giovedì 21 Novembre 2024

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Roberto Cardelli: “Con la mia musica vorrei trasmettere serenità” – INTERVISTA

A tu per tu con uno dei più interessanti compositori del momento, dalla passione per il pianoforte all’attività di produttore discografico, la carriera di uno dei più ispirati autori musicali.

Dietro ogni canzone ci sono storie e persone che spesso rimangono sconosciute al grande pubblico, questo è il destino degli autori, il nostro compito è quello di raccontare e dare voce a chi la musica la crea, con passione e talento, senza metterci la faccia. Tra questi vi riportiamo il piacevole incontro con Roberto Cardelli, che ha ripercorso e condiviso con noi i momenti più belli della sua carriera, i brani e le collaborazioni più importanti, tra cui gli ultimi due singoli attualmente in rotazione radiofonica: “La felicità” di Fabrizio Moro (che vi abbiamo raccontato dettagliatamente qui) e “I pensieri di Zo” di Fiorella Mannoia (di cui vi abbiamo fornito una dettagliata recensione).

Ciao Roberto, partiamo da dove tutto è cominciato: quando e come è nata la tua passione per la musica?

«E’ nata sin da bambino ascoltando le canzoni dell’epoca, tutta roba fatta davvero bene, mi riferisco a David Bowie, i Queen, i Police e Bob Marley. Calcola che quando sono nato mia madre aveva quindici anni, i miei genitori erano entrambi giovanissimi, sono cresciuto con i loro amici e con la musica che ascoltavano i grandi, mentre oggi purtroppo ai bimbi tocca ascoltare ‘ben altro’. Poi ho cominciato a fare sport a livello professionale nella Lodigiani, giocando anche tra i giovani del Milan, ma ho deciso di abbandonare il calcio per concentrarmi sulla musica e rendere questa mia passione un mestiere di cui vivere».

Quali artisti hanno ispirato e accompagnato la tua crescita?

«Oltre quelli già citati, alternavo Lucio Battisti a Tracy Chapman, Claudio Baglioni ai Pink Floyd e tanti altri. Ho sempre avuto ascolti molto vari». 

Tanta gavetta da turnista come pianista/tastierista, poi le tournée con grandi nomi della scena italiana, quanto ha rappresentato per la tua crescita la dimensione live?

«Tra i tanti artisti italiani ho lavorato con Patty Pravo e con il Maestro Califano. Franco era una persona apparentemente dura, con una mentalità di vecchio stampo, preciso e puntuale a livello professionale, ma anche molto ironico e musicalmente geniale. L’attività live è stata fondamentale per la mia crescita, perché mi ha portato a superare delle emozioni molto forti, ho fatto da subito i conti con una responsabilità molto grande e con un pubblico importante. Ancora oggi, quando mi capita di fare concerti, vivo i live con una tensione di energia positiva, un po’ come quando sono stato a Sanremo».

Infatti, nel 2008 approdi sul palco del Teatro Ariston del Festival di Sanremo con la tua band La scelta. Che ricordo hai di quell’esperienza?

«E’ stata un’avventura molto faticosa perché l’emotività che da quel palco è fortissima, chiunque soffre il peso e l’atmosfera dell’Ariston. Sanremo è stato una bellissima esperienza, purtroppo non abbiamo avuto un seguito perché non avevamo dietro di noi una struttura all’altezza della situazione. Tutto sommato abbiamo fatto un buon Festival, siamo arrivati secondi, mentre due anni dopo ho vinto la stessa categoria giovani come co-autore del brano ‘Il linguaggio della resa’ di Tony Maiello». 

Cosa pensi dell’ultimo Festival e che aspettative hai per il prossimo?

«Quest’anno avevo ben tre artisti con cui ho collaborato: Fabrizio Moro, con il quale ho scritto ‘Portami via’, oltre a Giulia Luzi ed Ermal Meta che ho prodotto. Poi ha vinto Francesco Gabbani che rispetto perché ha fatto anche lui tanta gavetta. Sono certo che Claudio Baglioni, un grandissimo professionista, il prossimo anno valorizzerà moltissimo la musica italiana».

Riguardo Fabrizio Moro, possiamo considerarlo un sodalizio ormai consolidato?

«Assolutamente sì, lavoriamo insieme da dieci anni, abbiamo scritto tanto insieme anche per altri artisti, tra cui Emma, Noemi, Elodie e ultima, solo in ordine di tempo, Fiorella Mannoia. Per lei abbiamo composto ‘I miei passi’ e l’ultimo suo singolo ‘I pensieri di Zo’, è una grandissima interprete che ha saputo trasmettere la giusta emozione. Il sodalizio con Fabrizio è molto particolare, mi definisco il suo foglio bianco, lui è la penna che trova ispirazione sulle mie musiche». 

Ermal Meta è uno dei più interessanti cantautori dell’attuale scena italiana, cosa ci racconti di questa collaborazione?

«Ermal un artista a 360 gradi con cui lavoro e continuerò a lavorare, oltre che una splendida persona. Lui è un big dentro, lo ha dimostrato e continuerà a farlo perché durerà nel tempo. Ha scritto per mezza musica italiana e merita questo successo, tutti gli sforzi e i sacrifici che ha fatto sono stati ripagati».

