lunedì 25 Novembre 2024

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Max Dedo: “La musica deve essere gioia, speranza e voglia di sentirsi liberi” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore e polistrumentista siciliano, in uscita con il nuovo album “Un posto vero”

Tempo di nuova musica per Max Dedo, artista e compositore a tutto tondo che, nel corso della sua interessante carriera, ha collaborato con numerosi protagonisti della scena musicale italiana, da Max Gazzè a Carmen Consoli, passando per gli Elio e le Storie Tese, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Nicola Piovani, i Nomadi, Mario Venuti, Arisa, Cristiano De Andrè, Fabrizio Moro e la Bandabardò. In occasione dell’uscita del suo nuovo album “Un posto vero”, disponibile a partire dal 7 dicembre, abbiamo incontrato per voi il cantautore messinese, per scoprire insieme a lui questo nuovo progetto.

Ciao Max, partiamo dal tuo nuovo album “Un posto vero”, cosa hai voluto inserire al suo interno? 

«“Un Posto Vero” è una raccolta di episodi di vita vissuta. Le canzoni sono un unico racconto diviso in più puntate in cui non c’è un solo comune denominatore che fa da collante a tutto. Tocco più volte il tema dei migranti che mi sta particolarmente a cuore e racconto molto dei disagi delle persone fuori dal coro, persone che non riescono ad esprimersi, che hanno bisogno di più attenzioni e spazio e che nell’epoca della frenesia risultano “schiacciate”. Persone più sensibili che si trovano in un’epoca che forse non è giusta per loro».

Il prossimo 5 gennaio presenterai questo lavoro all’Auditorium Parco della Musica di Roma, quanto conta per te la dimensione live?

«La dimensione live è quella che più mi soddisfa. Mentre mi esibisco dal vivo sento un’emozione continua che lo studio di registrazione non mi fa provare. Dal vivo suono e arrivo direttamente al pubblico senza veli e senza trucchi mentre in studio hai più tempo di ragionare sulle cose che a lungo possono risultare artefatte».

Il disco è stato anticipato dal singolo “Inverno maledetto”, com’è nato e cosa rappresenta per te questo brano?

«“Inverno maledetto” nasce dalla voglia di scoprire e di comprendere l’universo femminile, in questa ballad la figura femminile è vista come un’occasione per capire il senso della vita. A volte si apre uno spiraglio che fa intravedere la verità, ma subito dopo questo si richiude lasciando un senso di illusione!»

Cosa hai voluto raccontare con questo pezzo e quali sonorità hai scelto per valorizzare al meglio il testo?

«È un brano anni ’70 dalle sonorità pulp caratterizzato dalle chitarre acustiche e da una chitarra elettrica che lo attraversa dolcemente fino in fondo quando proprio nelle ultime note rimane quasi sola a sottolineare la sottile amarezza del testo».

Quando e come ti sei avvicinato al mondo della musica?

«Ho iniziato a suonare dopo aver visto in tv Glen Miller con il suo trombone, me ne innamorai! Quasi contemporaneamente mi portarono nella banda musicale della città di Messina dove a 10 anni iniziai a studiare il trombone a tiro».

Quali ascolti hanno ispirato e accompagnato la tua crescita?

«Da piccolo a casa si ascoltava Tchaikovsky, Chopin, Mahler e tanti altri, allo stesso tempo scoprivo Bix Beiderbecke, Louis Armstrong, Glenn Miller e altri grandi del jazz. Probabilmente gli artisti che ho ascoltato di più in tarda età sono i brasiliani, Jobim, Veloso, Gil, Djavan, Bouarque de Hollanda, Milton Nascimento».

Come valuti l’attuale panorama discografico e con quale spirito ti affacci al mercato?

«Il panorama musicale italiano è vastissimo e se mi basassi su quello che sento in radio direi che non sento alcuna innovazione. I grossi network hanno un target da seguire che deve corrispondere a specifici parametri e mi sembra che quei parametri vengano esattamente rispettati dagli artisti che hanno passaggi radiofonici frequenti. Ho trovato della musica molto interessante fuori dai network, nei canali underground e soprattutto nei live. Questo mio ultimo lavoro discografico è artisticamente libero».

MaxDedoIl tuo curriculum vanta prestigiose collaborazioni, c’è un incontro che reputi fondamentale per il tuo percorso?

«Nel ’93 conobbi Feiez, musicista degli Elio e le storie tese, durante un tour e grazie a lui iniziai a fare collaborazioni artistiche più importanti. Probabilmente è la persona a cui debbo di più».

Lavorando con tanti artisti sei entrato a contatto con mondi diversi, cosa ti ha trasmesso ed insegnato la contaminazione musicale?

«Provengo dalla musica classica e negli anni ho avuto la possibilità di suonare con tantissimi artisti molti generi musicali, ho lavorato molto con i brasiliani che mi hanno fatto capire il senso dell’armonia, grazie agli africani della Costa D’avorio ho compreso che non bisogna prendersi troppo sul serio quando si suona su un palco. La contaminazione con altri mondi musicali è necessaria e vitale».

In conclusione, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«La musica deve essere gioia, speranza e voglia di sentirsi liberi. Come diceva Vinicius De Moraes “Meglio essere allegro che esser triste, l’allegria è la miglior cosa che esiste”».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.