’affermazione degli anime giapponesi che accompagnarono l’infanzia di un’intera generazione.
La chiusura del decennio fu segnata da episodi destinati ad avere una notevole valenza storica, con la protesta di piazza Tienanmen a Pechino, culminata in massacro, e con la simbolica caduta del muro di Berlino, eventi che posero fine ad un’intera epoca di distrazioni e di eccessi…