Come valuti l’attuale situazione discografica italiana? Cosa ti piace e cosa meno di questo momento storico?

«La discografia si muove in base a quello che sono i gusti del pubblico che, attraverso gli ascolti, rende in continuo cambiamento questo settore. Il mercato segue la scia delle mode, il connubio tra discografia e talent oggi è fortissimo, anche se con grande piacere ho notato che i cantautori ultimamente sono stati un po’ rivalutati e riscoperti: ai concerti di Fabrizio e di Ermal ci un sacco di giovani e questo è un messaggio positivo che è stato recepito dagli addetti ai lavori, vuol dire che la musica sta cambiando e di questo ne sono molto felice».

Il web, dal tuo punto di vista, è di aiuto gli artisti o ha in parte contribuito a questa specie di “crisi” che stiamo vivendo?

«La rete aiuta l’artista, sia l’emergente a farsi conoscere che quello più famoso per instaurare una sorta di contatto virtuale con il pubblico. Oggi i social sono fondamentali perché la gente vuole vedere il cantante al di fuori del contesto musicale, una sorta di giusto compromesso fan-artista». 

Tra le tante canzoni che hai musicato, a quale ti senti maggiormente legato?

«C’è un pezzo al quale sono profondamente legato, ma non è ancora uscito e non posso dirti nulla a riguardo…. Tra quelle già edite, invece, le prime che mi vengono in mente sono ‘Un’altra vita’ e ‘Voodoo love’, ma ogni canzone ha il suo fascino».

Se dovessi andare a vivere su un altro pianeta e nel bagaglio avessi spazio per un solo disco, quale porteresti con te? 

«Senza ombra di dubbio ‘The wall’ dei Pink Floyd, un album che avrei voluto scrivere io dalla prima all’ultima nota. Da ‘Hey you’ a ‘Comfortably numb’, all’interno ci sono delle canzoni spettacolari che ti rapiscono. E’ un disco magico, geniale a dir poco». 

Non trovi che, ultimamente, i compositori siano considerati meno importanti degli autori dei testi? Non credi ci debba essere un giusto connubio e, dunque, vada data la stessa importanza ad entrambi i ruoli?

«Io compongo la musica e do sempre qualche consiglio a chi scrive con me il testo, perché credo ci sia bisogno di una giusta alchimia, il mio lavoro è quello di valorizzare il significato delle parole attraverso gli accordi, ad esempio, se c’è una frase che mi ha trasmesso particolare tristezza cerco di trovare una melodia che si sposa con la scrittura stessa. I colori della musica devono combaciare con le parole, dietro ad una frase che ti tocca c’è sempre un giro di pianoforte che ti emoziona. Il testo è come la vela di una barca, senza il vento non va da nessuna parte. Potrei usare altre mille metafore, ma proprio questo è il bello della musica». 

Credi che noi italiani siamo in grado di valorizzare il nostro immenso patrimonio artistico?

«Assolutamente no, perché siamo un popolo ricco di contraddizioni. La melodia è nostra, è nata a Napoli ed è stata esportata in mezzo mondo, oggi ci torna indietro come un boomerang sotto forma di generi diversi, se pensi che il primo rapper al mondo è stato Adriano Celentano… ti ho davvero detto tutto. Nel DNA di noi italiani c’è purtroppo una mentalità non ancora al passo coi tempi, siamo il Paese con la maggior concentrazione di arte al mondo, ma contemporaneamente siamo il popolo che meno la valorizza. Abbiamo una Ferrari ma viaggiamo sempre a ‘venti all’ora’, anzi, ultimamente la lasciamo proprio in garage. Questo è il nostro più grande problema, ce lo insegna la storia purtroppo». 

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere e con quali artisti ti piacerebbe collaborare in futuro? 

«Solitamente preferisco dare spazio alla qualità rispetto alla quantità, scelgo di lavorare sempre con pochi artisti ma dotati di un peso specifico, a prescindere dai numeri delle loro vendite, amo lavorare con gli emergenti e mi interessa collaborare con persone di talento. Per farti un paragone calcistico, visto il mio passato, il nostro Paese è un po’ come la Nazionale di calcio, valorizza poco i giovani. Fortunatamente le cose stanno cambiando».

Tra i giovani con cui hai collaborato, quale ti ha colpito maggiormente?

«Giulia Luzi, attrice e cantante già affermata nel mondo dello spettacolo, dotata di una straordinaria capacità vocale, per il quale ho prodotto il suo ultimo disco ‘Togliamoci la voglia’, scrivendo insieme a Laura Di Giorgio, autrice promettente, dei brani contenuti all’interno del medesimo album».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la musica che componi? 

«Vorrei che la gente fosse rapita da ciò che compongo, riuscire a trasmettere una sensazione di serenità a chi ascolta la mia musica. In questo momento storico c’è davvero bisogno di tranquillità, di chiudere gli occhi, sentire una canzone e viaggiare. Un’emozione che inizia quando io compongo e finisce quando arriva tra le orecchie del pubblico, se si crea quest’osmosi sono la persona più felice e soddisfatta del mondo». 

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.